Vi amiamo da impazzire
Versione stampabileC'è anche un rammarico in questa giornata di Montalcino. Se il tempo non fosse stato così fosco, avremmo anche potuto ammirare il panorama intorno allo splendido borgo senese. Ma forse senza quella pioggia, quella foschia, quel vento lancinante, e senza il fango che ha ricoperto di sé gli splendidi protagonisti di questa tappa, non staremmo parlando di uno dei giorni più belli che il ciclismo abbia vissuto da qualche anno in qua.
Una tappa da Mucchio selvaggio di Peckinpah, in cui un manipolo di antieroi va incontro al suo destino infame senza batter ciglio. In cui nei 30 km finali succede di tutto, in cui una maglia rosa giovane ed entusiasta non arriva neanche allo sterrato che già cade e vede diventare ancora più cupe le nubi incombenti sul plotone destinato a uno sparpaglìo memorabile. Una tappa in cui i primi della classe (classe in senso sportivo, tecnico, agonistico, tattico) non temono di tuffarcisi, in quel fango scivoloso su cui basterebbe un niente per gettare all'aria mesi di preparazione e propositi di finire il Giro al meglio.
Una tappa in cui Vinokourov non aspetta lo sterrato per muoversi, e in cui trova in Evans un rivale splendido e tenace, pronto a rilanciare la sfida insieme all'andatura; una tappa in cui Damiano Cunego si ritrova di colpo al livello dei migliori, e diosaquanto migliaia di tifosi aspettino momenti di questo tipo, col veronese all'altezza delle attese. E in cui Scarponi è il primo a cadere e il primo a mettersi a inseguire, tutto solo negli ultimi 30 km, e bravissimo a non mollare mai, limitando al massimo il danno e procedendo di rimonta superando un paio di decine di colleghi almeno sulla via per Montalcino.
Una tappa in cui Nibali aspetta Basso e che quindi dice che forse le gerarchie in casa Liquigas sono più definite di quanto non si pensi; ma in cui nel finale Vincenzino non si trattiene quando può piazzare lo scatto conclusivo. Una tappa in cui Sastre va all'aria e in cui il fango che ricopre tutti, dal primo all'ultimo, resterà impresso nei ricordi di chi ha visto e non dimenticherà.
Una tappa in cui il migliore, alla fine, è proprio quello che quest'anno è ufficialmente migliore (lo dice quella maglia iridata), Cadel Evans; in cui il Giro, pur venendo da 6 giorni già ricchi di cose e casi, può dire a se stesso di essersi rilanciato nei suoi temi più appassionanti. Nella sfida tra quelli che ora sono lassù in classifica; in quella di coloro i quali inseguono ma hanno tutte le possibilità di rientrare in gioco (la coppia Liquigas su tutti).
Una tappa, una giornata, di cui avevamo francamente bisogno. Noi, il ciclismo che rinasce ogni volta nelle situazioni più estreme, i corridori che sono abituati al fango metaforico e quindi cosa vogliamo che si spaventino di quello delle strade bianche/marroni del senese? In fondo è solo acqua e terra. Vita e materia. Quel che noi siamo, e i ciclisti come noi. Uomini. Antieroi, sempre. O piccoli eroi, qualche volta.