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Giro d'Italia 2011: Un'impresa impossibile? - Unire un paese diviso dalla politica

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L'Italia vista dal satellite - Foto Michelenigro.wordpress.comCaro Giro, quest'anno ti sei dato l'impegnativo compito di rappresentare l'Italia unita nel centocinquantenario dell'Unità. Ti sei autonomamente fissato degli appuntamenti topici in luoghi che tutti ricordiamo (o dovremmo ricordare) dalle scuole elementari, e indubbiamente il fatto che tu li abbia toccati (o li stia per toccare) ci rinfresca la memoria su come eravamo, e come ci siamo evoluti, e soprattutto da dove.

Venirti dietro da nord a sud, percorrendo questo paese ancora punteggiato da tante bandiere tricolori ritirate fuori dai cassetti non per una vittoria della nazionale di calcio, ma semplicemente perché in tanti si sono resi conto che si poteva smettere di vergognarsi per un sentimento chiamato "patriottismo", ci ha dato l'opportunità di riflettere, riflettere su tante cose, nei pochi momenti in cui le vicende di Contador e Nibali, Petacchi e Cavendish, Weening e De Clercq, lasciavano spazio ad altro nelle nostre menti solitamente riempite di ciclismo.

Non ci illudiamo di aver capito meglio l'Italia, in questi giorni e in questo viaggio da Torino a Catania, o forse sì; o piuttosto, non abbiamo avuto altro che delle conferme su cose che sospettavamo, e qualche squarcio di illuminazione su cose che non immaginavamo.

Siamo partiti dalla Reggia di Venaria e non abbiamo potuto fare a meno di ammirarne la magnificenza e di riflettere sul fatto che decenni fa c'erano famiglie (persone) ricchissime che avevano privilegi enormi a fronte di una popolazione in parte povera e in parte poverissima; famiglie che avevano decine di residenze sparse qua e là per il paese, magari per usarle una volta all'anno o anche mai, chissà, forse se le costruivano (o compravano) solo per il gusto collezionistico di averle. Ci diciamo che oggi le cose sono cambiate, ma forse tra 50 anni un Giro d'Italia partirà da Villa Certosa in Sardegna e i nostri successori scriveranno che ancora negli anni '10 del XXI secolo c'erano famiglie (persone) che avevano privilegi enormi - tra cui quello di collezionare ville - a fronte di una popolazione in parte povera e in parte poverissima.

Il nostro è un paese in cui l'enorme fortuna di aver ereditato un territorio magnifico (pensiamo alle splendide colline che abbiamo attraversato nel senese, a certi scorci del litorale ligure, o campano, o calabrese, al paesaggio fantascientifico dell'Etna) la sviliamo col nostro essere un po' spreconi, anzi molto spreconi, spreconi e irrispettosi di quello che abbiamo avuto in dote per il solo fatto di essere nati in questo paese.

Paesaggi stupendi e monumenti incredibili (per esempio, quale corsa ciclistica può avere la partenza accanto a un Duomo di Orvieto, o avere l'arrivo su una Piazza Vittorio Veneto?), affiancati troppo spesso da brutture che noi, con la nostra insipienza, con la nostra superficialità, negli anni abbiamo disseminato qua e là per il territorio, deturpandolo a volte irrimediabilmente. Piange il cuore a vedere alcuni osceni scenari di casermoni cadenti di cemento smangiato dal tempo e dall'incuria, di orrende cattedrali nel deserto che nacquero per essere capannoni industriali e a cui è rimasta solo l'aura di sintomo dell'incapacità dell'uomo italico di conservare quel gusto estetico che pure un tempo, secoli fa, era un tratto distintivo di queste genti.

Dove va l'Italia che tu attraversi, caro Giro? Sempre più spesso, nei giorni e nei luoghi in cui siamo passati con te, abbiamo sentito dire che "qui non ci sono più soldi", che "i coreani si stanno comprando questa città", che "i cinesi si stanno comprando quest'altra città", e accanto a chi gioisce della festa rosa che tu porti direttamente nelle case della gente, nelle piazze che queste persone frequentano, c'è sempre qualche voce dissonante di chi si lamenta dell'assurdità che questa o quella amministrazione locale abbiano trovato 300mila euro per ospitarti, caro Giro, e poi taglino questo o quel servizio, o si dimentichino di aiutare questa o quella categoria in difficoltà, o smettano di sostenere chi ha perso una casa per una frana, o un lavoro per una delocalizzazione, o un senso d'appartenenza al luogo natio per un'obbligata emigrazione.

