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Processo al Tour de France: «Gente come me non ce n'è» - Claudio Chiappucci testimone d'accusa

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Claudio Chiappucci nel giorno magico del Sestrière - Foto Roberto BettiniClaudio Chiappucci, l'omino di ferro del ciclismo degli anni '90, protagonista assoluto al Tour de France per un lustro, gran combattente e realizzatore di imprese memorabili: lo chiamiamo a testimoniare sulla Grande Boucle terminata da pochi giorni.

Di' la verità: quando vedevi un non scalatore come Charteau portare a spasso la maglia a pois, non provavi una stretta al cuore?
«Sì, lo ammetto. Questo la dice lunga su quanto manchino degli scalatori veri, che capiscano il valore della maglia a pois: la lasciano ai comprimari, una delle maglie più prestigiose e affascinanti del ciclismo».

Charteau a parte, cosa hai visto di quest'ultimo Tour e cosa ti ha colpito?
«Ho seguito tutto, ho visto un calo di Contador e un notevole miglioramento di Schleck; ma in generale, non s'è visto granché, è stata un'edizione abbastanza scialba, non ci sono state grosse imprese e nemmeno grossi tentativi».

Perché così poco coraggio?
«Gli uomini che erano nelle posizioni di rincalzo non si sono mai mossi, aspettavano solo di essere staccati negli ultimi chilometri di salita (del resto i big per attaccare aspettavano gli ultimi 4-5 chilometri delle tappe). Non lo so, forse è il tipo di programmazione delle corse che li rende così statici, di sicuro una volta ci si metteva molto di più in gioco, del resto se non ti metti in gioco non potrai mai scoprire i tuoi limiti».

Cosa servirebbe al Tour per renderlo più appassionante?
«Di getto direi lunghi chilometraggi che rendano la corsa sfiancante. Ma poi penso che bisognerebbe cercare di attuare delle modifiche che tengano conto di chi corre oggi. Lo stesso Basso ha fatto un gran Giro, ma poi al Tour è affondato, malgrado fosse convinto di far benissimo sul Tourmalet».

Intendi dire che in realtà non esistono corridori da Tour?
«Gente come me non ce n'è in giro; quei corridori che magari all'epoca davano fastidio perché avevano una forte personalità... ora servirebbero, li cercano, ma in realtà li hanno fatti estinguere: dove sono i grossi atleti? Non certo tra quelli che cercano un solo risultato in una stagione e tengono una condizione alta solo per un periodo limitato».

Se manca la materia prima, ovvero i corridori, che senso ha disegnare tappe come quella di Pau (dove tra l'altro tu vincesti nel 1993)?
«Ha sempre senso, è una tappa storica e meritava certo di meglio. Il punto è che il Tour puoi disegnarlo come vuoi, se i protagonisti sono questi resterà sempre scialbo».

Quando si ripensa al Chiappucci corridore, l'immagine che torna alla mente non è quella del Giro o della Sanremo o di altre imprese che hai fatto. L'immagine che torna alla mente è quella di Chiappucci in maglia a pois al Tour, o in maglia gialla...
«...quando ci andai all'attacco, con la maglia gialla!!!».

Esatto: in definitiva, Chiappucci e il Tour, un legame indissolubile: quanto senti di essere in debito con la Grande Boucle?
«Ho avuto tanto. Ma ho dato anche tanto; e ho pagato alcune cose, nei miei anni dovevo sempre partire con uno svantaggio di almeno 5' visto che non mancavano le crono di 60-70 km in cui accumulavo un handicap che poi era difficile colmare in montagna. Diciamo che il Tour non mi ha mai favorito in nulla».

Marco Grassi

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