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L'intervista: Valentina, DNA da ciclista - Carretta: «Tifo Ivan, imparo da tutte»

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Valentina Carretta in azione all'ultimo Giro d'Italia © Cicloweb.itIl sorriso è profondo. E c'è la passione, profonda anch'essa, per il lavoro che svolge e che ama, perché «in questo sport senza passione non si va da nessuna parte». Valentina Carretta, varesina di Caravate, è nata il 16 settembre 1989 e studia da campionessa. Mantiene il profilo basso, come il campione per cui fa il tifo. Si gode gli sgoccioli dell'inverno ciclistico, gli ultimi giorni di meritato riposo. È appena tornata dalla palestra. «Per rimettere in moto il fisico come si deve. Palestra, corsa a piedi e nuoto. Cerco di non stare mai ferma». Ripensa, con il sorriso sulle labbra, alle soddisfazioni appena colte nella stagione passata, vissuta, ormai morta come una foglia d'autunno. A quell'inizio un po' stentato, al Giro d'Italia ed al terzo posto nella classifica riservata alle italiane. A quella ciliegina sulla torta chiamata Mondiale. Intenso, sospirato, in sospeso sino alla fine. La presenza di Valentina tra le titolari azzurre è stata incerta come la volata che ha portato Giorgia all'iride. L'ormai da tre anni "orsetta" condivide come e più di tutte le altre ragazze questo trionfo. «Giorgia era la mia compagna di stanza a Melbourne. Mi ha sempre rassicurata, dicendo di credere in me stessa, senza paure». Ma Valentina Carretta non è stata solo una delle azzurre. La sua stagione le ha consentito di maturare, imparando dal presente ciò che le sarà utilissimo in futuro.

