Mondiale 2012: Nazionale S.r.l.: e la responsabilità? - Per il ct Bettini è come al solito limitata
Da dove si può partire per fare un discorso approfondito su quella che è stata la prestazione dell'Italia nel Mondiale di Valkenburg? Forse da una parola: responsabilità.
Ovvero, declinando: chi si prende la responsabilità di quello che succede?
Se partiamo dal comunicato stampa diffuso dalla Federciclismo in serata, e intitolato trionfalisticamente "MONDIALI, LIMBURG 2012: L'ITALIA C'È!", possiamo subito farci una prima idea di come questo tema venga affrontato (o non affrontato, per meglio dire) nel nostro ciclismo.
Che l'Italia ci fosse, ai Mondiali del Limburgo, lo sapevamo, era insomma una notizia ufficiale, abbastanza scontata, non c'era bisogno di maiuscolizzarlo in quel modo. Che abbia fatto degli errori, anche questo sembra abbastanza evidente, ma non al commissario tecnico Paolo Bettini che si è ben guardato, nelle tante dichiarazioni ufficiali, dal far menzione di questo particolare. Eppure dovrebbe sapere che un'Italia che non va oltre il 13esimo posto in un Mondiale non regala un risultato che possa ritenersi esente da discussioni.
Prima ancora che l'analisi dettagliata della corsa dei nostri, giova porre l'accento su alcune frasi del ct dopo la fine della gara. E in particolare, sulla rivelazione che nei due giri conclusivi della corsa iridata c'è stata, tra gli azzurri, una sorta di autogestione operata dagli atleti. Eravamo convinti che ogni possibile risvolto del Mondiale venisse preventivamente analizzato, discusso, pianificato nel dettaglio tenendo conto di tutte le possibili variabili. E invece scopriamo che sul più bello va in scena il gioco a "palla fai tu".
Non c'è un piano preordinato, "se il corridore x non sta bene, tu y fai questo e tu z quest'altro; se sta bene, invece muovetevi così e così"; ci si basa sull'ispirazione del momento dei vari convocati. Forse è un po' troppo facilona come interpretazione del ruolo di commissario tecnico, anche perché - e qui torniamo alla famosa parolina - libera da ogni responsabilità l'ammiraglio azzuro. Apparentemente, lo libera.
In realtà, anche a voler pensare che sia giusto che nel finale della gara i corridori facciano da sé, emergono ugualmente altre manchevolezze nella gestione tattica dell'importantissima partita mondiale.
Si parte ancora una volta bene
Come in altre uscite della Nazionale di Bettini, ultima quella olimpica, l'Italia si è ben comportata nella prima metà di gara. L'inserimento di Cataldo nella prima fuga è stato ottimo, abbiamo avuto in avanscoperta un forte rappresentante in grado di interagire coi compagni di squadra che fossero arrivati da dietro nel corso della giornata.
E il successivo arrivo di Nocentini prima, e di Marcato e Ulissi poi, ha messo l'Italia in condizioni di superiorità numerica nel gruppo di testa, e con corridori tutt'altro che banali. Un tesoretto, costruito con l'impegno di oltre metà gara, che avevamo l'obbligo di valorizzare al meglio, e che invece abbiamo scientemente scelto di sacrificare, di lasciare sfumare.
Nibali e l'attacco che non c'è stato
Parliamo di pallacanestro. Se io coach voglio imbastire un'azione da 3 punti, farò in modo che il tiro venga preso da un mio giocatore con una buona percentuale realizzativa dalla lunga distanza. Il rovescio di questa asserzione è che se io ho in squadra un forte tiratore da 3 punti, farò in modo che molte azioni vengano concluse da un tiro dalla lunga distanza. Potrei anche lasciare che il mio tiratore da 3 si mettesse a fare incursioni sotto canestro, ma poi non mi dovrei stupire se venisse puntualmente stoppato, o se non riuscisse a finalizzare.
Un'ampia e scoperta metafora per dire che se disponi di un Vincenzo Nibali, che non ha la sua arma migliore nello scatto da finisseur, bensì nell'attacco da lontano (strategia che gli ha regalato lusinghieri piazzamenti in varie classiche), devi dirgli di attaccare da lontano. Non perché vincerà di sicuro, ma perché quella è la maniera per ottimizzare il suo apporto al lavoro di gruppo, alla tattica del team.
Indipendentemente dagli altri atleti che avevamo in squadra, Nibali, su un percorso come quello di Valkenburg, andava giocato dalla distanza. Questo in linea teorica.
In linea pratica, e quindi parlando a posteriori, ancor di più Nibali andava giocato dalla distanza. La fuga di Contador e dei 29 vedeva una situazione incredibilmente favorevole all'Italia, che aveva 4 ottimi uomini davanti, e soprattutto una platea di rivali non temibile come quella formata dai favoriti presenti in gruppo. Bisognava puntare ad occhi chiusi su quella fuga, alimentarla, infoltirla. Ciò non è stato fatto.
