Giro d'Italia 2010: Il ringhio del lupo siberiano - Quella rampetta nel finale...
A Savigliano da un secolo e mezzo nascono treni nella grande fabbrica alle porte del paese, e oggi proprio di treni era questione. Cuneo, la grande città, accoglie solenne lo straniero che vi giunge da sud a piazza Galimberti, come l'ouverture di un'opera sinfonica, il respiro e l'ampiezza del cortile di una reggia. A nord invece si offre solo l'arcigno volto di una duplice scarpata, mura sorde come se la grande città voltasse le spalle coperte di un grigio mantello. Là, scavata nel terreno argilloso, vi è la confluenza di Stura e Gesso, la punta del cuneo: di là, snobbando l'ingresso dei re a piazza Galimberti, come manipoli all'assalto della rocca, sono passati i treni del Giro.
Nessuna circumnavigazione, dritti al cuore come si conviene ad un vero intercity. Proprio questo assalto frontale forniva alla prova l'unico sussulto altimetrico, uno strappetto per risalire dal solco dei fiumi affluenti al livello della città. Dosare le forze calcolando questo cambio di pendenza proprio in vista del traguardo quando l'acido lattico dovrebbe ormai avere superato la soglia di guardia? Questo forse era un quesito che inquietava il sonno di qualche ds: ma in fondo una tale risibile rampetta davvero l'avrebbe avvertita qualcuno?
Vinokourov, da vero lupo siberiano, ringhiava nelle terga dei suoi compagni di branco, li spronava all'assalto guidandoli con lunghe sferzate. Rimaneva quasi un minuto davanti ad ogni cambio, segno di grande potenza e sicurezza nei propri mezzi, come d'altronde il capobranco non può esimersi di mostrare. A Centallo 4 secondi dalla Liquigas, 34 dalla capolista Sky, ma già Evans, Sastre e la Saxo del rampante Porte sono dietro, le truppe italiche di Garzelli, Scarponi e Pozzovivo pare che arranchino flagellate dal maltempo. Tutto sommato, tutto sotto controllo, basterebbe solo non perdere le tracce del treno verde; alla rotonda della Madonna dell'Olmo giunge però una inquietante nuova, sembra che la Liquigas abbia risucchiato nientemeno che il concorde Sky rimontando più di 40" nel finale. Saranno state le differenti condizioni meteo a determinare tale schiacciante disavanzo in soli 15 chilometri?
Capitan Alexandre sente puzza di bruciato e comincia ad alzare la voce, ai 3 tre chilometri. Il motore di Stangelj comincia a picchiare in testa: è il sesto, lo si potrebbe lasciare per strada. Con un commovente slancio ritrova le ruote degli altri e tiene duro. Ma lo attende proprio quella rampetta da nulla, un macigno però, se l'acido lattico arriva alle orecchie e davanti vanno a 50 all'ora. Basterebbero un paio di chilometri di recupero per riportare il motore in tiro, ma in questa crono non c'è: sempre, impercettibilmente, inesorabilmente, ma spietatamente all'insù. Gorazd finchè è salita dà anche quello che non ha e tiene, ma quando il drappello scollina in città non ne ha proprio più. Lo devono aspettare. 15-20" se ne vanno solo là, la livrea rosa finisce in casa Liquigas e lo sloveno si deve beccare un bel rimbrotto in mondovisione sul traguardo.
In una cronosquadre il ritmo è tutto. Uno-due secondi al chilometro, si guadagnano o si perdono, ma quando bisogna rallentare per attendere un compagno i secondi al chilometro si contano a decine. Per questo una seppur trascurabile asperità nel finale, dove i più arrivano a raschiare il fondo del barile, constringendo chi avesse già gli uomini contati ad attendere, può avere fatto una differenza pesante. Può...
Forse l'ha fatta anche il meteo, oggi più variabile che mai, ma bisognerebbe rivedere squadra per squadra, (i 43" persi da Sky nel finale deporrebbero a favore di questa tesi), e l'estrema variabilità dovrebbe aver distribuito vantaggi e svantaggi abbastanza equamente. Alcuni interpretano la cronosquadre cercando di avere un apporto razionale, uguale, di tutti dall'inizio alla fine. Altri preferiscono cercare il picco di prestazione facendo dare tutto ad alcuni - destinati poi a staccarsi - all'inizio, e ai migliori alla fine. Così, se tutto fila liscio, si guadagna in velocità assoluta, ma ci si espone a rischi nel finale quando rimane il numero minimo. Al primo problema, bisogna aspettare.
I monti di Cuneo già incombono minacciosi e carichi di neve, ma quelli del Giro ancora devono apparire all'orizzonte. Nibali allora sogna. Basso, ligio, ripete ancora gli stessi concetti, ma negli occhi c'è una luce diversa. Il lupo nella sua tana aspetta di tornare alla caccia.