Giro d'Italia 2010: L'Arena e il salto dimensionale - La bici, l'inizio, la fine
Versione stampabileUn tempo le file di grandi archi a tutto sesto si accendevano al sole di mezzogiorno, lucide e bianche di marmo, adorne di tasselli policromi. All'interno un ovale di finissima rena, tutt'intorno file uguali di gradoni. Entrare in uno stadio, in un teatro, in un'arena, fa compiere un salto dimensionale: si cambia mondo, è come precipitare in un microcosmo. L'anima percepisce per qualche attimo il risucchio della vertigine, del balzo. All'interno regole ben fissate, un terreno di gioco con le sue righe, i suoi spazi determinati, un globo dove far valere poche semplici leggi. Dove cantare un'altra trama, un'altra vita. Fuori, ignaro, il mondo: là ci si perde, là è tutto infinitamente più complesso. Non regolare.
Sorprendente: da che parte sta la bellezza che da sempre l'uomo cerca, fuori o dentro? Una corsa in bicicletta sta dalla parte del mondo, plebeo sport extra moenia. Attraversa i territori dell'irrazionale, esposta alla rapina come alla conquista, scende in battibecchi da comari, si illumina d'immenso in gesta epiche che vanno ad esplorare i limiti della resistenza umana. Quando però, alla maniera di una maratona, va a morire in un'arena la corsa è dialettica, diventa sintesi, dà da pensare sull'inizio e sulla fine.
Altra cosa è il vociare assordante, cacofonico, di un traguardo. Oltre, la strada continua. Qui invece davanti c'è il silenzio solenne di una gradinata, rien ne vas plus, le sorprese sono finite. Simoni vi ricorda l'ispirazione, in quell'arena una passerella di legno chiaro tappezzato di striscioni, quando vi faceva il suo ingresso come re lo zio Moser. Anche a lui, verace e orgoglioso combattente, verrà da riflettere sull'inizio e sulla fine.
Basso invece vi realizza un capovolgimento, vi ritrova l'inizio che aveva smarrito. Ma per Nibali e Scarponi si tratta di un vera e propria partita, non c'è il gusto dolciastro della fine del viaggio. L'asfalto brucia, ad ogni curva si sale e si scende un prestigioso gradino. Attitudini diverse, come in un vero derby.
Nibali per l'occasione ha rispolverato il suo trattato di tecnica del disegno, e ha tratteggiato tangenti perfette. È una sicurezza preveggente che lo trasporta giù, è un sapere che la sua guida è ispirata, perciò dove vede lo spiraglio, là si butta infallibile. Come nelle chicane di Amsterdam e sul pendio del Grappa si distingue su tutti, buca lo schermo pulendo dalle ragnatele le transenne di ogni curva.
Scarponi ha tormentato i suoi sonni, abbattendolo, attaccandolo, costringendolo a difendere il quasi niente di un secondo fino all'ultimo giorno. Fino all'ultima dolce collina dove lo affiancava in perfetta parità. Ma la picchiata è di Nibali. Scarponi ha l'aria del reduce da una guerra combattuta nel deserto, tratta la vita e le sue vicende con la leggerezza saputa di chi sa cosa conta davvero. È lo stato d'animo migliore per cavare dal serbatoio tutto ciò che vi è, nessuna tensione inutile, ad ogni cosa il giusto peso, le celebrazioni ai santi, al corridore il gusto del viaggio. Non ha la sicura sfrontatezza dell'avversario, ma fin dove è salita è capace di non lasciare in corpo nemmeno una goccia di benzina e realizza uno dei migliori tempi.
È ben difficile che si esalti, Scarponi. Umanamente parlando, grande pregio. Ma forse è proprio questo che gli manca in discesa, dove tutto è ebbrezza, trasporto, entusiasmo tramutante in sicurezza, sicurezza che restituisce entusiasmo. La discesa è pratica per astri nascenti, per cuori assetati di successo. La discesa è arte futurista, il sereno realismo della sapienza non ci si adatta un granché. Così al rampante giovane campione arride il successo, Scarponi la prenderà con filosofia di sicuro. A ben pensare è lui la prima vittima del sonno abruzzese: forse da qualche parte gli è mancata la freddezza di pensarlo, si è fidato ciecamente dello squadrone Liquigas agganciato come il naufrago alla trave della salvezza, quando nel mare gli altri uno alla volta si perdevano.
I Liquigas però correvano da fratelli, dove era debole uno, rallentava l'altro. Così su e soprattutto giù dal Mortirolo poteva sganciarsi dal treno. Su e giù dal Gavia pure. Poco sarebbe cambiato, ma forse quella manciata di secondi sarebbero tornati al suo ovile. Note a margine, tuttavia, ricami della mente. Ma la strada, come la storia, è un nastro che non si riavvolge.