Il Portale del Ciclismo professionistico

.

Processo al Tour de France: L'accusa - Un buco nero in mezzo alla stagione

Versione stampabile

Andy Schleck e Alberto Contador sul Tourmalet - Foto Roberto BettiniScrivere una formulazione d'accusa contro il Tour de France: come se fosse facile. Come se fosse facile andare contro i sentimenti, pretendere di stralciarli nel momento dell'analisi. L'anno prossimo saremo di nuovo tutti là, come allocchi davanti all'ennesima tappa di Pau, a sperare che qualcuno faccia il vuoto sull'Aubisque e difenda il vantaggio nei 60 km che separano la vetta dal traguardo. Un po' perché non impariamo mai dall'esperienza, un po' perché, per la legge dei grandi numeri, prima o poi...

Prima che arrivi quel poi, l'urgenza è però quella di fissare alcuni punti critici. Perché conviene farlo inter nos prima che ci pensi qualcun altro dall'esterno (un gigante come il Tour può non avere nemici?). O, peggio, prima che se ne accorgano quelli che, con immutata (finora) passione, riempiono le strade di Francia e lo share delle trasmissioni televisive.

Il Tour funziona? Apparentemente sì, sempre più forte di tutto quel che gli passa dentro e accanto; ma da dove trae questa forza, la Grande Boucle? Da dove, se non dal pubblico che la segue indefesso, malgrado troppi tradimenti, troppe promesse (di spettacolo) andate al vento, troppe delusioni, troppi pisolini davanti alla tv? E allora questo pubblico, perno intorno a cui ruota l'intero baraccone, va rispettato oggi per non essere perduto domani. E non si sottovaluti la questione, perché senza pubblico il ciclismo muore (non quello delle garette tra amici, s'intende; parliamo del ciclismo professionistico).

Come esce il suddetto pubblico dal Tour 2010? Esattamente come era uscito da quello del 2009; e del 2008; e del 2007; e del 2006... Con le ossa rotte. E se nei primi tre anni di quest'ultimo lustro erano stati scandali doping (più o meno "montati" ad arte) a offuscare l'immagine della Grande Boucle (e a causare una discreta fuoriuscita di tv accreditate, parliamo principalmente di quelle tedesche), in queste ultime due edizioni è stata la noia a fungere da deterrente alla visione della corsa francese. Tanto che qualcuno rimpiange i blitz della Géndarmérie («Almeno si provava qualche emozione, era già qualcosa in confronto a questo recente stare inerti al cospetto del nulla»).

Perché il Tour è spesso brutto? Che senso ha che sia così? Perché la vetrina del ciclismo oggi non dev'essere all'altezza della storia e della tradizione di questo sport? Perché, se ci pensiamo un attimo, ci rendiamo conto che il Tour e il ciclismo sono due pianeti distinti e in qualche modo avulsi. Noi amanti del ciclismo ci divertiamo come matti a seguire le grandi classiche. Andiamo a spulciare risultati e sintesi (spesso punitive) di corse a tappe di seconda fascia, trovandovi spesso (se non sempre) buone ragioni per gettare quello sguardo. Ci esaltiamo col Mondiale, delle cui mille sfaccettature continuiamo poi a dibattere per tutti i mesi invernali, fino alla nuova stagione. E, bontà sua, col Giro d'Italia "facciamo la gamba", o meglio, la bocca: ci prepariamo mentalmente all'appuntamento principale della stagione e gradiamo una corsa tanto schizzata come spesso è il nostro caro Giro.

Poi arriva luglio, e tutti ci mettiamo davanti alle tv che in maniera sempre più espansa coprono l'evento degli eventi. Ma col passare degli anni, questa pratica ha assunto connotati nuovi: se prima mettersi a guardare il Tour era una festa, ora diventa sempre più quasi un dovere. Un po' come la messa la domenica, c'è sempre una minoranza di buoni e ferventi cattolici, che amano l'appuntamento settimanale col Signore; ma poi c'è una maggioranza di persone che in chiesa ci vanno per tradizione, per abitudine, per non scontentare mamma, per vedere un po' di gente almeno una volta ogni 7 giorni, perché il vicino non pensi che sono miscredenti. Che valore ha seguire una messa per ragioni che non sono la messa?

Il Tour e il ciclismo: due mondi ben definiti e ben distinti, s'è detto. Se chiediamo a un campione di normali cittadini un parere sul ciclismo, in molti diranno che è uno sport noioso, in cui si vedono dei tizi pedalare per ore senza che avvenga alcunché. Bene, molto probabilmente quei tanti che sono convinti di ciò, sono quelli che si sono imbattuti nel tanto strombazzato Tour; perché sarebbe da sfidarli a esprimere i medesimi pareri dopo aver assistito a una Parigi-Roubaix o a Vuelta a Colombia. Il problema è che quei tanti in una Roubaix non ci si imbatteranno mai (si è mai visto lo spot di una Roubaix in tv in Italia?), né tantomeno in una Vuelta a Colombia (che non viene trasmessa, sic et simpliciter).

E questo ci porta alla domanda chiave di questa intera perorazione: il Tour fa bene al ciclismo? Il suo tentacolare muoversi attrae (per il momento) sponsor e spettatori, questo è assodato; ma queste entità sono attratte in virtù di un battage mediatico senza pari nel nostro sport. Sull'altro piatto della bilancia dobbiamo invece mettere le distorsioni che la presenza di un gigante tanto affamato produce tra i nanetti sottostanti. Piovesse cibo dal cielo, a quelli in basso non arriverebbero che le briciole.

