Giro d'Italia 2010: Dean da film, Farrar da urlo - Capolavoro Garmin a Bitonto
Duecentoventinove chilometri prima di un capolavoro, quello consumato dopo il triangolo rosso. Potrebbe essere questa la perfetta sintesi della prima giornata realmente calma per il gruppo, con quel sole che aveva fin troppo giocato a nascondino e che invece quest'oggi ha deciso di mostrarsi in tutto il suo splendore, come la miglior tradizione delle terre del Sud vuole. Quel sole che se vogliamo è anche il protagonista di uno spot televisivo mandato in onda con sempre più frequenza ed in cui fa bella mostra di sè anche Tyler Farrar. Quale occasione migliore di quella odierna quindi per cementare questo connubio di quella odierna? Che poi quest'oggi gli occhiali degli osservatori, normali o particolari che fossero, sarebbe stato meglio lustrarli ben bene per poter ammirare in tutta la sua spettacolarità, sprezzo del pericolo e follia geniale che solo certe situazioni sanno produrre, il gesto atletico andato a consumarsi nei metri finali.
Diciamolo allora quel che è successo, partendo dai 1500 metri dall'arrivo: la tirata di David Millar in testa al gruppo fa facilmente presagire come per i Garmin l'occasione appaia ghiotta, quando duecento metri più avanti Matteo Tosatto decide di provare il tutto per tutto in un finale che, tra curve, restringimenti ed un mezzo chilometro di discesa rischia di diventare una vera e propria roulette. Bene fa d'altronde il corridore veneto a provarci, visto a 14 chilometri dall'arrivo una caduta aveva tolto di mezzo dal lotto di pretendenti il belga Weylandt, finito a terra al pari di Ravard, Froome, Reda e Henderson e giunto al traguardo con un ritardo di 7'06" (meglio è andata al neozelandese della Sky, riportato sotto con gran dispendio di energie dai compagni, anche se poi lo sforzo si è fatto sentire negli ultimi metri. Tosatto si butta con coraggio e per qualche metro nessuno si incarica di chiudere il buco, cosa che poi decide di fare (quasi per una sorta di vocazione da kamikaze) il giapponese Arashiro, al lavoro nel tentativo di pilotare Bonnet. Tra curve e discesa intanto il passaggio dai 1300 ai 400 metri è stato rapido e si cerca ormai di capire chi prenderà in mano la situazione per aprire il gas. E qui avviene il capolavoro: chi infatti il kamikaze in senso buono decide di farlo sul serio è Julian Dean, si proprio lui, il neozelandese croce e delizia capace di passare in un giorno dal rango di apripista tra i più validi in circolazione a quello di simpatico combinaguai, di quelli che rischiano di arrecar danno prima ai propri stessi compagni che agli avversari (riguardare le immagini di Parigi 2009 al Tour de France). Questa volta però le cose paiono andare diversamente, forse in ricordo dello stesso genio oceanico (di sponda australiana) che caratterizzava il Robbie McEwen dei giorni belli, in grado in finali complicati come quello odierno di confezionare con gli Henk Vogels o Fred Rodriguez della situazione dei piani diabolicamente assassini per tutte le altre ruote veloci, straordinariamente belli per gli occhi di chi poi si spellava le mani in applausi.
