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Interviste Azzurre: Dategli una sponda, solleverà il mondo - Sacha Modolo dalla rinascita alla Nazionale | Cicloweb

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Interviste Azzurre: Dategli una sponda, solleverà il mondo - Sacha Modolo dalla rinascita alla Nazionale

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Sacha Modolo in un momento di relax tra una vittoria e l'altra © BettiniphotoChi scrive ha avuto la fortuna di seguire da vicino i suoi primi passi da professionista. Prima dell'esordio, prima del 4° posto alla Milano-Sanremo, prima dei 10 successi questa stagione 2011 che lo hanno proiettato in testa alle classifiche di rendimento e dei plurivittoriosi. In ritiro, il giovane Modolo era uno dei più compagnoni, dei più divertenti, dei più casinisti, ma anche uno dei più attenti quando Bruno e Roberto Reverberi davano le loro direttive e quando Giuseppe Lanzoni, l'altro ds Colnago-Csf Inox, raccontava qualche aneddoto e dava ai più giovani le motivazioni per affrontare le difficoltà di ogni giorno. Adesso Sacha (detto "Saka") è diventato grande, non solo per le vittorie, ma perché - parole sue - ha «capito di poter stare tra i professionisti».

Fosse la pubblicità di un'automobile diremmo: "Modolo, da 0 a 10 in 2 mesi netti".
«Eh già, ma d'altronde lo sapete meglio di me come funziona: quando vinci, quando ti sblocchi, poi viene tutto più facile. Cambiano le consapevolezze, cambia l'atteggiamento in corsa, cambia la cattiveria che scarichi sui pedali quando serve. E poi francamente ho perso anche un paio di chiletti di peso, quindi anche le salite le passo un po' meglio».

Raccontacela, la vittoria che t'ha sbloccato.
«Eravamo in Cina e lì non c'è mai una tappa semplice, ma quella era davvero dura. Davanti eravamo rimasti in 20 o giù di lì, c'era una salitella la cui disceva portava dritti all'arrivo. Mi son messo davanti e non mi hanno passato».

Eri comunque in Cina, un altro ciclismo, altri avversari. Il ritorno in Europa come l'hai gestito?
«Sapevo di aver battuto avversari di livello più basso, detto comunque con rispetto per dei colleghi professionisti, rispetto ai Cavendish, ai Freire, ai Bennati e così via. Però avevo vinto, quindi tanto piano non andavo...»

...così al Brixia Tour hai replicato.
«La vittoria al Brixia in realtà è venuta quasi per caso. Avevo anticipato la volata per cercare di far fuori Guardini ed aiutare in qualche modo il mio compagno Belletti. Mi ripresero all'arrivo...».

Quindi è stata più importante la vittoria al Brixia che al Qinghai Lake?
«Al Brixia ho battuto gente di maggior valore, quindi da un certo punto di vista si può dire che è stata la vera chiave di volta. Ma d'altro canto potrei dire che senza essermi sbloccato in Cina quell'anticipo avrebbe potuto non essere mai stato architettato».

Dopo arrivano i due successi in Danimarca e soprattutto il 2° posto di Londra in maglia azzurra. 
«In Danimarca avevo battuto gente come Bennati e Breschel e a Londra è stato bravo il ct Bettini a darmi grande fiducia già prima della gara: "Stai tranquillo, la volata la fai te", mi disse. Pensando a Londra ho anche qualche rammarico, perché il circuito era duro ma il chilometraggio era un po' troppo breve, soprattutto perché c'era una salita di 3 km da ripetere due volte che, se fosse stata affrontata due o tre volte in più, a mio parere avrebbe tagliato fuori Cavendish. All'Olimpiade del 2012, ad esempio, quella salita verrà affrontata 9 volte...».

Un'annata che era iniziata tutt'altro che bene: dal mancato invito alla Tirreno alla Sanremo corsa nelle retrovie, per finire con un Giro d'Italia corso molto al di sotto delle aspettative.
«Già, soprattutto al Giro sono andato male male. Alla Sanremo in fondo ero l'unico del gruppo di testa a non aver corso la Tirreno-Adriatico e mi sono arreso solo a 1 km dallo scollinamento del Poggio. Poi da lì stetti un mese male, ebbi la bronchite, andai al Giro d'Italia con pochissime corse nelle gambe e mi ritirai con la bronchite che tornò a farmi visita e che non mi faceva respirare. Alla fine del Giro ero davvero molto scoraggiato, non correvo e non riuscivo neanche ad allenarmi bene».

Il successo di Sacha alla Coppa Agostoni © BettiniphotoIn ogni caso dei 10 successi finora conseguiti possiamo dire che è la Coppa Agostoni quella che pesa di più.
«Sicuramente, anche perché c'era da affrontare il Ghisallo ed alla vigilia molti tecnici mi vedevano tagliato fuori dai giochi. Invece sono stato bravo a restare davanti, anche contro nuclei di squadre rimaste con cinque o sei atleti in testa, resistendo bene anche alla distanza e al gran caldo».

Fare da solo negli ultimi metri non sembra essere mai stato un grosso problema per te, sbagliamo?
«No, anche se avere una mano nel finale a volte ti fa stare più tranquillo, come successo nell'ultima vittoria al Giro di Padania, quando mi ha tirato la volata Belletti».

