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Giro d'Italia 2012: Quando l'iridato arriva a pelo... - Cavendish, il tempo massimo ed i velocisti già in difficoltà

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Cavendish al foglio firma di Urbino sapeva già che lo attendeva una giornata difficile © BettiniphotoAppena ieri incensavamo Mark Cavendish per la sua volata regale a Fano ed oggi invece ci tocca bacchettare il Campione del Mondo, protagonista assieme ad altri 7 corridori (di cui 4-5 loro malgrado) di una corsa nella corsa, quella per non finire fuori tempo massimo, seguita come raramente avviene da radiocorsa e dalle telecamere RAI. Solo che non stiamo parlando di un tappone dolomitico, magari con Giau e Pordoi, ma di una modesta tappa di media montagna appenninica, dove non si saliva oltre i 772 del Passo della Cappella. Su questa salita, che aveva già messo in difficoltà parecchi corridori coi suoi tratti al 16%, il gruppetto di Cavendish scollinava con 21' di ritardo dai fuggitivi. 
La brutta giornata del campione del mondo cominciava già dopo 30 km, quando sulla prima salita del Convento di Santa Vittoria perdeva le ruote del gruppo, scortato solo dal fedele compagno di squadra e amico Bernhard Eisel. Più in là si è formato il gruppetto che s'è visto inquadrato negli ultimi chilometri, composto da Eisel e Hunt, intervenuti per aiutare il capitano, dai velocisti Rabobank Theo Bos e Graeme Brown (il quale in carriera ha già collezionato qualche FTM ai tempi della Panaria) aiutati da Dennis Van Winden; anche il povero Taylor Phinney che a fine tappa riuscirà comunque a trovare qualcosa di positivo nella giornata («almeno oggi non sono caduto...») e Sébastien Rosseler, probabilmente presente lì non tanto per carenze sue, quanto per aiutare Tyler Farrar, che invece ha deciso di mollare la spugna prima di Montelupone.

Che non sarebbe stata una giornata facile per i velocisti lo sapevamo già, ma francamente non ci aspettavamo una tale falcidia già alla prima tappa con delle difficoltà: complice lil caldo primaverile e il percorso senza un metro di respiro, tre velocisti hanno abbandonato la corsa e altrettanti han rischiato l'onta del Fuori Tempo Massimo con relativi gregari. Il primo a cedere il passo è Romain Feillu, danneggiato dalle cadute in Danimarca e già attardato ieri, che ha capito subito che era il caso di gettare la spugna. Poi è toccato all'ex-campione del mondo Thor Hushovd ed infine a Tyler Farrar, entrambi rimasti staccati ieri sulla modesta salita di Gabicce Monte. Cavendish invece non si è arreso e ci ha creduto fino in fondo, e i fatti gli han dato ragione: a 21' dall'arrivo di Rubiano il suo gruppetto passava ai 10 km dal termine, e lì si è capito che gli 8 sventurati ce l'avrebbero potuta fare, improvvisando una cronosquadre mista. Alla fine arrivano con 33'12", ad appena 39" dal tempo massimo. Una nota di merito invece va ai nostri Guardini e Chicchi, noti per avere delle fibre da velocisti puri, i quali non hanno corso grossi rischi: il primo perde 29', scortato da Favilli, il secondo giunge in una posizione ancora più sicura, a 23'. Bene così per Francesco, che sta attraversando una delle migliori stagioni della sua carriera e cerca una tanto attesa soddisfazione al Giro.

D'accordo, ce l'han fatta, ma cosa sarebbe successo se la tappa fosse stata veramente combattuta e non una frazione interlocutoria, che ha visto sostanzialmente il gruppo lasciar andare la fuga e giungere compatto al traguardo con 100 uomini? Probabilmente avremmo assistito all'indecorosa scena di una maglia iridata cacciata a pedate dalla corsa rosa, cosa probabilmente mai successa nella storia del Giro d'Italia e del Tour de France (certo, Cipollini si è fatto squalificare con addosso l'iride in una Gand-Wevelgem tirando una borraccia addosso a una moto, ma non è esattamente la stessa cosa). O peggio ancora, ci sarebbe stata un'amnistia giustificata con qualche assurda motivazione (del tipo: scusate, abbiamo classificato in maniera troppo leggera la tappa), che ci avrebbe spinto a interrogarci se vale ancora la pena mettere una regola sul tempo massimo, quando essa puntualmente viene applicata solo sui pesci piccoli, che magari prendono un quarto d'ora nella cronoscalata di Plan di Corones.

Le sofferenze di Cavendish, che a queste magre figure ci sta abituando (l'anno scorso accusato di esser stato trainato sull'Etna, fuori tempo massimo ma ripescato per la presenza di tanti atleti FTM in 2 tappe del Tour, staccato su dei dentelli non trascendentali e ritiratosi alla quarta tappa l'anno scorso alla Vuelta; quest'anno fuori corsa alle Manìe alla Milano-Sanremo) non sono certo finite qui: ce la farà anche domani? E dopodomani, quando i corridori nei primi 30 km saliranno verso Roccaraso, uno dei paesi più alti in Abruzzo? E anche se dovesse uscire indenne dal weekend, con che energie dovrebbe giungere sul traguardo di Sestri Levante? E a questo punto sembra proprio impossibile poter vedere Cavendish che giunge a Milano, superando le Dolomiti, il Mortirolo e lo Stelvio. Badate bene, ce la prendiamo con lui e non con gli altri nella sua stessa situazione (che comunque dovrebbero interrogarsi sulla loro preparazione: d'accordo che era una tappa con più di 3000 metri di dislivello, ma non si è certo corsi pancia a terra) non per una ingiustificabile antipatia, quanto perchè bisognerebbe chiedersi come siamo arrivati ad avere un corridore che supera a fatica una tappa appenninica, arrivato al Giro in discrete condizioni di forma, che sta correndo senza fratture o lesioni profonde (d'accordo, ha qualche sbucciatura, ma niente di grave), con addosso i colori del migliore fra tutti. C'è da chiedersi se effettivamente un Mondiale come quello di Copenaghen 2011 abbia avuto un qualche briciolo di senso e sia questo il ciclismo che vogliamo, coi Campioni del Mondo alla canna del gas, i presunti big nascosti tutto il tempo per poi dimostrare di essere forti dando un colpetto in salita o quando non ci sono avversari attorno (dicasi: cronometro) e vincere un GT per 30", 20", 13" secondi di vantaggio, come Cobo su Froome all'ultima Vuelta, e i comprimari davanti per quasi tutto il tempo a rastrellare piccoli momenti di gloria, come se il plotone avesse un cuore socialista. D'altronde, come diceva Pietro Nenni, il socialismo è portare avanti tutti quelli che sono nati indietro.

Nicola Stufano

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