Tour de France 2010: Un Oscar alla carriera - Petacchi e la maglia verde
Parigi è una Babele, sfida le potenze del cielo e della terra. Non si cura di sembrare sguaiata, eccessiva, sfrontata. Eleva le sue guglie e i suoi archi con gigantismo convinto. Il Tour si è nutrito di questo indomito orgoglio profano, proponendo il suo arrivo sulla direttiva prospettica degli Champs-Élysées. Petacchi avrebbe le physique du rôle per incarnare questo slancio di onnipotenza. Di certo tra gli emaciati personaggi che si sono avvicendati sul podio di Parigi è quello più statuario. Abbaglierebbe come un Apollo riflettente i bagliori dell'aurea punta dell'obelisco di Ramses II.
Bisogna usare il condizionale, perché Petacchi invece deve amare alla follia il tenebroso Eschilo: si vede a occhio che aspira a trovare spazio in qualche compagnia dedita alla messa in scena dei tragici greci. Il suo cavallo di battaglia è la parte della stoica resistenza alle avversità della vita, che condisce di efficaci espressioni facciali. I parenti devono averci fatto l'abitudine a sentire le sue stentate parole per continuare a dormire sonni tranquilli dopo averne udito le dichiarazioni alla fine delle tappa.
Oggi è stato faro di prua, determinato e prudente, ha subìto la sconfitta da Cavendish ma ha conquistato il podio più ambito dai velocisti del globo. Facile commento: un Oscar alla carriera.
Petacchi fu l'esploratore che colse le prime falle ai confini dell'impero di Cipollini. Colui che aveva sbaragliato due generazioni di sprinter, da Van Poppel a Abdujaparov a Zabel, trovò in lui l'ultimo avversario. Cipollini si fermò a Petacchi e Petacchi entrò nella storia del ciclismo per aver segnato la fine di un tale gigante. Presa la capitale della velocità mondiale, seguirono anni di dominio indiscusso, maglie ciclamino e vittorie al limite del conteggio del distacco. Petacchi non era un Alessadro Magno, non amava estendere i suoi territori fino alle estremità più remote. Vinceva gli sprint del Giro, del Tour, della Vuelta, ma pur avendo grandi margini sugli avversari non volle rischiare appannamenti per provarsi sui pavé, o su percorsi di classiche più vallonate, come alcuni illustri predecessori.
La parabola discendente di Zabel, vincitore di Sanremo e Parigi-Tours a ripetizione, doveva inquietarlo. Una Sanremo e una Parigi-Tours gli bastavano, come una casella riempita in una scheda riassuntiva. Boonen lo provocava ad accettare la sfida nelle sue riserve di caccia, ma Petacchi, con una punta di malcelato snobismo, lo degnava di qualche saltuaria e poco convinta partecipazione alla Gand.
Prima degli avversari, incontrò l'accanimento terapeutico dell'antidoping. Poi incontrò quel ragazzino insolente che sfregia gli arrivi con accelerazioni da arma da fuoco. Al Giro 2009 riuscì a batterlo in un confronto diretto, ma le sconfitte rimediate erano tanto chiare che non c'era dubbio sul cambio di padrone sul trono dello sprint. Il destino ama l'ironia. Lascia un personaggio logorarsi i nervi nelle sconfitte patite dagli avversari più diversi. Perdere da uno che ti somiglia, che pare quasi imitarti, che potrebbe essere un tuo allievo tanto cerca di somigliarti, è quasi dolce. Perdere da uno che si fregia proprio di quello stile che tu aborri, brucia profondamente.
Il romantico Petacchi piega l'istrionico Cipollini. Chopin che fa passare di moda Mozart. L'irriverente Cavendish soppianta l'accademico, cortese Petacchi. Basquiat al posto di Botticelli. Ora Petacchi si è riscoperto giocatore di scacchi, calcolatore. Il calo di potenza non è stato drammatico. Solo enormemente evidenziato dall'avvento abbagliante di CannonBall. Alcuni altri ghepardi si stanno affacciando e Petacchi ha ormai bisogno della migliore condizione per rimanere competitivo. Non sappiamo se prenderà la strada dell'ultimo Zabel collezionista di classifiche a punti. Ci sembra difficile che Petacchi viri sulle grandi classiche, ma questa esperienza in verde potrebbe nutrire i suoi prossimi progetti. Procure e procuratori permettendo.