Adesso vedi Copenhagen e il primo Mondiale da pro', ma come sono iniziati i contatti col ct Bettini?
«Già dal Giro di Danimarca il mio ds Roberto Reverberi lo chiamava sempre quando mi comportavo bene nelle tappe».

Conoscevamo un Modolo determinato, ma sereno, se le cose andavano male. Uno che sorrideva davanti al 4° posto della Milano-Sanremo ottenuto da neopro', ma comunque analizzava la gara e recriminava se si rendeva conto che le cose avrebbero potuto prendere una piega migliore. È cambiato qualcosa a livello mentale?
«Adesso so che posso vincere, e di questo prima non avevo la certezza, quindi quando sbaglio mi arrabbio ancora di più (ride). E poi sono tornato a divertirmi in gara, ogni tanto scatto in salita, mentre prima le corse le subivo solamente».

E Reverberi ha un po' cambiato modo di correre da quando hai dimostrato di poter vincere tanto?
«Non direi, o almeno non così tanto. La squadra ha sempre la stessa filosofia, ovvio che se poi la corse si mette in un certo modo i direttori sportivi chiedono ai compagni di avere un occhio di riguardo per il sottoscritto. D'altronde sto bene e Roberto Reverberi ormai dice che quando si arriva in volata prendo almeno un podio, quando non vinco. Bruno (sempre Reverberi, ndr) poi non è per niente stupito dalla mia crescita, anzi, mi dice sempre che si stupiva quando andavo piano».

In squadra hai un amico-compagno-rivale come Belletti. Come state gestendo questo periodo?
«Con molta serenità. Quando si può ci si aiuta, quando uno sta peggio dell'altro si mette a disposizione, quando stiamo entrambi bene abbiamo la possibilità di fare ognuno la propria corsa. E poi Manuel quest'anno è stato solo più sfortunato, perché è arrivato sempre davanti anche se ha vinto meno. Poi nel ciclismo è così, se due corridori arrivano al fotofinish il primo è andato forte, mentre il secondo è andato piano. Fortunatamente il ct Bettini si è accorto della bella annata di Belletti e l'ha comunque convocato per i Mondiali».

Recentemente il ciclismo ha vissuto una pagina "nuova" legata alle proteste durante il Giro di Padania. Che puoi dirci a riguardo?
«È stata una situazione surreale, perché da una parte forse sono anche giuste le critiche di chi dice che quella corsa sia stata organizzata per scopi di propaganda, più che per questioni sportive, ma dall'altra è anche giusto che le squadre e i corridori che non corrono la Vuelta abbiano la possibilità di prendere il via a qualche appuntamento internazionale per preparare al meglio il Mondiale. In ogni caso i primi giorni è stato davvero un delirio, il mio compagno-stagista Colbrelli ha preso addirittura uno schiaffone da certi soggetti che erano ogni giorno alle tappe con la chiara intenzione di fare confusione; sputavano, spintonavano, insultavano, ma i facinorosi erano veramente sempre le stesse 15 persone, non di più. Poi è tutto un discorso complicato, perché se da una parte c'era la Lega Nord, tra gli sponsor c'erano due cooperative, quindi diventa anche difficile dare un giudizio. La cosa che ci ha fatto più arrabbiare però è la caduta capitata a Luca Mazzanti in discesa dal Pian delle Fugazze: c'era stata la notizia dello spargimento di chiodi sulla sede stradale che l'organizzazione ha provveduto a rimuovere, ma chi ci dice che la causa di quella caduta non è imputabile alle persone che protestavano? Cioè, perché rischiare di far così male a dei professionisti che stanno svolgendo il proprio lavoro e a cui nulla interessa dei colori politici della corsa a cui prendono parte?».

Sacha Modolo esulta al Giro della Danimarca © BettiniphotoMa, alla fine, tecnicamente questo Giro di Padania com'è stato?
«Molto buono, sia tecnicamente che a livello organizzativo. C'era pubblico, le strade erano chiuse al traffico per davvero ed è un bene che nascano corse così in Italia, un paese faro del ciclismo che però ha solo due squadre nel Pro Tour e che dunque rischia sempre di arrivare ai Campionati del Mondo con corridori che non hanno nelle gambe un grande giro come la Vuelta e neanche valide alternative nelle brevi corse a tappe europee».

Adesso vedi i Mondiali e rischi di correrli da protagonista. Che ci dici?
«Sono determinato, ma senza pressioni. Ho 24 anni e sono al mio secondo anno da pro'. So che non posso andare in Danimarca a fare brutta figura, perché per fortuna l'Italia è un grande nazione a livello ciclistico e certe cose non si perdonano. Ma non sono il tipo a cui piace farsi massacrare, quindi so che darò il massimo. E, se starò bene, il mio massimo potrebbe essere più che sufficiente per ottenere buone cose».

Con i tuoi ex compagni alla Zalf avete già parlato di tattiche di corsa in maglia azzurra?
«No, no, siamo stati tutti molto scaramantici finora e né con Oss né con Gatto abbiamo fatto mai accenno a niente riguardo al Mondiale».

Mario Casaldi

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