Giro d'Italia 2012: Ivan, lo Stelvio è ancora fatale - Basso e l'ennesima giornata no
Basso è morto. Sportivamente, s'intende. Finisce qui sullo Stelvio una carriera che ha avuto e offerto momenti di discreta esaltazione contrapposti ad altri di buio totale. Il pensiero, per il buio, potrebbe andare al periodo di squalifica, ma se dicessimo che oggi - e in queste settimane - Basso ha viaggiato in mezzo a delle tenebre illuminate di verde non mentiremmo. «Sul Mortirolo avevo già capito che non sarei riuscito ad essere brillante come volevo, poi sullo Stelvio ho cercato solo di difendermi. Sono situazioni dove pensi solo limitare i danni e, passato il traguardo, a fare i complimenti a chi è stato più bravo». Queste le parole di un Basso che esce dalla scena dei corridori italiani da GT, e con lui Scarponi, Cunego, Pozzovivo, una bella generazione di italiani, insomma. Ma Ivan Basso merita più spazio di tutti perché, oltre ad avere due Giri nel palmarès e bei piazzamenti al Tour, è quello che più spazio negli anni si è saputo ritagliare.
Aveva fatto credere di essere l'uomo da battere in questo Giro; non tanto a parole - anzi, lì smentiva la sua presunta superiorità - ma nei fatti e nelle azioni. Un bluff durato tre settimane senza che nessuno degli attori che ci ostiniamo a torto a chiamare "big" riuscisse a provarne la fragilità. La debolezza di una squadra che, pur difesa a spada tratta dal suo capitano, non è mai stata ai livelli del 2010. In montagna Agnoli e Caruso a parte, che meriterebbero un monumento (ed il ragusano anche una maglia bianca sacrificata per un lavoro che non porterà nessuna vittoria), Szmyd, vero punto di forza nelle salite gli scorsi anni, s'è letteralmente liquefatto. Nonostante questi piccoli segnali venuti fuori nell'ultima settimana nessuno ha provato a distruggere quanto costruito con i «mattoncini» marchiati Liquigas.
Costoro devono credere in Ivan Basso come un cattolico crede in Dio, se è vero che tirano il collo al gruppo dalla Danimarca (va detto che nella crono inaugurale han dovuto arrangiarsi da soli per qualche cavillo regolamentare) come se avessero la maglia rosa. Ed invece a quella maglia Ivan non c'è mai stato troppo vicino, né ha dato la sensazione di poterla conquistare. Però la squadra a tirare in ogni tappa, per proteggerlo da ogni insidia, dava la sensazione che il 34enne della Liquigas fosse l'uomo da battere.
Lui non l'ha mai detto, né l'ha mai potuto dimostrare sulla strada. Avessero osato prima, i nostri antieroi - pensiamo alle tappe marchigiane o umbre, per fare un paio di esempi - avrebbero scoperto un Basso nudo, capace di rispondere agli attacchi sino ad un certo punto, se non proprio incapace. Ad Assisi la rampa finale non era per lui. A Cervinia, dove non ci si aspettava niente più che un segnale, eccolo attardato dietro a Joaquim Rodríguez ed a Hesjedal.
Pian dei Resinelli poteva offrire le salite (ed anche le discese, non fosse che non le sa interpretare) per attaccare ma per Basso il giorno di riposo era più importante, perché la settimana successiva avrebbe deciso il Giro. Insomma, tutto in tre tappe e vada come vada! In questo continuo rimandare, Ivan, anziché fortificarsi, si è indebolito ed anziché uscire alla distanza come «il miglior Basso» è crollato. E sì che sul Giau, pur senza Szmyd, aveva dato l'impressione di poter scavare un profondo divario tra sé ed i pochi big (si fa per dire) in corsa.
Progressiomi - perché Basso non scatta sui pedali dal Tour 2005, mese più, mese meno - che non hanno fatto male nemmeno a colui che non ci si aspettava di vedere davanti, il canadese Ryder Hesjedal. Ma oltre Cortina c'è una squadra nuovamente messa alla frusta in quel di Pampeago. Per cosa? Per nulla, che domande. Discorso analogo oggi, con la differenza che la Liquigas ha trovato la prima fuga del Giro (sì, solo alla 20a tappa, pare incredibile) con Damiano Caruso, salvo poi fermare il ragazzo per aiutare Ivan (hai visto mai che il ragusano potesse giocarsi la tappa...).
