Tour de France 2010: Sánchez-Menchov: podio in bilico - Solo Sastre rompe gli schemi
Versione stampabileIl Tour degli appostamenti è salito al suo Olimpo, coronato di nubi. La corsa ormai è liturgia, un duello aveva da essere messo in scena e il rito prevedeva accurate processioni introduttive. Inutile avanzare delle disquisizioni di carattere estetico. Il canone c'è già, c'est le Tour.
È difficile però che con questo breviario accada qualcosa di elettrizzante, i prodi vanno a misurarsi sempre sullo stesso terreno, quello della massima gradualità. Logica lapalissiana. Certo, il Tour ha uno stile, un copione, non è un pollaio dove chi ha voglia alza la voce. La tensione deve accumularsi, i gregari devono bocchegiare, il gruppo deve perdere un pezzo alla volta. È il cliché del ciclismo contemporaneo, una danza rituale, un rullare di tamburi che si fa assordante, ipnotizzante. Difatti pure lo spettatore a volte si intorpidisce.
La recita stavolta era incominciata con le streghe di Macbeth. Malauguranti, come da tradizione: la caduta di Samuel Sánchez era un lugubre accordo dissonante, scuoteva il gruppo. Giaceva sulla strada rigata da rivoli di liquido come trafitto e sanguinante. Invece era solo un primo atto, la parte del ferito recitata con maestria.
D'altra parte che sia un gatto dalle sette vite, il funambolico Samuel, lo si vede a occhio. Nessuno osava intromettersi nel rituale che prevedeva solenne processione verso il sacrario dei Pirenei, che i paladini cominciassero a tirare stoccate dopo un'adeguata introduzione, come sempre. Il libero pensatore Sastre, solo, assumeva le sembianze del Robespierre, come in attesa di altri riottosi rimeneva a lungo da solo a galleggiare, predicatore nel deserto, facile oggetto di scherno. Immagine malinconica del ciclismo sorpassato dei terremotatori di tappe.
Menchov dunque osservava l'avversario dolorante veleggiare di conserva in fondo al gruppo, ma non si azzardava a dare il benchè minimo ordine di attacco. Marie-Blanque e Soulor si susseguivano invitanti, pronti a tramutarsi in scenario, ma la processione continuava. Chissà perchè non provare nemmeno a capire se Sánchez fosse davvero alle corde oppure no, provando a fare aumentare il ritmo per qualche chilometro.
Infatti Sánchez, felino, recuperava bene e sul Tourmalet era di nuovo inossidabile sulle ruote dell'enigmatico russo. Il podio se lo giocheranno anche loro nella piatta cronomero di Bordeaux. Menchov in salita ha subìto dei colpi, ma ha riparato dignitosamente le falle, non ha contrattaccato sul Peyesourde quando l'avversario era sulle ginocchia. Sánchez è lunatico, dissacrante, elettrico, va a spolverare l'adrenalina sui filo dei muretti, ama la picchiata. Anche lui in questo Tour dalle molte discese è parso parzialmente irretito, appannato, come imborghesito. Meno disincantato del solito, pur ritrovandosi la migliore gamba di sempre al Tour, fin dalle Alpi, dove teneva a tiro perfino i duellanti. Forse ha preferito non creare turbolenze poco gradite alla corte del re saladino, con cui c'è fitto intreccio diplomatico, si è vista stretta collaborazione lungo la discesa dal Port de Balès.
Fatto sta che ora, ricevuta la gentile grazia del salomonico Menchov, ha pur sempre un pronostico leggermente contrario. Ha da difendere pochi secondi contro un esperto cronometrista, ma la crono finale è soprendente, premia i resistenti, lo sanno anche i muri. I 21 secondi che li dividono lasciano più spazio ai dibattiti degli 8 tra i primi due. Sánchez conta su prestazioni molto altalenanti nel suo recente passato, il più recente, Vuelta 2009, lo incoraggia. Il cedimento del Peyresourde sommato alla caduta di oggi lo preoccupano. Menchov, invece, austero, non lascia pensare ad alcun cedimento sul terreno preferito. Bella lotta. Ma rimane, diffuso, aleggiante come una cappa un senso di frustrazione.
Molti strumenti sono stati lasciati muti, abbandonati sui pendii boscosi, rampe ispiratrici di celebrati interpreti, asfalti fatti vibrare da ruote graffianti. Sono sembrati inutili pezzi di antiquariato, ormai centenario.