Mondiali su strada 2011: Un fallimento prevedibile - Ma l'Italia doveva giocare meglio le sue carte
Fare il processo alla Nazionale italiana dopo il peggiore (lo dicono i numeri) Campionato del Mondo da quasi 30 anni a questa parte può essere un esercizio scontato e poco costruttivo nei confronti di un gruppo che comunque era sbarcato in Danimarca con pronostici tutt'altro che favorevoli. In ogni caso, facendo la tara ad un percorso sfavorevole e a uomini obiettivamente non di primissima fascia, cerchiamo di tracciare un primo bilancio.
Partiamo proprio dal percorso: può l'assoluto piattume danese rappresentare un'attenuante al flop azzurro? Assolutamente no. Abbiamo accolto con toni trionfalistici la perfetta prestazione dell'armata azzurra a Zolder 2002 e, senza andare così lontano, abbiamo esaltato giustamente la coppia Baccaille-Bronzini che ci ha portato uno splendido oro non più di ventiquattr'ore fa. Dopo tre mondiali mediamente duri (in crescendo di durezza da Stoccarda a Mendrisio) e uno mediamente facile, uno dedicato completamente ai velocisti - che pure hanno dovuto districarsi nel rettilineo d'arrivo di difficile lettura - a nostro avviso ci può stare, basta che non diventi la regola.
Il problema grosso è che stavolta, a differenza di Zolder, non avevamo l'uomo adatto al percorso e il migliore ce lo siamo fatti fuori con le nostre mani, ma non è nostra volontà addentrarci in questa questione spinosa. Bennati non vince una volata contro velocisti degni di tale nome da almeno un anno e mezzo e quest'anno i battuti dall'aretino si chiamano Dumoulin, Bouhanni, Martin Velits, Napolitano e Gasparotto, non Cavendish, Greipel, Farrar o Hushovd. Quindi diciamo che si poteva prevedere a cosa si andava incontro, portando il pur meritevole Daniele allo scontro diretto con i succitati. Difficile dimostrare che i Viviani e Modolo potessero dare più garanzie di lui, anzi per il secondo abbiamo in parte anche una controprova: affiancato a Greipel ai 200 metri, il tedesco va a prendersi il bronzo, il nostro si rialza e finisce quarantesimo. Non si vuole certo buttare la croce addosso a loro, tutt'altro, sono ragazzi giovani e talentuosi, hanno meritato a suon di risultati la convocazione e se il loro processo di maturazione continua come è cominciato, presto potranno togliersi diverse soddisfazioni.
Quindi, in volata prendiamo mazzate, terreno per provare a far selezione non ce n'è: che fare, avrà pensato il buon Bettini? Innanzitutto cerchiamo di essere presenti nelle fughe da metà gara in poi e il fido Paolini esegue alla lettera nel corso del decimo dei 17 giri e sarà a lungo in testa alla corsa. Ma un solo atleta basta? No, lo dice lo stesso commissario tecnico nel dopo corsa, almeno un altro doveva essere con lui e gli imputati hanno un nome e cognome ben preciso, Giovanni Visconti e Francesco Gavazzi. I due, per la verità hanno provato in più di un'occasione a rimediare all'errore ma nel corso delle tornate successive nessun atleta o gruppetto è riuscito ad evadere dal plotone condotto dai britannici.
Nel finale però abbiamo ancora sei uomini freschi, come li sfruttiamo? Cerchiamo di impostare un treno negli ultimi 4-5 chilometri, ma l'impressione è che è mancata la convinzione - e forse anche la forza - per affiancare e magari superare quelli già esistenti (quello britannico andava prevedibilimente esaurendosi, mentre un ottimo lavoro hanno fatto gli australiani), per portare fuori i nostri velocisti. Siamo perciò ovviamente restati chiusi e ci siamo disuniti, con Bennati che ad un certo punto (ai 1700 metri circa) si è trovato addirittura in seconda posizione, da solo, mentre gli altri lo cercavano nella pancia del gruppo.
In ogni caso il rettilineo finale permetteva (anzi, consigliava) di lanciarsi anche da dietro, quindi ancora era tutto in gioco, ma anche qui siamo un po' mancati. Oss e Viviani da una parte, Bennati da un'altra, Modolo da un'altra (ma pare che il fatto di tenere Sacha come battitore libero sia stata una scelta concordata e può essere condivisibile). Il trentino ha provato ad uscire sulla sinistra ed era affiancato a Cavendish, ma per essere la sua azione positiva, doveva avere a ruota il capitano, che invece è rimasto costantemente al centro della strada, senza mai dare l'impressione di avere il cambio di ritmo sufficiente per andarsi a piazzare. Stessa sensazione che si ha guardando Modolo che si è rialzato dopo aver subito un leggero contatto con un avversario a volata lanciata.
Insomma diversi fattori, a nostro avviso, hanno contribuito a quella che, numeri alla mano, possiamo ben definire una Caporetto. Percorso assolutamente non adatto ai nostri uomini migliori, disorganizzazione nel convulso finale e, perché no, anche un po' mancanza di gambe sul rettilineo conclusivo.