È pur vero che le amministrazioni hanno un grande ritorno d'immagine ospitandoti, e che tu, caro Giro, devi comunque rientrare dei tuoi alti costi. Ogni maniera è utile per alzare qualche soldino, anche la connessione alla rete da pagare 18 euro al giorno nella tua sala stampa, tanto che il giovane giornalista locale a cui pagano 3,10 euro ad articolo preferisce tutto sommato soprassedere. E non sarebbe poi un problema così grave se avessimo, in questo benedetto paese, delle autostrade telematiche all'altezza di quelle del resto d'Europa, ma si sa che l'Italia ha più bisogno di investimenti nel digitale terrestre (tv, sempre tv, ci serve sempre più tv!) che nel futuro rappresentato dalla rete, dal web, da internet.

Del resto, possiamo dire che sia un caso che le citate autostrade telematiche abbiano tanti buchi e tanti restringimenti di carreggiata e tanti lavori perennemente in corso, se questa è la stessa identica situazione delle autostrade vere e proprie, sintetizzate mirabilmente nel vero monumento simbolo di questo paese da decenni in fase di stallo, ovvero la mitica Salerno-Reggio Calabria? Un luogo ormai virtuale anch'esso, perché non è possibile che esista nella realtà, non è possibile che sia vero che da decenni non si riesca a completare quattro, o sei corsie, o quante ne volete.

L'orrore di quel tracciato lisergico resta addosso, e negli occhi di chi, smarrito perché magari proveniente da paesi in cui una cosa del genere sarebbe inconcepibile, si chiede che razza di popolo distratto o complice permette una cosa del genere.

Caro Giro, dagli alpini beoni che hanno invaso Torino ai messinesi speranzosi che hanno acclamato l'ultimo principino del ciclismo italiano, abbiamo visto anche tante facce di italiani, in questi giorni. Anche quelle sinceramente commosse dalla tragedia di Wouter Weylandt, quelle che hanno applaudito il passaggio della carovana nel giorno del triste funerale ciclistico di quello sfortunato ragazzo belga che quasi nessuno conosceva, tra quelli che ne hanno acclamato la memoria con quei numeri 108 esibiti in maniera via via meno sentita, dopo il primo giorno, e via via più pelosa, ahinoi, uno striscione in cambio di un'inquadratura, nell'obbligo di condividere a fini anche televisivi la tragedia, qualsiasi tragedia, in fondo siamo la gente che stava 24 ore in fila per guardare con un pizzico di morbosità (e per poter dire: "Io c'ero!") una salma recentemente diventata santa per le burocrazie ecclesiastiche.

Il paese dell'"io tifo per tutti" (ma spesso solo perché chi lo dice in realtà non conosce nessun ciclista...) è forse un'altra faccia del "sono tutti uguali" che si traduce nel "tanto peggio tanto meglio" e che è cugino di primo grado del "ci piace l'uomo forte che decide tutto lui". Ma mentre il rocker giustamente canta che "da qua se ne vanno tutti", e il precariato pervade corpi menti e sogni e speranze, lasciando dietro di sé macerie di depressione cosmica, e mentre un'intera generazione di giovani va a remengo dalla mattina alla sera, ci viene il sospetto che forse ci meritiamo qualcosa di meglio, qualcosa di più.

Perché poi è (strano ma) vero che il Giro unisce, che ci porta incontro ad amici che non vedevamo da una vita, che ci fa riscoprire angoli d'Italia che avevamo dimenticato, e starci dentro è peraltro come muoversi in una bolla dimensionale altra, al riparo dalle brutture quotidiane - per esempio - di una campagna elettorale fatta e pensata invece per dividere, un altro luogo dello spirito che ci è giunto, in questa carovana rosa, ovattato e lontano, da cui ci siamo volentieri riparati pensando alle vicende di Contador e Nibali, Petacchi e Cavendish, Weening e De Clercq, come se poi non dovessimo più tornare a casa a ripiombare nella prossima campagna elettorale (ce n'è sempre una dietro l'angolo).

Caro Giro, grazie perché ci unisci, in un paese che la politica scientemente disgrega, grazie perché ci fai sorridere e pensare, perché ci diverti e in fondo grazie semplicemente perché esisti. E perché ci ricordi che c'è sempre una fuga possibile. Non dall'Italia, né dalla realtà, ma una fuga in avanti, verso il traguardo che ognuno ha e si pone. Spessissimo si verrà ripresi dal gruppo, rifagocitati dalla massa. Ma chiedetelo a un ciclista: provarci, scattare, tentare di inseguire un sogno: ne vale sempre la pena.

Marco Grassi

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