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Giro d'Italia 2010: Il futuro tra le mani - Due generazioni a confronto | Cicloweb

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Giro d'Italia 2010: Il futuro tra le mani - Due generazioni a confronto

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Robert Kiserlovski in maglia bianca - Foto BettiniChe l'ormai celebre tappa Lucera-L'Aquila occupi, tra i tanti crocevia del Giro d'Italia da poco concluso, un posto privilegiato e importante è questione ormai assodata. Eppure, in quei 262 km che hanno capovolto d'istante la corsa rosa vi sono significati che trascendono l'aspetto cronometrico, v'è anche, in piccolo, l'intreccio di generazioni e l'incontro/scontro tra giovani promesse e veterani del pedale che ha caratterizzato questo Giro.

Sastre e Arroyo da una parte, Richie Porte e il duo Kiserlovski-Agnoli dall'altra: "vecchi" e giovani che s'intrufolano nei piani altissimi della classifica e danno una svolta, con la loro azione, alla fisionomia del resto della corsa.

Del duo iberico, inaspettatamente, è stato lo spagnolo della Caisse d'Epargne ad emergere, mentre Sastre è sembrato bisticciare con questo Giro, sicuramente per via di una prima settimana poco adatta alle sue caratteristiche e per le troppe poche corse nelle gambe in questa stagione, ma forse anche per l'età che avanza. Coraggioso, come sempre, ma stavolta non sorretto dalle gambe, cedendo anche di fronte ad avversari che sulla carta avrebbe dovuto facilmente seminare in salita, come a un re del Tour de France non si addice. E proprio la Grande Boucle ci dirà se parlare ora di viale del tramonto, per il 35enne della Cervélo, sia ingeneroso.

Viale del tramonto è invece un po' la definizione perfetta del Giro di Gilberto Simoni, che ha chiuso la carriera in tono un po' minore, ma d'altro canto omaggiando e onorando pienamente - e arrivando fino a Verona - la corsa a lui più cara.

Chi invece ha l'anagrafe indubbiamente a favore ed esce dal Giro con il vento in poppa e grandi promesse per l'avvenire è l'australiano Porte. Il ragazzo ha 25 anni e non 20, certo, ma s'è appena affacciato al ciclismo professionistico e l'ha fatto sotto i migliori auspici. Buono a cronometro e accettabile in salita, furbo il giusto (vedi L'Aquila) e capace anch'egli di gestirsi in modo eccellente nell'arco delle tre settimane. Così a prima vista non pare un predestinato, ma maglia bianca e settimo posto finali al primo colpo depongono certamente a favore suo e di chi gli predice un futuro fulgido.

Di quasi due anni più giovane è invece il ragazzotto che chiude la top ten, nonché terzo Liquigas nei primi dieci; parliamo ovviamente di Robert Kiserlovski, atleta che ha forse prospettive ancor più rosee dell'australiano che gli ha sfilato la maglia bianca. Se non altro perché finire da gregario due minuti e spiccioli davanti a Cunego, conducendo i propri capitani al primo e terzo posto della generale, è un risultato davvero ragguardevole, a prescindere dal "bonus" guadagnato a L'Aquila, che pure, ovviamente, ha avuto la sua importanza (ma che Robert è stato bravo a guadagnarsi). L'incognita, per il croato, è forse prima di tutto lo spazio che mai potrà ritagliarsi nel team di Kreuziger e Nibali, quasi coetanei, probabilmente dotati di una marcia in più e sicuramente capaci di dimostrare già di essere competitivi ai massimi livelli.

Già, Nibali. Perché l'intreccio generazionale in questo Giro ha interessato anche le zone altissime di classifica, con Vincenzo, splendido terzo e maglia bianca "ad honorem" - è di un mese e mezzo più "vecchio" di Porte - che è stato l'avversario potenzialmente più pericoloso per Basso. Avversario ovviamente non è stato, ma anzi supporto fondamentale di Basso, in salita e in discesa; dimostratosi capace di dar seguito all'eccellente Tour 2009 e soprattutto di palesare una crescita costante, il ragazzo pare davvero pronto per i gradi di capitano (alla Vuelta?) e i suoi limiti sono tutti da scoprire.

Tra i vecchietti di alta classifica, non è piaciuto granché Evans, splendido solo a Montalcino, in realtà parecchio imbastito sulle salite che hanno fatto la differenza, dove in realtà poco contava avere (come nel caso di Basso-Nibali) o non avere (come nel caso di Cadel) una squadra a sostegno. L'australiano ha lamentato problemi fisici e non c'è motivo di non credergli; in fondo, il podio era poco lontano, una tappa, un giorno in maglia rosa e la maglia rossa finale sono un bottino di tutto rispetto, anche se finirà che ce lo ricorderemo più arrancante in salita che altro.

E per un Vinokourov che ha "ciccato" la terza settimana - e ci sta, date le sue caratteristiche e il tipo di stagione impostata dal kazako - ma non ha vinto neppure una tappa - e ci sta meno per il vincitore della Liegi - sorprendono le prestazioni in salita dell'ingegner Pinotti. Difficile però stilare un bilancio per il lombardo, uno che - come da lui stesso ammesso - sul trenone per L'Aquila sarebbe dovuto salire: migliorato in salita ma non abbastanza, bravo a crono ma non abbastanza (anche se a Verona ha perso davvero di pochissimo), con queste caratteristiche ha forse più senso come cacciatore di tappe, a maggior ragione con 34 primavere sulle spalle.

Tornando infine ai giovani, una menzione la meritano senz'altro i pregevoli successi di Matthew Goss e Belletti, due ragazzi dalle doti già note e che però sono rimasti un po' troppo spesso all'ombra dei propri capitani; suscitano invece interesse le prestazioni degli olandesi Mollema e Kruijswijk. Il primo, che si sta risollevando da un 2009 rovinato dalla mononucleosi, sarebbe corridore da GT, a patto però di migliorare un po' su tutti i terreni. Il secondo è tutto da scoprire, ma saprà senz'altro giovarsi dell'esperienza fatta - suo malgrado - nella tappa di Peio, soffiatagli dal più smaliziato Monier.

Stefano Rizzato

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