Giro d'Italia 2012: La vittoria della tenacia - Guardini, una risposta ai tanti scettici
Versione stampabileNel giorno in cui il Giro d'Italia ha ceduto per l'ultima volta la scena ai velocisti prima di un week end che definire infernale sarebbe usare un eufemismo, ci sentiamo di dire: "Che Dio benedica le salite!". Da quelle reali, dalle più svariate pendenze e orografie particolari, a quelle metaforiche, da affrontare nella vita di tutti i giorni e che si palesano sottoforma di momenti critici, in cui la voglia di mollare tutto sarebbe forte (e probabilmente anche la soluzione più comoda). Quei momenti in cui nulla sembra essere bello, in cui tutto il mondo sembra avercela con te e dove, inevitabilmente, se non riesci a tirar fuori grinta e determinazione da vendere, rischi di adagiarti, di affondare, di farti risucchiare di un limbo che almeno per un po' sembra toglierti via qualunque preoccupazione.
Andrea Guardini era atteso al varco. Dal 5 maggio, giorno in cui il Giro 2012 ha ufficialmente preso il via da Herning. La missione, tutt'altro che semplice: convincere gli scettici di non essere un semplice velocista "da Giro di Malesia" (con tutto il rispetto che naturalmente si deve alla breve corsa a tappe asiatica). Di non essere il cannibale procacciatore di circuiti che specialmente nell'ultima annata tra i dilettanti furoreggiava nei week end. No, ci voleva qualcosa di più, una prova di maturità e di forza al tempo stesso. D'altronde, quando nella prima stagione tra i professionisti cominci col botto, infilando ben 11 successi è impossibile passare inosservati, soprattutto in un Paese come il nostro dove gli entusiasmi, le esaltazioni (e, di contro, le delusioni e gli scoramenti) sono all'ordine del giorno. In tanti si chiedevano cosa avrebbe combinato il buon Andrea da Colognola ai Colli, che quest'anno, escludendo l'amica Malesia che gli ha portato in dote altri sei centri, aveva finora preso più mazzate che soddisfazioni dai confronti diretti coi velocisti di rango, non ultime le volate del Giro, da cui aveva ricavato appena un decimo posto in quel di Horsens al terzo giorno.
Diciamo "benedette siano le salite" perchè proprio su quella strada che si inerpicava a tradimento, che ti obbligava a sfidare quotidianamente la clessidra del tempo massimo, Guardini si è ritrovato. Anzi, si è forgiato, marchiato a fuoco neanche fosse uscito dalla mitica fucina di Efesto. Le salite da chilometraggi e pendenze a doppia cifra sanno far male più dei cazzotti di un campione del mondo dei pesi massimi, a cominciare dal morale. Arrivare sino in fondo per i padroni incontrastati dei vialoni equivale già a centrare una vittoria. Adesso allora chiediamo sinceramente: alzino la mano tutti coloro che pensavano di veder sprintare Guardini sul traguardo di Vedelago, a sole tre tappe dalla conclusione del Giro e con un menù che nelle ventiquattr'ore precedenti aveva previsto in sequenza Valparola, Duran, Forcella Staulanza e Giau. Di mani levate probabilmente ne vedremo ben poche, sicuramente molte di meno rispetto ai ghigni di chi, dopo un'ennesima sconfitta o dopo un fuori tempo massimo, avrebbe ricominciato ad impugnare l'ormai proverbiale martello della critica.
