Giro d'Italia 2012: Un altro ciclismo che esiste già - Se Cavendish val più dei nostri eroi
dal nostro inviato
È partito un altro Giro, ed è partito da dove sarebbe stato difficile immaginarlo, una cittadina abbastanza anonima del centro della penisola dello Jutland, in Danimarca. Herning. È partito nel freddo di basse terre spazzate dal vento e percorse dal sorriso allegro di tanta gente che probabilmente, anch'essa, mai avrebbe immaginato di avere un simile giocattolino per le mani.
Quelli che non erano per strada, a Herning, erano alla finestra di casa, del resto la prima tappa ha tagliato in lungo e in largo buona parte della città, e non erano pochi quelli che zompettavano da una strada all'altra per assistere a più passaggi di uno stesso corridore. In questo non ce la sentiamo di dare torto ad Acquarone, quando dice che a volte è anche giusto portarla in altri paesi, questa grande festa che è il Giro; perché al di là dei discorsi di soldi, resta la contentezza di queste persone che si ritrovano a casa loro il luna park del grande ciclismo, e non si sa se, aggirandosi tra i colorati, scenografici, immaginifici pullman delle squadre, brillino più gli occhi dei figli o quelli dei padri.
È bello - oggi vogliamo solo guardare il bicchiere mezzo pieno - che ci sia questo Giro esotico, che venga a certe latitudini, a inebriarsi dell'odore di hotdog a tutti gli angoli, e della bellezza sfrontata di queste ragazze e di questi ragazzi nordici, e che venga a misurarsi con un altro concetto di ciclismo. Già, questa è in fondo la questione più importante: mentre noi in Italia declinavamo questo sport al nostro solito modo, Girocentrico e tradizionale, in questi posti cresceva e si affermava un ciclismo diverso, Tourcentrico e meno legato a certi schemi.
Le file davanti ai citati pullman, mentre i corridori facevano i rulli prima della crono, sono una notevole cartina di tornasole. Per un Damiano Cunego che, passeggiando indisturbato in bici, non incontrava attenzioni, davanti al mezzo della Saxo c'era una bolgia. E va bene, la squadra di casa, guidata da quel Riis tanto discusso ma in fondo in fondo ancora e sempre molto amato dai suoi compatrioti (concittadini, in questo caso). Una bolgia che, tra l'altro, avevamo notato anche nei giorni scorsi quando il pullman in questione era semplicemente parcheggiato davanti all'albergo.
Riis è Riis, quindi; ma allora la torma di persone intorno alla BMC, nell'attesa che si palesasse Hushovd (e invece poco distante, il pullman Liquigas non raccoglieva le stesse attenzioni, malgrado Basso)? I tantissimi in zona RadioShack (e di fronte, quasi ignorata una Euskaltel)? E soprattutto, l'assedio cinto intorno al pullman della Sky, vera e propria calamita, soprattutto quando dal mezzo è sceso il piccoletto iridato? Ecco, la svolta è tutta qui. Perché a noi potrà anche sembrare strano, ma c'è un mondo di ciclismo in cui il capofila riconosciuto è Cavendish, e i suoi rivali sono quelli come Hushovd. Un mondo in cui il Mondiale conta più di un Giro, e anche vincere tappe al Tour conta più di un Giro.
Il ciclismo marchiato Aigle è una realtà, che per noi scafati e vecchi suiveur potrà sembrare lontana, ma che esiste, e muove gente, denari, passione. È un ciclismo, o per meglio dire un modo di interpretare e vivere il ciclismo, con cui bisogna fare i conti, con cui bisogna misurarsi. Che bisogna avvicinare, volenti o nolenti. Ecco perché, al di là degli hotdog e delle belle e intraprendenti ragazze, e delle strade straboccanti di folla della piccola Herning, valeva forse la pena fare tutto questo viaggio, venire a beccarsi il freddo scandinavo: per provare a capire.