Giro d'Italia 2010: Alla ricerca di un rivale - Evans, Vino o Scarponi?
Versione stampabileOggi la corsa ha trascolorato. Dal candore aristocratico e classico della città dei cento orizzonti è passata a tinte austere. Il verde scuro degli abeti secolari, i chiaroscuri mistici delle selve carniche. Colli a sesto acuto, oggi, siamo passati decisamente al gotico. Lo Zoncolan mena un pochino il can per l'aia nei primi tre chilometri, tentennando, dando qualche assaggio di arsenico, ma te lo dice con delicatezza quello che è, usando ampi giri di parole. Quando però comincia il suo asfissiante braccio di ferro, incassa la strada fra due alti muretti levigati dal tempo e vellutati di muschio. Lì luce ne arriva poca, infatti è una trincea. Passare di là in corsa, giocandosi un Giro d'Italia, è come scendere in uno di quei solchi che piano piano ti succhiano la vita come la linfa da un taglio sulla corteccia. Diventa una guerra di posizione, non puoi usare la tecnica dell'arrembaggio fulmineo, devi logorare con fugaci, profonde, rasoiate al rallenty.
Non esistono rapporti adatti ad una pedalata agile, ecco perchè chi è avvezzo alla spinta sul lungo rapporto, paradossalmente, trova pane per i suoi denti. Infatti Basso ed Evans in gruppo non brillano per pedalata carezzevole e frizzante. Ma sullo Zoncolan usano il loro spadone e si aprono un varco di luce. C'è voluto un po' per capirlo, queste sono pendenze, altro che frullar di gambe, sono adatte a chi da sempre spinge duro duro. Vulcano vi si trasfigura in Ermes. Il fabbro instancabile vi diventa messaggero di luce.
E Basso, infuso di virtù, ha affrontato il drago e liberato la principessa in cattività da quattro lunghi anni. Balzava fuori dall'ultimo avvitato tornante col piglio del giusto che mette il lieto fine alla storia. Un San Giorgio ha portato il suo affondo nel ventre del Giro, domandone il mostro più pauroso, come da manuale di storia del ciclismo, alla fine di una singolar tenzone all'ultimo sangue. Spauriti, rimangono sulla plancia di comando Arroyo e Porte, a rispettosa distanza. Basso pare sul punto di riportare lo stendardo verde blu a sventolare in cima alla rocca: allora si passano in rassegna gli altri prodi assedianti.
Evans non è una gazzella, piuttosto con quelle zampone ha il piglio del bufalo, non è avvezzo all'arrembaggio, emerge sempre per resistenza d'acciaio. Risultato: se è avanti in classifica è impresa improba levarselo di ruota, ma se è dietro deve sperare nell'imponderabile; o di migliorare ancora, cosa che non pare sul punto di accadere, vista la ottima condizione che già possiede da metà aprile. Vino invece è lupo, ordisce trappole, gli avversari sono prede. Però ha bisogno dei suoi territori, che non si incontrano sulle lunghe salite. Tuttavia, da intessitore di trame d'attacco, da uomo del retroscena, conosce l'arte dell'organizzazione della fuga. Le tappe finali, coi loro dislivelli da maratona, lasciano spazio a iniziative da tappone del Tour, difficilmente controllabili pure da una masnada di dragoni come la Liquigas. Anche lui però ha l'orecchio teso. Teme di dover udire oracoli di disfatta dalle proprie gambe, la condizione è ormai da tempo al livello più alto. Nibali deve rimettersi in ordine nella fila dei luogotenenti del prode Basso. Può diventare l'elemento di pazzia di questo Giro, con la sua maestria nell'arte del ricamo fra le curve in discesa, come può diventare il più ligio apripista.
Se tanto mi da tanto, difficilmente però si vedranno strategie che non siano più che consequenziali. I cervelli Liquigas non amano le scorciatoie, all'avversario offrono sempre il petto armato, amanti dello scontro frontale. Infine Scarponi. Nel suo scrigno non conta perle colte da uomo di classifica in grandi tappe alpine. Però con Evans è il più vicino a Basso in salita, forse su pendenze in cifra singola anche alla pari. Più di Evans ha il cambio di ritmo, terreno da sempre in cui Basso si addentra con riluttanza, ma dalla lettura della classifica non trae motivi di giubilo. Lui più che mai teme di carpire segnali di rottura del motore, mai aveva volato così alto in una competizione di tale rango. Se però la gamba non lo tradisce, può andare all'arrembaggio di velieri minori: una tappa, un posto sul podio. E - non si può mai dire - l'ottimismo fa presto a far breccia un cuor guascone come il suo. Da piccole conquiste potrebbe trarre auspici per spiccare voli più arditi. Facile a dirsi. Tra il dire e il fare ci sono di mezzo ancora denti di squalo.