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Liegi-Bastogne-Liegi 2011: Schlecks, un film visto e rivisto - Ma la quaterna di Gilbert fa epoca

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I fratelli Schleck non sono riusciti a impensierire Philippe Gilbert nella Liegi © BettiniphotoLa chiave tattica della Liegi-Bastogne-Liegi: no, a differenza di molte altre volte, non bisogna scavare più di tanto per trovare il bandolo della matassa.

Anche se non è particolarmente lusinghiero nei confronti di due atleti che comunque sono tra i più in vista del gruppo, il giudizio da esprimere è un pollice verso nei confronti dei fratelli Schleck. Come in un film già visto tante e tante volte, ancora una volta i due lussemburghesi hanno dimostrato proprio di non saperci fare. Correre per vincere è una cosa, e poi c'è il correre alla Schleck, che è un modus operandi che 98 volte su 100 si conclude con una sconfitta sonora. Anche quando si potrebbe invertire la rotta. Anche quando si è in superiorità numerica. Anche quando basterebbe un piccolo scatto di fantasia per far andare diversamente le cose.

Se non li avessimo visti troppe volte impegnati a non graffiare Contador al Tour (per restare agli esempi più lampanti), potremmo pensare che oggi abbiano vissuto una sorta di soggezione nei confronti del campione più forte, un Philippe Gilbert impegnato a inseguire e poi centrare un filotto che vale una carriera. Ma proprio perché li abbiamo già visti in azione contro Contador, da subito non abbiamo avuto dubbi: sin da quando, sulla Côte de la Roche aux Faucons, hanno rotto gli indugi in maniera onestamente spettacolare (l'attacco congiunto di due fratelli in un simile scenario è qualcosa di immaginifico, ammettiamolo), è bastato vedere Gilbert che non mollava loro un metro, per emettere la sentenza più scontata: "lo portano al traguardo e lui vince".

Ed è andata proprio così, 20 chilometri di processione a tre il cui epilogo era già scritto: non un attacco, da parte dei fratelloni, non un tentativo di staccare l'avversario che - si sapeva - con estrema facilità li avrebbe battuti allo sprint. Nemmeno sfiorati dall'idea di poter sorprendere il vallone, di potersi inventare un buco, un tranello, un qualcosa, rassegnati a tutto e pronti a niente. Insomma, i perfetti sparring partner per un pugile che non ha quasi dovuto colpire i rivali per mandarli al tappeto: appena uno scatto in cima al Saint-Nicholas, da parte di Philippe, scatto con cui ha staccato temporaneamente Andy (poi rientrato). E poi la volata, ovvero nient'altro che la firma da mettere in calce al patto di non aggressione stipulato e già siglato unilateralmente dai rappresentanti del neutrale Lussemburgo.

Una non belligeranza che, a questo punto, può essere giustificata dall'ormai radicata consapevolezza che gli Schleck non sappiano correre: tatticamente una frana, frenati da chissà cosa nel progetto - che sarebbe palese per qualunque ciclista della domenica - di attaccare a turno per fiaccare le resistenze di un avversario in inferiorità numerica, corrono per il secondo posto e se va bene a loro, a noialtri non rimane che metterci l'anima in pace.

Riguardo a Gilbert invece, non è il caso di ricondurre la sua vittoria odierna all'insipienza tattica degli Schleck, anche perché sul vallone c'è ancora tanto da dire. Avevamo scritto nei giorni scorsi che una vittoria nella Liegi avrebbe lanciato definitivamente il capitano della Omega Pharma nell'Olimpo, e così è stato: sulla rampetta di Ans, Gilbert non ha fatto altro che raccogliere i frutti finali di un lungo percorso che l'ha portato prima da grande promessa a corridore tutto genio e sregolatezza (in gara, s'intende), poi a vincitore di corse di secondo piano, poi a razziatore di corse importanti ma non ancora (o non più) monumentali, e infine, oggi, a incontrastato dominatore delle classiche.

La quaterna spiattellata in 10 giorni, Freccia del Brabante, Amstel Gold Race, Freccia Vallone, Liegi-Bastogne-Liegi, è qualcosa di unico e fin qui irrealizzato: Rebellin aveva vinto Amstel, Freccia e Liegi nel 2004, ma Gilbert quest'anno ha aperto le danze già in Brabante, dopo aver peraltro conquistato due podi a Sanremo e Fiandre (e aver inserito nel palmarès anche altre vittorie, non ultima quella nella Strade Bianche). Nelle corse di un giorno, non ne esiste uno come lui. Anche il mirabile Cancellara che macina il pavé (ma che, alla fine della fiera, quest'anno ha raccolto quasi niente) non è mai stato competitivo sulle Ardenne.

I confronti andranno fatti quindi con chi è venuto prima di Philippe, con gente che sapeva vincere su ogni percorso da classica (un Bartoli, per non andare troppo indietro coi ricordi), ma il bello di Gilbert è che si trova ancora nel pieno della carriera, con tanto di inespresso ancora dentro di sé, e con margini di miglioramento che non paiono fin qui esplorati. Visto il panorama circostante, non è difficile profetizzare al vallone altri anni di dominio incontrastato.

Quel dominio che un tempo fu di un'Italia che oggi invece arranca. A Liegi, Nibali ha dato una parvenza di onorabilità alla nostra spedizione, che porta a casa l'ottavo posto del siciliano, il 16esimo di Cunego e non molto altro. Anzi, se si eccettua la bella prestazione di Enrico Gasparotto, in fuga già sulla Côte de la Haute-Levée e poi protagonista sulla Redoute, e la presenza di Dario Cataldo e Damiano Caruso nella medesima fuga, si può dire che non rimane praticamente niente.

Non si è visto Basso (disastroso il suo rendimento sulle Ardenne: 50esimo alla Freccia, 72esimo oggi), si è visto pochissimo Di Luca, naufragato nella giornata negativa della Katusha: la formazione italo-russa era attesa a grandi diversioni per intrappolare Gilbert in una rete che, nelle intenzioni, doveva essere tessuta dalle tante punte del team. Invece gli uomini di Parsani scontano una gara anonima di Joaquim Rodríguez, e l'incapacità, da parte di Kolobnev, di cogliere gli attimi buoni per entrare nelle azioni decisive.

Molto più efficace l'Astana, che oltre a un Gasparotto in grande spolvero (e a un Kessiakoff in fuga e a un Di Gregorio spesso nel vivo dell'azione), ha esibito un Kreuziger sveglissimo nel finale, quando ha saputo inserirsi nel primo drappello inseguitore, fino ad andare a prendere il quarto posto finale. E solo un problema meccanico di Vinokourov sulla Roche (mentre gli Schleck si muovevano) ha tolto di mezzo colui che avrebbe potuto essere il finalizzatore del team kazako. Ed efficace pure la Rabobank, che a un certo punto aveva due uomini all'attacco (Ten Dam e Gárate), ma che si è ritrovata priva della vena di un Gesink tra i più deludenti della campagna ardennese.

Chiusa oggi la fase delle grandi classiche, abbiamo davanti un paio di settimane per ricaricare le energie in vista della stagione dei grandi giri. Il Giro d'Italia è già alle porte, qualcuno dei suoi personaggi l'abbiamo visto all'opera in questi giorni (da Kreuziger a Nibali, da Rodríguez ad Antón) nelle gare del nord; altri, per voglia o per necessità, si sono un po' nascosti (lo scialbo Contador della Freccia, per dire). Dal 7 al 29 maggio, di sicuro, non potranno più farlo.

Marco Grassi

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