Ammettiamo che il miglior MagicEwen quest'oggi ci mancava assai, guardando il vorticoso trascinarsi della strada verso il traguardo ed il buon Robbie ha provato a regalare almeno il ruggito da podio, sfuggito per poco, visto che si è attestato al quarto posto. Se almeno il podio parziale è sfuggito il merito è anche della magata di Dean, che ai 350 metri ha deciso di partir secco. Un attimo e la sorta di buco che viene a crearsi è il preludio a quel che deve ancora avvenire e che in un'altra manciata di secondi avviene. L'ultima curva, con un altro aussie (Hayman) pronto ad approcciarla in testa se non fosse che...da destra si comincia a comprendere il senso di ogni cosa. Farrar pennella una traiettoria stupenda e all'uscita dalla curva sgasa come non mai e lascia tutti dietro, riprendendo il fido Dean che in un contesto più tranquillo rimedierebbe anche una bella pacca sulla spalla in segno d'approvazione. Alza le braccia il neozelandese perchè sa che Tyler non verrà più passato e difatti si prende la sua seconda vittoria personale al Giro, quella che lo incorona come velocista più forte e regolare di questa edizione, lui che tornando indietro ad un anno fa lottava e sgomitava (quasi al limite del lecito) con Cavendish e Petacchi per rimediare al massimo la piazza d'onore. Caso vuole però che nè l'inglese (impegnato in California), nè Ale-Jet (mestamente arresosi alla bronchite) siano della partita ed il naturale corso degli eventi ha voluto eleggere proprio il terzo incomodo di allora nuovo re di queste volate senza padrone.
Quel re che avrebbe dovuto essere Andrè Greipel, che purtroppo però è incappato nell'ennesima figuraccia che gli ha portato in dote appena un settimo posto. Certo, si potrebbe obiettare che il finale complicato non era dei più adatti ma anche quanto si è visto negli ultimi dieci chilometri, con Goss, teorico apripista, giratogli a largo a lasciare che fosse il connazionale Sieberg a fargli da angelo custode è un qualcosa che comincia ad essere sintomatico. L'imbarazzo in casa HTC comincia ad essere ingombrante e la realtà dei fatti ha finora detto che Goss una tappa l'ha vinta e in un'altra è giunto secondo mentre Greipel addirittura il semplice podio l'ha solamente sfiorato, per di più in un'unica occasione. Per giunta il talento australiano i rudimenti della pista li ha assimilati bene e, visto quanto fatto ieri, probabilmente poteva essere la carta buona da giocare anche quest'oggi. Ma le gerarchie a volte sono gerarchie e il mantenerle o il sovvertirle comporta una dose di rischio che pur bisogna correre, assumendosene le responsabilità.
L'HTC poi, sobbarcatasi la maggior parte del lavoro per rintuzzare la fuga del giorno, è parsa funzionare fin troppo bene quando il traguardo era ancora lontano, vedendosi quindi oscurata da Sky, Garmin, persino la Milram impegnata a lanciare Förster (buon quinto posto del tedesco) lì dove occorre la necessaria compattezza per far la differenza. In tutto questo poi il rammarico per l'ennesimo successo nostrano svanito non ha praticamente ragion di esistere ed è per questo che a Fabio Sabatini, costretto ad arrangiarsi in una Liquigas votata a tutto men che alle volate (e che si è vista davanti solo quando Agnoli ha cercato giustamente di tenere Basso fuori dai guai prima dei -3 dall'arrivo), vanno fatti solo complimenti per un secondo posto che, contro il Farrar di oggi ed in generale di questo Giro, era impossibile da migliorare. Buon per lui che con simili performance riesce a guadagnar preziosi punti di considerazione in una squadra che tra giovani talenti ed un Bennati che, quando al top, è sempre uno in grado di dir la sua sa essere ben fornita anche in un terreno come questo.
In tutto questo, con i big praticamente in vacanza, non ce ne vogliano i volenterosi Wegelius, Dupont e Cataldo, che hanno scelto proprio le strade assolate del Sud per sobbarcarsi poco più di 200 chilometri di una fatica, destinata ad esser vanificata quando il traguardo si avvicina. Perchè anche una volata spettacolare come quella inscenata dai Garmin quest'oggi non fa certo dimenticare il rispetto che si deve a chi comunque decide di provarci (e, come l'abruzzese, magari poi deve incassare pure la beffa di una foratura prima dell'arrivo). Anche se poi, di fronte a certe meraviglie, l'occhio vuole sempre la sua parte.