Un Basso scarico, che dopo un paio di cambi di ritmo molla la presa e non riesce a riportarsi sugli avversari, sia che le rampe si chiamino Stelvio o Mortirolo. «È stata una giornata negativa che purtroppo si aggiunge a quella di ieri. Bisogna prenderne atto: non è andata come mi aspettavo», ecco la resa del varesino. Insomma, da Herning a Cortina tutti impauriti da Basso, tutti a pronosticarlo vincitore finale perché, nonostante i pochi acuti, esce alla distanza. Qui abbiamo zero acuti, zero tituli ed una distanza che favorisce altri atleti, non certo Basso.
Un Ivan che, piuttosto sicuro di sè e della Liquigas, parlava così ancora lunedì scorso: «Nell'economia di un Giro d'Italia la componente fondamentale è non avere giornate "ni". Se si riesce a mantenere un rendimento così, vuol dire che la maglia rosa è vicina». Chiaro che, nel dubbio, Ivan ha dovuto cedere ad un paio di giornate "no" come Pampeago e Stelvio, mandando in frantumi il sogno personale del tris rosa e quello di ragazzi come Damiano Caruso, al primo Giro d'Italia ed in maglia bianca per diversi giorni. L'ha dovuta lasciare per aiutare Basso, per quanto se ne pentirà?
E ancora, guardando oltre il singolo capitano: quanto è stata valida la scelta di puntare sul varesino per il Giro, in casa Liquigas, quando hai un Nibali che su questo percorso avrebbe vinto correndo senza squadra (e che se al Tour farà podio senza Contador tra le ruote non sarà certo chissà che risultato, anzi)? Quanto ha influito nella scelta dei ruoli il cambio di casacca ormai certo del messinese nel 2013? Come può Roberto Amadio non ritenere questo Giro un autentico fallimento, sia per dispendio di energie che per risultati (nulli) ottenuti? Da dove esce questa voglia di correre come se si avesse la maglia rosa? Forse è l'unico modo per far intuire - nemmeno capire - che il proprio capitano è superiore? La strada che sale non mente mai ed oggi, ancora oggi, è stata giudice severissimo per Ivan Basso. Salvo miracoli, la sua bella (ma non esaltante) carriera nei GT finisce quassù ai 2758 metri s.l.m. del Passo dello Stelvio.
A ben vedere l'amore-odio di Ivan Basso per il Giro d'Italia iniziò proprio dallo Stelvio. Era il 22 maggio 2005 ed il varesino, a 50" dalla maglia rosa di Paolo Savoldelli, si staccò sulle prime rampe della Cima Coppi. Una congestione che lo farà salire con fatica e dolori indicibili sino in vetta. Allo scollinamento il direttore sportivo di Ivan, Bjarne Riis, invita la sua punta di diamante a mollare tutto ed andare a casa. Ivan non la getta la spugna, non così, ed arriva a Livigno per ultimo, con 42' di ritardo dal vincitore, Ivan Parra. Vincerà la tappa del Colle di Tenda e proprio dalla battuta d'arresto dello Stelvio Basso ripartirà per conquistare il Giro 2006. Per lui quell'anno 14 giorni in maglia rosa, tre vittorie di tappa, dominio assoluto in salita. Si ripeterà, non in modo tanto netto, nel 2010.
Erano altri tempi, erano altri Giri, erano altre gambe e primavere, tante, in meno. Ora Basso ha fallito «l'obiettivo», ha lasciato a metà quella casa costruita «giorno dopo giorno, mattoncino dopo mattoncino» (ma come gli vengono queste metafore, giocando con i Lego dei figli?). Ne prende atto, e ci mancherebbe; perché non può dire che «il Giro inizia domani», come accadeva negli scorsi pomeriggi.
Da domani si penserà (o si dovrebbe pensare) a un altro Basso, a un'altra Liquigas (poco importa se la società di gestione cambierà sponsor nel 2013), a un altro modo di correre, si spera più foriero di successi di questo. Perché vedere Agnoli, Longo Borghini, Caruso e tutti gli altri tirare da tre settimane e non raccogliere niente dovrebbe almeno far riflettere i vertici sulle loro scelte. Ivi compresa la scelta di correre due terzi di Giro bluffando, fingendosi superiori per poi non ottenere neanche un poker, che sarebbe stato impossibile, ma un tris di maglie rosa sì. Perché era quello, «l'obiettivo».