Eppure nel 2010 non eri partita benissimo.
«Proprio per niente. Ho dovuto ritardare la preparazione di un mese a causa di problemi fisici. Eccessiva perdita di peso. Così ho esordito in Belgio, all'Omloop Het Nieuwsblad».
Il tuo Mondiale, raccontacelo.
«Un'emozione indescrivibile, anche se ero già stata riserva l'anno scorso a Mendrisio. Insieme alla Callovi ed alla Patuzzo dovevamo curare la prima metà di gara. Perciò durante i primi giri dovevamo far sì che non andasse via nessuna fuga senza almeno una di noi al suo interno. Ho provato a portarne via una insieme alla Samplonius, per provare a riprendere la Curi Mattis. Purtroppo il gruppo è sopraggiunto su di noi dopo poco. L'altro mio compito era quello di star vicina alla Guderzo. Nel caso Tatiana avesse avuto qualsiasi problema avrei dovuto aiutarla».
Tutti conosciamo il finale di della storia. Come consideri questa trasferta?
«Ho ricevuto molti complimenti sia dalle ragazze della Nazionale sia da chi mi ha seguita in tv. Ho dato il cento per cento e credo di aver disputato una bella gara. Finché ne ho avuto ho provato a stare lì con le migliori. Ci sono riuscita sino a metà gara. Come ha detto la Bronzini, è stata una vittoria corale. Ognuna di noi ha dato il meglio di se stessa. Come trasferta mi è molto servita, è stata la più bella che abbia vissuto, e questo lo dico a prescindere dal risultato colto. Mi ha insegnato davvero tanto, il gruppo della Nazionale è meraviglioso».
La tua stagione prima di Geelong.
«Ho corso moltissimo all'estero, anche perché il calendario italiano non offre molte gare. Ho voluto inoltre misurarmi con grandi campionesse, ma naturalmente arrivare davanti è davvero difficile, sono ancora molto giovane. Ho avuto un percorso molto regolare, periodi di forma e di scarico. Non ho ottenuto risultati particolarmente rilevanti, devo ammetterlo, ma non sono quasi mai uscita dalle prime venti nelle corse a cui ho preso parte. Allo Sparkassen Giro, in Germania, sono arrivata quinta, e lo considero più che buono. Ho preparato nei minimi particolari ogni appuntamento importante. Il mio allenatore, Lucio Rigato, mi ha seguita nella preparazione passo dopo passo. Abbiamo anche effettuato ritiri in altura, a Livigno in vista del Giro, ad esempio».
Valentina con il suo direttore sportivo Lucio RigatoTerza nella classifica riservata alle italiane.
«Esatto, è stata una soddisfazione classificarsi terza in quella speciale classifica, anche se ad un bel po' di minuti dalla Abbott. Io, che non sono una scalatrice, vado piuttosto fiera di questo risultato».
Come hai vissuto questo Giro d'Italia?
«Sono una che va bene sulle salite brevi, mentre al Giro ce n'erano di veramente impegnative. Troppo dure per le mie caratteristiche. Fino alla tappa di Arcisate me lo sono veramente goduto, provando anche a dire la mia in quella tappa, dove sono stata molto attiva, ed in quella del Lago d'Orta. Poi sono giunte le frazioni per le scalatrici. I paesaggi attraversati erano stupendi, su questo nulla da obiettare, ma per le mie caratteristiche c'era poco da dire in frazioni come quella di Livigno o dello Stelvio».
Diplomata in Tecnico della grafica pubblicitaria.
«Sì, tutto ciò che sia inerente alla grafica ed alla pubblicità. Per fare un esempio, la brochure di presentazione della squadra l'ho creata io».
Autodidatta.
«In realtà mi hanno sfruttata... A parte gli scherzi, è un lavoro che ho svolto più che volentieri».
Vieni da una famiglia che ha il ciclismo nel DNA.
«Lo zio Luigi Botteon ha corso qualche anno tra i professionisti. Mio papà Gian Luigi, invece, ha gareggiato tra i dilettanti. Ma ho vissuto più da vicino il percorso di Giorgio, mio fratello, che è giunto a correre sino agli Under 23. L'ho sempre visto come un modello al quale ispirarmi. Ero piccolina ma già in molti mi dicevano di provare a correre. Io non ne volevo proprio sapere della bicicletta, chissà poi perché. Alla fine ho "ceduto"; prima qualche allenamento, poi alcune lunghe pedalate, sino ad arrivare alla mia prima gara. Avevo 7 anni, era il 1997, e ricordo che a Lavena Pontetresa arrivai quinta assoluta, correndo contro i maschi. Da lì in poi non ho più smesso».
C'è anche mamma Emanuela.
«Eh sì, anche lei è stata una ciclista. Era molto giovane, correvano gli anni Settanta e si ritrovò a gareggiare contro campionesse del calibro di Maria Canins o Morena Tartagni. Ha avuto le prime delusioni della sua carriera e mia nonna le ha detto: "È meglio che ti trovi un lavoro". E lei ha seguito il consiglio. Ora è impiegata nella carrozzeria di mio zio mentre prima lavorava in una pasticceria».
Valentina con il suo cagnolino LaikaQuali sport hai praticato prima di dedicarti ciclismo?
«Ai tempi delle elementari ho praticato per qualche anno ginnastica artistica, seguendo la mia amica del cuore, Sonia. Non ero molto portata, così decisi di iscrivermi a pallavolo, giocando poche partite. Alla fine scelsi il ciclismo, era lo sport in cui ottenevo risultati. Si sa, quando arrivano i risultati l'entusiasmo aumenta. In realtà è sempre stata la passione a guidarmi».
La famiglia ti avrà aiutato molto a realizzare il tuo sogno.
«Mi hanno sempre sostenuto e lo fanno tuttora. In Italia i miei genitori mi accompagnano ad ogni gara. A volte mi fanno delle belle sorprese anche quando gareggio all'estero, venendo a trovarmi. Hanno comprato una moto con la quale è più facile seguirmi di gara in gara. Inoltre ho Giorgio, che quest'anno mi ha seguita di persona nel Giro d'Italia e nel Giro di Toscana».
Chi sei giù dal sellino?
«Giù dalla bici sono una ragazza normalissima. Amo stare con gli amici, uscire a cena con loro a chiacchierare, andare a bere qualcosa. Non amo le discoteche. Nel tempo libero mi piace anche navigare su Internet, ascoltare musica. Non ho un genere prediletto, ascolto un po' di tutto, a seconda di come mi sento. Però il mio cantante preferito è Biagio Antonacci. Sono un'appassionata di fotografia, che ho studiato a scuola. Per questo cerco sempre di portare con me la macchina fotografica, scattando tante foto, che mi piace riguardare dopo qualche mese o qualche anno».
Sei anche un'ottima modella.
«Quel servizio fotografico è il regalo di compleanno di una mia carissima amica. Ha uno studio fotografico ed ha voluto farmi questo regalo. Lì ho scoperto quanto sia faticoso e difficile stare in posa per ore ed ore. Sono foto particolari, che rimarranno sicuramente nei miei ricordi».
Smettendo i panni della diva, parlaci dell'ambiente della Top Girls.
«È la squadra ideale in cui crescere, e non lo dico perché è la mia squadra. C'è Lucio Rigato che è come un "padre" per tutte noi ragazze. Sottolinea sempre l'importanza del gruppo, fattore più decisivo delle vittorie. Infatti anche quest'anno ha creato una squadra compatta e soprattutto giovane. In Top Girls vuole ragazze che abbiano tanta voglia di pedalare e crescere, sia ciclisticamente che umanamente».
Valentina con la neoiridata BronziniCosa si impara?
«Si impara molto, sia nell'ambito ciclistico che umano. La Top Girls è una famiglia che ti insegna giorno dopo giorno a crescere mentalmente, non solo ciclisticamente. È un gruppo che ti aiuta proprio dalla A alla Z. Da quest'anno avremo come direttore sportivo anche la nostra ex compagna, Laura Pisaneschi, che salirà sull'ammiraglia. In Top Girls tutti ti aiutano per qualsiasi problema, facendoti prendere le tue responsabilità, com'è giusto, ma sostenendoti in ogni modo. Penso sia davvero una fortuna trovare persone di questo spessore».
Il 2010 è stato il tuo terzo anno alla Top Girls.
«Dopo aver corso da junior con la Ju Sport di Gorla Minore avevo iniziato il primo anno da Under 23. A settembre 2008 ho avuto la fortuna di essere contattata da Lucio Rigato e di poter correre con la Top Girls. Il passaggio è molto notevole, tra juniores ed Élite c'è un'enorme differenza, sia per quanto riguarda la tecnica di gara che la durezza dei percorsi e delle andature. Devo dire che mi sono adattata piuttosto in fretta e non ho risentito molto di questo salto. Correre il finale della stagione 2008 con la Top Girls mi è servito molto per capire come sarebbe stato il mondo delle Élite e per svolgere una preparazione invernale seria ed adeguata».
Cos'avresti fatto se non fossi diventata una ciclista?
«Bella domanda! Avrei continuato l'Università, pensando ad una specializzazione in grafica o fotografia».
Università e ciclismo sono incompatibili?
«Per l'Università che avrei voluto frequentare io sì. Intanto ci sarebbe stata la necessità di spostarsi a Milano. Alla fine il tempo per la bicicletta non sarebbe stato molto. Ne ho parlato anche in famiglia, mi hanno dato l'opportunità di provarci. E poi mi sono data alcune scadenze».
Posso chiederti quali?

