Tour de France 2010: La potenza e la cautela - Armstrong il tecnologico
Rotterdam è una delle porte d'Europa, sufficientemente grande per farvi passare anche il Tour. Come sempre blasfema nella sua turbinante megalomania, la Grande Boucle disdegna la porta stretta. Preferisce il porto commerciale più grande d'Europa, nel mondo superato solo da Singapore e Hong Kong. Qui la Compagnia delle Indie Orientali faceva sbarcare i lini della Cina, le spezie dell'Indonesia, porcellane e oppio. Sapori. Colori. Così il Tour deve aver sentito il fascino futurista di questa terra imbevuta di mare, che è come dire di mondo, dove nessun accostamento è negato, nessuna contaminazione è bandita, nessun confine è invalicabile. Il peccato è non levare l'ancora.
La guglia liscia dell'Erasmusbrug è la porta nella porta. Sotto quel ponte la trama multicolore del Tour fa passare, uno a uno, i suoi fili. Presenta il suo tessuto prezioso come un mercante appena sbarcato dai mari d'oriente. Questo gigantismo d'acciaio, oltralpe, deve acchiappare parecchio. Il parigino quando alza lo sguardo ode l'inno alla tecnica elevato da Monsieur Eiffel. Armstrong viene dalla patria della tecnica. Difficile intimidirlo con sfoggio di tecnologica possanza. Però questo candido pilone biforcuto alla base, è stato detto, ha la presenza elegante di un mastodontico cigno. E, per un celebrato tenore alla sua ultima recita, è di ottimo auspicio.
Nodi vengono al pettine passando al setaccio la trama di questo Tour. Il saladino Contador ha grilli per la testa. Al Delfinato stavolta ha faticato molto a cronometro, le sue sciabolate non hanno aperto i soliti squarci. Perfino l'attendente di campo del vecchio capitano di ventura sull'Alpe d'Huez lo ha lasciato tirare i suoi fendenti uscendone illeso come il torero che sventola il suo drappo sulle corna del toro. Un insulto, insomma. Martin era partito all'alba del prologo, quando ancora la pioggia non aveva steso del tutto la sua viscida pellicola sull'asfalto. All'appuntamento della vita con la maglia gialla aveva risposto chiaro e forte. Cartellino timbrato con la più solerte precisione teutonica, insieme al cielo si chiudevano ben presto le porte della vittoria e il suo rotondissimo dieci e dieci sembrava già stampato sui titoli di coda.
Si inchinavano uno a uno i primattori. Solo Millar arrivava a insidiarne il calcagno con il suo body alare, non aderente tra le braccia e il busto. Forse inebriato dall'aura d'avvenirismo del luogo, qualcuno pare avesse calcolato l'orario di partenza sull'attrito derivante dalla temperatura dell'aria, altri calcoli aerodinamici sul filo dei decimi di secondo saranno stati fatti per decidere l'utilizzo di questo costume ad ala di pipistrello. Così come per il casco di Armstrong, l'unico a non essere completamente chiuso e raccordato alla nuca nella parte posteriore, dove in teoria si raccolgono pericolosi refoli frenanti.
Non si ammiravano colpi di pedale luminosi per tutto il prologo, piuttosto, equilibrismi più o meno preoccupati, pieghe caute, accelerazioni misurate, aggressività a dosi omeopatiche. Ma, proprio all'approssimarsi del debutto dei celebrati tenori, ecco un leggero ma indubbio trascolorare del cielo dal procelloso al semplicemente coperto. Coperto e soprattutto asciutto. Martin dal palco guardava in alto, Cancellara dai rulli lo stesso. Con umore diametralmente opposto. Tutti molto misurati sul palco, gesti lenti, profondi respironi di piena ossigenazione. Figuriamoci Basso, lui si affaccia solenne, liturgico. Il re saladino invece saltella con la bici, si agita, si controrce come caricato a molla e parte all'attacco. Cancellara come al solito fa temere seriamente per la resistenza delle fibre di carbonio delle sue pedivelle. A colpi di maglio strappa il velo del tempio e tira giù dal podio quello che pareva ormai l'idolo insediato, il povero Martin.
Molti si devono leccare le ferite. Non Armstrong. Pare avere quasi rispolverato del tutto le vetuste ma possenti armi. Rifila spiccioli a Contador. Ma alle coppie d'assi Saxo, Rabobank e Liquigas prende 30-40". Di più sicuramente all'etereo Andy (a 47" da Lance), più che mai rispettoso delle insidie del percorso, di certo la sua proverbiale leggerezza non era l'arma migliore per calarsi nella parte. Di meno forse a Gesink (a 29"), qualche secondo perfino meglio del più blasonato Menchov .La sola coppia Htc (Rogers-Martin) regge, ma negli elenchi della vigilia si stenta a contemplarli tra i protagonisti della trama. In più, il vecchio filibustiere conta su una guardia d'acciaio costituita da Leipheimer (a 6" da sè) Brajkovic (a 13") e Klöden (a 14"), tutti davanti all'unico scudiero kazako, Vinokourov (a 16").
Ce ne è abbastanza per incupire le riflessioni del già non serenissimo Contador. Evans, LL Sánchez e Kreuziger meglio, sono a metà strada. È presto per cercare di sciogliere qualche nodo. Un protagonista è comunque annuciato alla ribalta e porta sulla schiena il numero uno. Manifesti però sono stati affissi attestanti l'identità della squadra più forte. È quella del più fiero, quantunque stagionato, sfidante. Se capitassero imprevisti (leggi terzo incomodo che si infila in una bella fuga), si aprirebbero pericolosi dibattiti.