Riguardiamoceli quei due chilometri finali: il treno della Saxo che prende in mano le operazioni (per lanciare Lucas Sebastian Haedo) e Guardini (risalito da dietro assieme a Gatto) già piazzato ottimamente. Soffermiamoci di nuovo su quanto accaduto appena dopo che il triangolo rosso era stato superato, con Guardini "cattivo" al punto giusto nel non mollare la ruota di Cavendish, disposto a prendere più rischi del solito a costo di non farsi scappare il "diavolo rosso" (almeno finchè avrà indosso quella maglia) dell'Isola di Man. E' un binomio perfetto quello che si crea in queste situazioni: le gambe dinamitarde abbracciate dalla perseveranza e dall'arte dell'arrangiarsi, le due freccie più efficaci di cui ogni velocista di razza possa disporre. Basta così un attimo nel balzare da una ruota all'altra (da quella di Maes, pronto a lanciare Chicchi) a quella di Ferrari, che pure con Cavendish sembra avere ormai un conto infinito in questa corsa rosa. Poi, superati i 300 metri, l'abbaglio, il momento di maggior palpitazione, la detonazione: Guardini esce dalla ruota di Ferrari in una meravigliosa personificazione del carpe diem, prende la testa, vede il traguardo, si sfoga. Cavendish è dietro, deluso, amareggiato al punto di sbattere il pugno sul manubrio senza che nessuno possa aver ravvisato la minima scorrettezza. Lui, Cannonball, impallinato di potenza e lasciato ad una bicicletta di distacco. Guardini ha vinto, cari signori. Senza se e senza ma. Si è messo dietro il campione del mondo in uno scontro diretto, di quelli che valgono ancor di più perchè si sa che a fine Giro parlare di freschezza atletica è roba grossa per chiunque, specie dopo una prima bella infornata di montagne.
Tirare in ballo la lunghezza della frazione (149 km), recitare in sequenza i nomi di chi, tra le ruote veloci, questo Giro l'ha già abbandonato (Farrar, Hushovd, Goss, Bos, J.J. Haedo, Demare e via dicendo) per svariati motivi è un qualcosa che oggi specialmente lascia il tempo che trova, anche perchè si sa che gli assenti hanno sempre torto. Guardini ha voluto ricordare a tutti che la pista è un percorso assolutamente necessario per coloro che degli sprint vogliono farne il proprio mestiere (o la propria ossessione, fate voi), che di fronte ad una sgasata del genere un titolo europeo nel keirin e tempi sui 200 metri prossimi ai 10"5 ai tempi degli juniores non eran cose venute lì per caso (e chissà che qualcuno un giorno non debba realmente mangiarsi le mani per ciò che sarebbe potuto diventare il veronese sui velodromi se solo avesse avuto a disposizione i mezzi e fosse stato assecondato a dovere). Certo, siamo ben consci che questa vittoria ottenuta nel suo Veneto non può che rappresentare un ulteriore punto di partenza verso una nuova dimensione, quella che, se Dio vorrà, lo potrebbe finalmente proiettare nell'olimpo dei grandi velocisti.
Lo ribadiamo ancora una volta però: la vittoria di Andrea è nata sulle montagne, siano esse le salite ingrigite dalle uggiose giornate verso Cervinia o i Piani dei Resinelli o quelle che appena un giorno fa erano capaci di far venire il mal di mare sulle Dolomiti. Il Guardini sorridente anche quando, ultimo e staccatissimo, trovava la forza e la voglia di salutare il pubblico era l'immagine più bella di chi, in certi momenti, riesce anche a non prendersi troppo sul serio e comprende che anche quella lotta per un'ideale maglia nera è un qualcosa degna di ammirazione e simpatia da parte del pubblico. Sorridere dei propri guai, se così possiamo dire, per poi ritrovare la cattiveria, la feroce determinazione nel non sbagliare l'ultima chanche. Molto di merito ha avuto il veronese in questo ma una parte di merito l'ha sicuramente ancora Luca Scinto, capace di esaltarsi come pochi non appena s'inizia a fiutare l'odore della battaglia, con virtuosismi da perfetto equilibrista (non solo in ammiraglia) quando ci si getta nel turbine dalla polemica. Il toscano, che nel corso della tappa non aveva usato troppi giri di parole per pungolare a dovere il proprio talento, ha sicuramente avuto una parte determinante nel percorso che ha portato Guardini a superare asperità e chilometraggi proibitivi per le proprie caratteristiche, togliendosi forse una soddisfazione ancora maggiore e più bella di quella che, nel week end scorso, aveva portato Rabottini a coronare con una bellissima impresa la tappa dei Piani dei Resinelli.
Oggi possiamo dirlo: è un primo passo per il futuro ma la scommessa Guardini in questo Giro è stata vinta. Al Manghen, a Pampeago e al mal di gambe che fan venire al solo pensiero ci si penserà domani. Dopo quest'oggi però anche Milano sembra più vicina. Soffrire prima per godere poi, in pochi attimi nulla diventa impossibile.