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L'intervista: Uno scalatore coast to coast - Santoro si allena sulle strade di Pantani

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Antonio Santoro in piena azione © Cicloweb.itCosa deve passare per la mente di un ragazzo che sogna di diventare un grande scalatore quando si allena sulle strade che hanno visto nascere lo Scalatore per antonomasia, quello che ha reso le sue pedalate leggenda e poi, sempre su queste strade ci ha lasciati, diventando al contempo un mito, il modello ciclistico per tanti giovani?

Lo chiediamo direttamente ad Antonio Santoro, in questi giorni in ritiro a Cesenatico con la sua Androni Giocattoli che alloggia proprio a pochi metri dall'imponente statua che raffigura il Pirata, Marco Pantani, impegnato nel suo caratteristico gesto tecnico.
«Ho sempre amato Pantani - racconta Antonio - sono cresciuto con le sue imprese, che poi ho visto e rivisto decine, forse centinaia di volte in dvd, videocassette, su internet, senza stancarmi mai. La figura carismatica di Marco è stata determinante per farmi intraprendere la strada del ciclista, ancor più perché mi sono ritrovato ad avere le sue stesse caratteristiche, quelle di chi, per vincere, deve staccare tutti gli avversari in salita. Nel 2010 fu un grande onore per me arrivare primo sul Colle Fauniera (sede d'arrivo di una tappa del Giro delle Valli Cuneesi, ndr), teatro di uno dei suoi capolavori e che ospita un altro monumento al Pirata. Anche lui, come me, cominciò a mettersi in luce con un podio al Giro d'Italia Dilettanti (nel 1990, ndr), speriamo la cosa sia di buon auspicio per la mia carriera (ride)!».

Intanto in cosa ti ha cambiato il primo anno da professionista?
«L'Antonio di oggi è ciclisticamente un'altra persona rispetto all'Antonio di 12 mesi fa che stava affrontando il suo primo ritiro da pro'. Ho imparato nuovi metodi d'allenamento, piuttosto diversi da quelli che applicavo da dilettante, e di cui ho già sentito i benefici nella seconda parte della stagione. Inoltre avere in squadra atleti di infinita esperienza come Bertolini o affrontare una salita assieme a gente del calibro di Rebellin, che nella sua carriera ha vinto grandissime corse, mi ha lasciato tantissimo, spero solo di riuscire a mettere in pratica i loro insegnamenti diretti o indiretti».

Soddisfatto della tua prima stagione?
«Abbastanza, specie della seconda metà, come detto. Nei primi mesi, anche a causa di qualche problemino di salute, non sono riuscito a trovare il ritmo giusto e ho faticato ad ambientarmi nel gruppo dei professionisti. Con il tempo e i suggerimenti dello staff tecnico sono entrato in condizione e mi sono tolto qualche piccola soddisfazione con qualche discreto piazzamento qua e là».

E dalla prossima cosa ci si può aspettare?
«Sicuramente dei miglioramenti. Sarebbe banale dire che mi piacerebbe cogliere la prima vittoria, quella se verrà sarà ben accetta ma voglio soprattutto continuare dimostrare di poter far bene nella categoria. Comincerò la stagione il 4 febbraio a Donoratico, nel GP Costa degli Etruschi, poi proverò a testarmi e, a fare una buona classifica se le gambe me lo permetteranno, nel Giro della Provincia di Reggio Calabria e nel Giro di Sardegna, sempre nel mese di febbraio, il resto lo valuteremo strada facendo. Ho capito sulla mia pelle che per fare ciò dovrò presentarmi al 100%, a differenza di quanto avrei potuto fare da dilettante, quando con una condizione approssimativa riuscivo comunque a salvarmi e rimanere con i migliori. Il sogno è ovviamente il Giro d'Italia, per la visibilità e l'esperienza che ti lascia, vedremo se il 2012 potrà essere l'anno dell'esordio nella corsa rosa».

L'Androni Giocattoli si sta rivelando la squadra giusta per te?
«Senza dubbio, sì! Se mi chiedessi i pro e i contro di questa decisione, ne saprei elencare tanti dei primi ma nessuno dei secondi. Non siamo una squadra World Tour, ma per la mia crescita questo fattore non ha alcuna importanza, sono riuscito a correre parecchio e in qualche occasione la squadra mi ha dato fiducia e ho avuto la possibilità di fare la mia gara, senza lavorare per i capitani, cosa che difficilmente avrei potuto pretendere in un ProTeam».

Continuerai a vivere in Toscana durante la stagione?
«No, ritornerò a Potenza. Non mi vergogno a dire che sono un amante della mia terra e quindi non farò fatica ad allenarmi e trascorrere in Basilicata i periodi tra una corsa e l'altra».

Cosa ti senti di dire ad un ragazzo che sogna di diventare professionista ma è nato in una regione che di ciclismo ne mastica poco?
«Che niente è impossibile, basta volerlo e, cosa non secondaria, avere le doti fisiche. Io, dopo aver preso il diploma da ragioniere, mi sono trasferito in Veneto e poi in Toscana, ma non ho avuto difficoltà a farlo perché mi piace viaggiare e conoscere nuovi posti. Basta fare qualche anno, quelli da dilettante, di sacrificio fuori dalla propria terra e poi, se si riuscirà a dimostrare il proprio valore, si potrà approdare al professionismo e magari tornare di nuovo a casa!».

Giuseppe Cristiano

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