Giro d'Italia 2010: Simoni saluta con la fuga - Ma Tschopp lo beffa sul Gavia
Versione stampabileIl Gavia è un gigante severo, maestoso, inquietante. Sembra quasi come uno di quegli inesorabili presidenti di commissione d'esame, quei professori severissimi, dall'aria truce e pronti a bocciare alla minima parola fuori posto. Magari ieri, al termine di una giornata sfibrante i tanti maturandi o laureandi di questo Giro d'Italia cominciavano quasi a pensare, sperare che il gigante rimanesse tranquillo e isolato nel silenzio di valli ancora imbiancate, come miglior tradizione del Gavia vuole, come immagini di quel folle 5 giugno 1988 rimandano. Mal che va si rifarà il Mortirolo, magari dall'inedito versante di Grosio ma il pericolo è scampato, tutto confermato.
Basta andar giù da Bormio e rendersi conto che Forcola di Livigno, Eira e Foscagno sono i primi a richiamare la voglia di sfida, la voglia di impresa, la voglia di un sogno. Preambolo di una giornata in cui chi vuole osare deve quasi viaggiare nel suo interno, trasformarsi quasi nel rugbysta che salta uno dopo l'altro i suoi avversari, evitando in maniera il placcaggio prima di involarsi a meta. Basso è tranquillo nel suo rosa, protetto dalla sua guardia verde senza eguali tra gli altri team in questa edizione del Giro. Può essere sfidato da chi vuol dar senso a questa corsa, da chi ricordarsi in questo giorno di aver avuto una buona fetta di talento da Madre Natura oppure semplicemente da chi inizia la sua solita giornata, sperando che sia finalmente il giorno della gloria e che mal che andrà si avrà comunque la soddisfazione di averci provato. E allora via Daniel Martin, il primo a suonar la carica, via Matthew Lloyd che quel verde addosso vuol riconquistarlo e farlo definitivamente suo, via Cunego che vuole ritrovar se stesso, via Vinokourov e Sastre per provare almeno a cadere a testa alta in un Giro che non li vedrà vincitori, e via tanti altri, finchè la fuga va. Sono una ventina, poi una quindicina in testa e fra loro c'è l'incrocio di due destini diversi: da un lato Gilberto Simoni, che al momento giusto ha saputo uscire orgogliosamente dal gruppo e riportarsi davanti. Perchè oggi non si può far gruppetto in maniera anonima. Oggi è l'ultima tappa alpina del Giro ma anche l'ultima di una carriera indissolubilmente legata alla corsa rosa, che domani vedrà la scrittura dell'ultimo capitolo in quel di Verona, tra quel circuito delle Torricelle indelebilmente stampato sulla pelle di Oscar Freire e le consuete immagini romantiche di Romeo e Giulietta e battagliere dell'Arena. Proprio un immagine da gladiatore ci vuole e così Gibo combatte, scatta e va sulla testa, su verso la Forcola. Tra i tanti c'è pure Johann Tschopp, che nella sua Svizzera ha la fortuna di pedalare per qualche chilometro e che chissà, quell'aria di casa l'avrà sentita così vicina che quest'oggi bisogna respirarla a fondo, mischiandosi agli altri, nell'ennesima avventura di una carriera fatta di fughe e di tirate, di tanta fatica e poche soddisfazioni personali, quasi fosse il perfetto intruso che potesse introdursi in un tentativo segnato da fulgide vampate di nobiltà. Lui, che quando Basso dominava spazzando via tutti nel 2006 era sempre lì a provarci, sempre lì in fuga, sempre lì tra quelle montagne ma alla fine raccoglieva più applausi che gloria. Decimo a Domodossola, nono sul Passo San Pellegrino, dicono gli annali di quell'anno. Eppure adesso è lì, con Vino, Sastre e Simoni, con quel Gibo già ben oltre la trentina che a quel Basso provava ad opporsi, non piegando mai la testa al punto da difendere strenuamente il suo orgoglio per ciò che reputava giusto, prima dell'ennesimo podio, quel gradino più basso che sarebbe diventato l'ultimo col senno di poi. Superati i primi tre ostacoli via giù verso Bormio, mentre Pirazzi e la sua esuberanza di gioventù si sfogano alla ricerca di applausi lì davanti. La Bormio magica del 2000, la prima di sette esultanze a braccia al cielo. La Bormio a quota 2000 di quattro anni dopo maledetta assieme allo splendido Cunego rosa non sazio di vittorie.