Le risorse maggiori (ad esempio in termini di trasmissioni, a livello globale) sono investite sulla Grande Boucle; se una tv cinese ha un budget di 100mila euro per il ciclismo, li investirà per gli highlights del Tour o per la trasmissione in diretta di 10 classiche? Cresce quindi il movimento, o cresce solo il Tour (e solo dopo mille mediazioni l'effetto volano investe minimamente il resto del ciclismo)?

Il problema non è solo economico-mediatico, ma ovviamente anche tecnico e pratico. In quest'ultimo senso, basti dire che la Grande Boucle, per quanto è enorme, non può più raggiungere determinati luoghi (buttiamo là un esempio: qualche salita storica - si son dovuti fare i salti mortali per arrivare in cima al Tourmalet quest'anno. Buttiamo là un altro esempio: qualche salita nuova che esuli dalla ventina di scalate celebri riproposte con continuità svilente per esse stesse). Una limitazione non da poco per i nostri Monsieurs Grandeur, non vi pare?

Lato tecnico: le cose peggiori, a ben vedere, vengono proprio da questo versante, ahinoi. Il fatto che il Tour sia diventato così imponente, e il fatto che l'Uci abbia stoltamente sempre in vari modi avallato questa elefantiasi (come spiegare altrimenti il fatto che la Boucle - ad esempio - dia più punti Pro Tour rispetto agli altri GT?), non è che l'origine della vera piaga del ciclismo contemporaneo: la periodizzazione esasperata. Accade in Formula 1 che una scuderia partecipi a 3 gran premi sui 16-18-20 (quelli che sono, a seconda degli anni) del Mondiale?

Accade che nel calcio una squadra giochi una decina di partite all'anno? Accade che nel tennis Federer giochi solo Wimbledon e nessun altro slam, e Nadal solo il Rolando e nessun master? No, non accade. Anche se a noi, dal nostro piccolo pulpitino a pedali, sembra assurdo immaginare uno sport in cui i protagonisti partecipino a un corpus fissato di appuntamenti di uguale dignità, ebbene, notizia sconvolgente, altrove ciò è la regola. Come mai? L'abbiamo già detto: perché altrove non c'è un buco nero piazzato in mezzo alla stagione ad assorbire progressivamente tutto quel che c'è intorno. Altrove, se un campione dispone ogni anno di 100 joule di energia, li distribuisce in maniera molto democratica su una moltitudine di eventi. Nel ciclismo, i più celebrati big operano al contrario: concentrano quasi tutto su quelle tre settimane, e poi per lunghi mesi non hanno troppo da dire (o proprio non si fanno vedere in giro).

Sarebbe mai stata possibile questa deriva se non ci fosse stata la calamita del Tour ad attrarre tutti quei joule e a innescare la corsa all'accumulo della suddetta energia nel mese di luglio?

Ecco quindi cosa, secondo questa formulazione d'accusa, sarebbe necessario fare: ridimensionare. Riequilibrare; riassestare. Quando il Tour sarà una corsa di importanza pari a un Giro o a una Liegi, probabilmente non vedremo più robottini ambulanti che fanno di un quinto o un ottavo posto una questione di vita o di morte, al punto da risultare completamente inscatolati sulla bici, incapaci di venire alla luce del giorno e a provare, almeno provare, a far valere la propria legge invece di subire quella del Tour: a ben pensarci, questo è quello che hanno fatto tutti i campioni più grandi.

Marco Grassi
Mario Casaldi

RSS Facebook Twitter Youtube

30/Jul/2017 - 20:30
ESCLUSIVO: le immagini del folle che ha tagliato la strada al gruppo facendo cadere decine di corridori al Giro d'Italia

24/May/2016 - 21:06
All'An Post Rás giornata di gloria per James Gullen nella tappa "di montagna": Fankhauser diventa leader

24/May/2016 - 17:07
Giro, nel giorno della nuova delusione di Vincenzo Nibali vince Alejandro Valverde davanti a Kruijswijk e Zakarin

23/May/2016 - 22:12
An Post Rás, nella seconda tappa vince il padrone di casa Eoin Morton

23/May/2016 - 16:00
Giornata di rinnovi: André Greipel e Marcel Sieberg alla Lotto Soudal fino al 2018, Geraint Thomas prolunga con la Sky

23/May/2016 - 13:11
Benjamin Prades vince l'ultima tappa del Tour de Flores ma non basta, la generale va a Daniel Whitehouse

23/May/2016 - 12:39
Brutte notizie per il ciclismo elvetico: l'IAM Cycling comunica che cesserà l'attività a fine stagione

23/May/2016 - 11:22
Conclusi i Campionati Panamericani: l'ultimo oro è dell'ecuadoriano Jonathan Caicedo

22/May/2016 - 23:59
Il Tour of California si conclude con una imperiosa volata di Mark Cavendish. Classifica finale a Julian Alaphilippe

22/May/2016 - 23:39
Il Tour of Bihor si chiude nel segno dell'Androni Giocattoli-Sidermec: tappa a Marco Benfatto, generale a Egan Bernal

22/May/2016 - 23:20
Women's Tour of California: gioie finali per Kirsten Wild e Megan Guarnier. Le altre corse: ok Bertizzolo e Lepistö

22/May/2016 - 22:44
Velothon Wales, Thomas Stewart supera Rasmus Guldhammer e Ian Bibby

22/May/2016 - 22:24
Dilettanti, ulteriori vittorie per Nicola Bagioli e Riccardo Minali alla Due Giorni Marchigiana

22/May/2016 - 22:22
Scatta l'An Post Ras: la prima tappa va all'olandese Taco Van der Hoorn grazie ad un colpo di mano