Si potrebbe dire che un capitano (quale Nibali era oggi) non andrebbe sprecato troppo lontano dal traguardo, ma tenuto da parte per l'ultimo giro; ma questa è un'affermazione che prescinde dalle qualità del capitano in questione. Voeckler, capitano unico della Francia, si è ben mosso a oltre 80 km dal traguardo, e non perché sia un tipo bizzarro, o perché il suo commissario tecnico Jalabert non ci capisca niente di ciclismo; semplicemente perché le più ampie possibilità di vittoria Voeckler ce le ha muovendosi da lontano. E possiamo dire senza tema di smentita che oggi la Francia aveva ancora meno alternative al suo capitano, che non l'Italia al proprio.
La decisiva assenza di Moser, viva Moser!
Che Moreno Moser, su cui si incentravano tante speranze azzurre, abbia reso al di sotto di quanto in generale ci si attendesse, può sembrare una verità incontrovertibile. In realtà lo stesso ragazzo ammette che i 270 km hanno rappresentato una distanza che per le sue attuali possibilità si è rivelata proibitiva. In tal senso, è semmai da apprezzare che il trentino abbia resistito coi denti fino all'ultimo giro, per poi provare a dare un contributo - seppur piccolo, una tirata ai 3 km - alla causa.
Moser è l'uomo che ci è mancato nel finale, dopo che Nibali non ha saputo (ovviamente, aggiungiamo) fare il vuoto sul Cauberg al cospetto di Gilbert, Valverde e altri avversari che da sempre mangiano "pane e Ardenne". Dobbiamo per questo motivo essere severi con Moreno? Certo che no.
Mettevamo in conto che il giovanotto potesse scoppiare a un certo punto, sapevamo bene che il suo rendimento oltre i 250 km avrebbe potuto subire un calo, e quindi ora non ha senso parlare di bocciatura. Il bicchiere dev'essere visto per quello che è, e cioè un bicchiere mezzo pieno. A 22 anni Moser, il più giovane corridore in gara oggi, è rimasto praticamente fino alla fine coi migliori, certo ha fatto quel che ha potuto, ma soprattutto ha incamerato una bella e importante esperienza, avendo avuto modo di testare se stesso in una gara massacrante e contro i più forti avversari al mondo. Anche così si cresce.
Il 13esimo posto di Gatto non è neanche una foglia di fico
Alla fine della fiera resta l'impressione, come anche nelle ultime gare azzurre, dal Mondiale di Copenhagen alle Olimpiadi di Londra, che l'Italia corra per un piazzamento e niente più, ben sapendo di non poter osare oltre. Non riattacchiamo col discorso di Nibali e dell'azione da lontano che avrebbe dovuto tentare. Ma riflettiamo su quanto il 13esimo posto di Gatto (che rimpiange di non essere partito un po' prima per la volata, ché magari avrebbe ottenuto un ottavo posto o giù di lì) possa non solo essere un risultato mediocre - per essere il miglior piazzamento dei nostri oggi - ma anche salutare, in un certo senso.
Salutare perché toglie un po' di alibi alla gestione del commissario tecnico, che invece è uno che spesso offre tante giustificazioni piuttosto che dire "ho sbagliato".
Come Fonzarelli, Bettini non sa ammettere i propri errori, gli si blocca proprio il palato in quei momenti. Gli viene più facile scaricare la responsabilità sui corridori (ricordiamo la tirata contro Modolo l'anno scorso), anziché offrire alla patria il petto ("che gli strali della stampa cattiva siano indirizzati a me!").
Paradossalmente, l'unica scusa che il vecchio Grillo avrebbe potuto accampare, e cioè l'impossibilità di convocare un Ballan o un Pozzato (che in quel finale sarebbero tornati probabilmente utili, soprattutto il trevigiano), l'ha quasi dimenticata, minimizzando gli effetti che avrebbe potuto avere in squadra la presenza di quei corridori che la FCI di Di Rocco considera alla stregua di appestati.
Il futuro
Non è escluso che questo possa essere stato in ogni caso l'ultimo Mondiale con Bettini in ammiraglia. Tantopiù se cambia il vento in Federazione (tra poco si vota per cambiare presidente, o per confermare quello attuale), Paolo rischia di essere messo da parte, in quanto abbastanza "compromesso" con la gestione Di Rocco.
Ma anche se dovesse essere confermato il presidente in carica, il ct potrebbe comunque valutare la propria posizione: la posizione di una persona stretta tra mille pressioni provenienti dall'alto (regole arbitrarie imposte dalla FCI, scelte tecniche suggerite in qualche modo dal palazzo), dal basso (i tifosi che iniziano a lamentarsi, dopo gli scarsi risultati ottenuti nel triennio), e anche da un'onesta analisi riguardante l'adeguatezza al ruolo.
Nel 2013 insomma potremmo avere un nuovo ct. Resta il rammarico che Bettini non abbia potuto operare nella più piena libertà, schiacciato certo dalla pesantissima eredità di Ballerini, ma soprattutto ostacolato di fatto dal suo stesso datore di lavoro. L'unico alibi che non cerca da sé (per non guastare i rapporti con la Federazione), glielo regaliamo noi. Nella speranza che l'Italia del ciclismo, a tutti i livelli, possa infine voltare pagina.