Bormio è segnale inequivocabile, la porta del Gavia o dello Stelvio a seconda dei gusti del cicloamatore ardimentoso, in questo caso porta di un Gavia inedito vissuto finora solo al contrario, lì dove si è sviluppata la sua leggenda che attende di essere prolungata al rovescio, da quelle irte pendenze costeggianti dirupi da percorrere in discesa, lì dove la luminosità della gloria incontra il brivido penetrante del rischio. Brividi come quelli che dopo Santa Caterina Valfurva preludono a quella vetta dal bianco sterminato, teatro più leggendario che mai per il grimpeur di razza. Vinokourov sembra osso duro come non mai, Gibo vuol esserlo di più, prova a più riprese e a meno di dieci chilometri dalla vetta va. Assieme allo Tschopp, il simpatico intruso di un giorno da ricordare. Sarà forse che con avversari così tenaci gli stimoli vengono da sè ma di mollar la ruota l'elvetico proprio non ha voglia, anzi è lui che sembra dire ai meno cinque dalla Cima Coppi "vienimi a prendere", lui che sfida l'orgoglioso Gibo, ancora lì a lottare prima del meritato riposo, a scrivere la degna fine di un capitolo che una carriera come la sua merita. Simoni che i suoi Giri vinti li ha dominati, il Simoni dell'attrazione fatale con lo Zoncolan, che nell'ultima recita gli ha riversato applausi a profusione in un giorno che forse doveva esser bello come e più di questo. Simoni che vede uno svizzerotto di quasi undici anni più giovane cercar di andarsi a prendere una fetta di mito. Ma non oggi, non può essere oggi in un'occasione come questa, una fuga come questa. Lo raggiunge, sembra parlargli ed insieme proseguono, col gruppo ancor lontano, il resto della truppa staccato. Uno contro l'altro, Tschopp e Simoni, lo scenario dipinto da questo Gavia bianco, scenario a tratti strambo di una corsa folle. Manca poco alla vetta, con quei muri di ghiaccio a lasciar campo ed incisi di scritte inneggianti ad altri, a far da ideale cornice di doveroso rispetto. Ci siamo e non c'è posto per tutti e due, uno solo si prenderà questo Gavia, un sognatore nel suo giorno perfetto o un vecchio combattente all'ultima grande battaglia, sempre lì, su una delle salite tanto amate.
Ghiaccio sulle pareti, ghiaccio negli attimi di uno sprint. Il lieto fine direbbe Simoni, la realtà della "corsa che è corsa" dice Tschopp, con una ruota, forse anche mezza. Prende lui la Cima Coppi e si butta in discesa, l'unico vero pazzo a ricordare che questo Gavia messo così fa venir la strizza più in picchiata che in scalata. Gibo incassa, malinconico, con l'orgoglio di chi almeno quest'ultimo pezzo di storia personale vuole prenderselo. Malinconico forse come il Pirata che andò lui stesso a riprendere verso Cascata del Toce nel 2003, anche quella volta vicino alla meta, in quel caso colorata di rosa. Malinconico ma orgoglioso e sul se sia meglio così è giudizio da riservar a chi vuole, di fronte ad una volata vera persa al posto di un'ultima gentil concessione fatta ad un sovrano stanco. Tschopp è andato, non è l'Arroyo del giorno prima ma la sua ammirazione se la guadagna e, passata Ponte di Legno, viaggia verso il sogno più grande e più bello, mai così vicino. Gibo va tranquillo, scende senza rimpianto e si fa raggiunger da Vino, Karpets e il fido Righi che qualche ambizione giornaliera l'hanno ancora. Giunge a Ponte di Legno anche lui e lascia che sia il buon Daniele, il gregario che non ha vinto mai, a nutrire la speranza di un giorno speciale. Passano Sastre e Pinotti, piomba anche il gruppo, di chilometri ne restano cinque e Gibo va su sereno come mai, concedendosi anche al pubblico per un'intervista a sorpresa, lì mentre lo sforzo lo impegna ancora, accarezzando il Tonale rispettoso e meno severo del Gavia ormai alle spalle. La battaglia si accende, stilettate da maestri accendono la strada ed inseguono quel simpatico intruso svizzero che neppure la tenacia di Vino è riuscito ancora a piegare. Tschopp che resiste, va su e non si scompone, verso quel traguardo che farà giustizia anche ad Arashiro e a T-Blanc, il Tonale della Bouygues che nessuno deriderà più.
Alza le braccia al cielo Johann in un maggio che non richiama il tepore piacevole del Gabon, teatro dell'unica vittoria da professionista prima di quest'oggi, bensì il glaciale richiamo di un inverno che sembra infinito, su quei monti sparsi tra l'Italia e la sua Svizzera. Un sogno si realizza, un'altro si è frantumato da un pezzo, dopo che il palcoscenico è stato da tempo riservato ai soliti noti. I minuti son quasi sette, come il numero delle sue vittorie al Giro, come il numero di podi conquistati al Giro. Il Giro che lui ha amato e che lo amerà sempre, che sprigiona la sua essenza tra gli applausi, ancora una volta, come sullo Zoncolan. Il Giro che saluta Gilberto Simoni in salita. Come lui ha sempre sognato. Come lui ha sempre voluto.