«Non mi sono data un tempo ben preciso, ma ho pensato alla maturità ciclistica, a quando si raggiunge. Ho visto che ciò accade tra i 25 ed i 26 anni. Quindi se entro tre o quattro anni non vedrò miglioramenti nelle mie prestazioni spero di riuscire a capire che sarà giunta l'ora di cercare un altro lavoro. Ovviamente non me lo auguro. Per adesso le mie soddisfazioni me le sono levate, spero di continuare a farlo e di migliorare sempre, anno dopo anno».
Qual è la corsa che vorresti vincere a tutti i costi?
«Quello che mi piacerebbe veramente vincere è una maglia tricolore. Sarebbe un bell'inizio. Certo, ho tanti altri obiettivi, ma per adesso sto con i piedi per terra».
Nel 2009 la tua prima vittoria da Élite, nella cronometro di Romanengo. Com'è invece il tuo rapporto con la pista?
«Io e la pista non siamo fatte l'una per l'altra. Ho provato a svolgere alcuni allenamenti quando militavo nelle categorie giovanili ma devo dire che non mi trovo a mio agio. Perciò ho deciso di dedicarmi alla strada e lasciar stare la pista. La cronometro invece mi piace. Tra le Juniores ho fatto un terzo posto ai Campionati Italiani. È una specialità che mi interessa ma che non ho mai approfondito perché ho sempre preferito dedicarmi alle corse in linea. Mi piacerebbe già da quest'anno riprendere a svolgere allenamenti specifici per le cronometro e vedere cosa riesco ad ottenere».
A chi si ispira Valentina Carretta?
«Un po' a tanti corridori, non ad uno in particolare. Mi ispiro alle ragazze della Nazionale Italiana, che sono più esperte di me e sanno darmi tanti consigli. Inoltre cerco di prendere da ciascun ciclista i suggerimenti migliori e metterli insieme, facendone un minestrone. In questo sono molto eclettica. Quando gareggio fianco a fianco con campionesse come la Vos, la Pooley o la Cooke mi rendo conto che ogni loro minimo gesto ha una valenza enorme, è un insegnamento vero e proprio. Ma come persona e corridore mi ispiro a Ivan. Io tifo Ivan».

Francesco Sulas

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