L'Intervista: Italian Stallion - Visconti, il tricolore, il figlio, il futuro
Versione stampabileUn uomo e la sua dimensione. Non è sempre facile trovarla; per Giovanni Visconti questo concetto si coniuga con tre colori messi insieme a formare un simbolo che già ha sentito appartenergli tre anni fa, e che ora ritrova con grande merito e gioia. Campione italiano per la seconda volta, il siciliano forse si trova a una nuova partenza in una carriera che ha ancora tanto di dolce da fargli assaporare.
Com'è stato il risveglio con la seconda maglia tricolore ai piedi del letto?
«Bello, son contento, certo non è un'emozione forte come la prima volta, anche se questa vittoria è stata più bella e spettacolare di quella di tre anni fa».
L'idea di attaccare sulla salita delle Coste e non a Ca' del Poggio è nata a tavolino o è venuta in corsa?
«Mi è venuta sul percorso anche perché in genere non preparo grosse tattiche, preferisco aspettare la volata del gruppetto. Ma stavolta ho visto visi stanchi, a un certo punto, ed ero consapevole che comunque trovare un accordo in 10 non sarebbe stato facile. Così me ne sono andato sulla prima salita del circuito, perché avevo capito che quello era il punto più importante del tracciato, anche se l'altra salita era più dura. Comunque, non appena sono partito, ho subito avuto la convinzione di aver fatto la cosa giusta, e nei 20 km finali non c'è stato un momento in cui abbia pensato di aver sbagliato mossa».
Che ti diceva Scinto dall'ammiraglia? Pareva abbastanza accalorato...
«Nei primi 2-3 chilometri del mio attacco avrà pensato male di me, forse mi avrà preso per pazzo. Ma appena ha visto che ho guadagnato rapidamente 25" ha iniziato a crederci e a incitarmi in tutti i modi, come si è anche visto...»
Tu avevi sbagliato le ultime due classiche di chilometraggio over-250 (Lombardia e Sanremo), stavolta invece sei stato più che mai convincente: solo giornate sì e giornate no, o c'è qualcosa di nuovo in Visconti?
«Quando si partecipa a solo 2-3 classiche in un anno, non è così facile indovinare tutto e andare forte proprio in quei giorni. Se ne facessi 20, tra l'altro, non credo che andrei bene solo in una o due. Quel che voglio dire è che se riuscissi a partecipare con continuità a certe corse, avrei sicuramente un rendimento di livello».
Il fatto di correre per la ISD ti limita senz'altro in questo: è una squadra che ti va un po' stretta?
«No, per niente. Quando ho scelto questa squadra non pensavo certo di fare tutte le classiche. È stata una decisione mia, ponderata, di cui mi assunsi e mi assumo ogni responsabilità. Con la ISD firmai un biennale, ora è chiaro che ripenserò un attimo al mio futuro, ma sempre dando la priorità al mio team attuale».
Come passavi i pomeriggi durante il Giro d'Italia?
«Normalmente, guardavo la tappa quando possibile, con un po' di rammarico nel vedere che tante fughe arrivavano in porto al contrario dell'anno scorso... Ma principalmente mi sono allenato, tantissimo».
S'è visto. I tuoi programmi dove ti porteranno ora, verso Melbourne?
«Sicuramente la maglia azzurra è in cima ai miei pensieri, c'è ancora tanto tempo, un'estate davanti in cui far bene, al caldo, situazione ambientale che io amo per andare forte».
Che ha portato nella tua vita la nascita di un figlio?
«Mi dà tanta grinta, sapere che hai un bambino a casa che ti aspetta è una cosa che aiuta, che dà una carica particolare. Il rovescio della medaglia è il dover stare fuori molto a lungo senza vederlo».