Giro d'Italia 2010: Sogno nipponico, gioia francese
Versione stampabilePiù giorni passano e più prende corpo la volontà di domandarsi: ma che Giro è mai questo? Possibile che l'improbabile diventi realtà e che ciò che appare certo finisca per diventare carta straccia? Possibile che, con poche possibilità riservate agli sprinter, i due velocisti più attesi siano ancora a quota zero e che invece una Quick Step priva di Tom Boonen sia riuscita già ad annoverare due successi?
Certo che è possibile e se andiamo avanti di questo passo il Giro 2010 rischia di diventare altamente sconsigliato ai deboli di cuore, visto che lì dove non intervengono in prima persona Giove Pluvio e il dispettoso Eolo il tutto si risolve con una massima già ascoltata migliaia di volte: la corsa la fanno i corridori. Nel bene e nel male. E chissà che oggi anche il Grande Fausto non sia stato felice che l'epilogo sia stato questo, visto che le brevi salite attorno a Castellania non potevano certo evocare scenari eroici da salite dolomitiche e la conclusione più gettonata era quella dell'arrivo a ranghi compatti. Invece la memoria di Coppi è stata onorata proprio nel modo in cui piaceva a lui, con la fuga da lontano piena di ambizioni, temeraria, che sembra inesorabilmente imboccare il binario morto ma che invece trova lo scambio giusto per andare fino in fondo. Probabilmente nè Arashiro, nè Pineau, nè Fouchard e neppure il tedesco Voss immaginavano che il loro tentativo, nato dopo una ventina di chilometri di bagarre, sarebbe stato investito di cotanta gloria e importanza. Il giovane Voss poi, almeno un motivo concreto l'aveva nei due gran premi della montagna utili a rimpinguare il proprio bottino e difatti tanto gli è bastato, prima che il suo gesto eloquente di resa ai -25 dall'arrivo lasciasse carta bianca ai compagni d'avventura, lasciandolo nella malinconica soddisfazione di chi, pur tagliando il traguardo in ultima posizione a 8'16" dal vincitore, andrà a letto stasera con la consapevolezza di aver dato fino all'ultima goccia di sudore. Chi di sudore ne ha versato oggi sono sicuramente stati i vari Marzano, Spezialetti e Bono, impegnati a tirare il gruppo già a più di cinquanta dall'arrivo per iniziare a vedere solo verso i -30 al traguardo qualche uomo Garmin al proprio fianco, ai -20 qualche HTC ed infine negli ultimi 5 chilometri il team Sky.
Sappiamo però che in questo Giro il solo Hondo è praticamente il delegato a preparare il terreno a Petacchi negli ultimi chilometri e quindi sperare che siano sempre e loro gli uomini di Ale-Jet ad apparecchiar la tavola anche per gli altri è un errore che si rischia di pagar caro. Così i quasi quattro minuti di vantaggio dei fuggitivi resistono almeno fino ai -30, poi incominciano a ridursi ma con l'intelligente riserva di chi sa di non aver speso proprio tutto. Il minuto di vantaggio ai meno sei comincia ad aprire lo scenario inaspettato, i 29" ai meno 4 sembrano chiuderlo spietatamente come altre volte. Ma davanti si pesta sui pedali, ci si vuol provare fino in fondo e dopo le trenate di Pineau è Yukiya Arashiro a piazzare lo scatto della disperazione ai 1200 metri. O semplicemente lo scatto di un sognatore che comincia incredibilmente a sperare che questo 13 maggio lo faccia diventare un eroe nazionale, con un marchio impareggiabile rispetto a chi già la sua piccola pagina di storia l'ha scritta assieme al connazionale Beppu come primo corridore a portare a termine il Tour de France. Divenire il nuovo simbolo di una nazione che reclama i suoi spazi anche nel ciclismo su strada dopo innumerevoli successi su pista (la cui tradizione prosegue ancora oggi) senza che i suoi esponenti si trovino ad essere ricordati semplicemente come i simpatici ridolini del Sol Levante. Arashiro va, Pineau pure, Fouchard sembra cedere ma decide di tener duro. Il triangolo rosso è superato, il gruppo è lì pronto a fagocitare tutto e tutti ma è distante ancora centocinquanta metri almeno. C'è l'ultima curva quasi ai cinquecento metri, ma sì se ci si crede si può fare e difatti poco dopo sono ancora in tre davanti. Arashiro è commovente ma in quella posizione sa che il sogno della vittoria si infrange per lasciar posto all'orgoglio di un podio di cui andar comunque fieri, Pineau prende la testa negli ultimi duecento metri e si gioca un derby tutto francese con Fouchard, che nel frattempo si era un pò rianimato. Chi però conosce l'atleta della Quick Step sa che la volata non avrà storia e che sarà proprio lui ad alzare le braccia al cielo come puntualmente accade.
Si apre ufficialmente così il momento dei numeri tanto amato dagli statistici: Pineau che torna alla vittoria dopo sei anni; la Francia che torna a vincere una tappa al Giro dopo cinque anni (l'ultimo era stato Le Mevel a Varazze 2005); la Francia che piazza una doppietta in una tappa del Giro dopo 19 anni, da quando il compianto Casado nel 1991 ebbe la meglio sul connazionale Thueux in quel di Olbia, vestendo pure la prima rosa di quell'edizione. La Francia che oggi più che mai ribadisce che c'è, che è tornata ad esserci come protagonista e che vuole proseguire sempre più su quella strada che dai successi aveva improvvisamente svoltato al bivio dell'anonimato. Dietro uno sprint di rimpianti, con Farrar di nuovo davanti a tutti, davanti a Henderson, Petacchi, Brown e Greipel e a quel rimuginare su cosa andava fatto per tempo e non si è fatto.
Non ce ne vogliano i guerrieri dello sprint, ma questo Giro in fondo ci sta piacendo anche per questo. Per la capacità di mettere in discussione ciò che appare ovvio.