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Giro d'Italia 2010: Perché Vinokourov può vincere il Giro | Cicloweb

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Giro d'Italia 2010: Perché Vinokourov può vincere il Giro

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Quasi trentasette anni e non sentirli. Quasi trentasette anni e per la prima volta vestire la maglia rosa. Quasi trentasette anni e per la prima volta giocarsi un Giro d'Italia.

Alexandre Vinokourov guarda già tutti dall'alto verso il basso, non per presunzione od arroganza. No, l'altezza è quella della maglia rosa conquistata a sorpresa sul traguardo di Middelburg. Conquistata sì, perché se pur è vero che la BMC ci ha messo ben del suo, Vino era lì dove un corridore che punta a vincere un GT deve stare, attento alle trappole sparse sulla strada, dove si pensa che tutto fili liscio, piatto, tra treccine bionde con gli zoccoli, papaveri e mulini a vento. Quei mulini a vento che quello che doveva essere e probabilmente sarà ancora il suo più grande rivale, Cadel Evans, un altro non di primo pelo insomma, ha cercato di combattere per 10 km, senza neppure un fido Sancho Panza al proprio fianco.

Ma stasera parliamo di lui, del kazako in rosa. Che domani, nella cronosquadre piemontese, potrebbe dare un altro colpetto agli avversari e al Giro. Mezzo minuto? Quaranta secondi? Di più? Di meno? Poco importa probabilmente. Quello che sarà importante è l'aspetto psicologico della questione. Il vecchio che avanza e gli altri dietro, a inseguire, a farsi venire dubbi e paure. A temere di non vincerlo più questo giro, a farsi prendere dall'ansia. In rosa, sempre più in rosa, sempre più forte, convinto che anche a quasi trentasette anni può arrivare il tuo momento, di nuovo. Padrone, ancora, come quando dava spettacolo sulle strade del Tour, lontano abbondanti minuti da Armstrong, ma pur sempre battagliero e con la voglia di non darsi per vinto prima di quel traguardo di Parigi (come dimenticare il numero con cui soffiò a Leipheimer il quinto posto nel 2005? Sì, si "sprecò" per un quinto posto, quanti altri avrebbero estratto un simile coniglio dal cilindro per un piazzamento di retroguardia?

O ancora come a Liegi, non più di tre settimane fa, quando è sportivamente risorto dopo due anni di stop, quando ha nuovamente presentato le sue credenziali di possibile outsider per un grande giro.

Da outsider a maglia rosa il passo non è certo breve: se Vino, dopo un ottimo cronoprologo e una condotta di gara irreprensibile nel vento olandese, si è ritrovato in testa alla classifica ancor prima che la corsa approdasse in Italia, vuol dire che ha fatto le cose per bene, nel lungo periodo in cui è stato fermo, e nei mesi in cui ha preparato la stagione del suo rientro. Conoscendo la sua maniacalità, non c'è in effetti da dubitare che il kazako si sia allenato al meglio per ricoprire un ruolo da protagonista (quel che meglio gli si attaglia, a pensarci bene) nella corsa rosa. Ma se da outsider a maglia rosa dopo tre tappe il passo può essere tutto sommato breve, da outsider a maglia rosa dopo 21 tappe la questione si fa più complessa. Come uscire vivi dal primo GT che si disputa con ambizioni (nel 2009 si ritirò a metà Vuelta) dopo un così lungo periodo di inattività? Del resto i dubbi non mancano. Come rispondere a chi non è convinto delle reali possibilità di Vino?

C'è l'incognita delle salite, è vero. «Salite dure, la terza settimana...», sì sì, che palle, queste storie le sappiamo già, le sentiamo tutti gli anni, tutto l'anno, dalla presentazione delle tappe fino a quando arriva quella benedetta terza settimana, che poi qualcuno continua ad aspettare anche oltre la sua naturale scadenza, manco fosse Godot. Ma cosa può temere un quasi trentasettenne kazako in maglia rosa? Qualche salita dolomitica? Qualche avversario, che sembra uscito dalla penna di fantasiosi giornalisti, giusto per tener alta la tensione, giusto perché qualche cosa bisogna pur dirla? Suvvia, stiamo parlando di un uomo navigato. Un campione maturo. Sì, un campione, risorto dalle proprie ceneri, o da quelle che gli hanno tirato addosso, pronto per portare avanti anche questa lotta. Un battaglia di nervi, dove sai che gli altri non sono poi tanti, ma se si alleano, se mettono insieme le forze... Ma una battaglia dove tu sei il generale più forte, e il tuo esercito, tutto sommato, non è poi così messo male (hai Tiralongo, hai Grivko, hai Stangelj), se lo confronti con quello di cui dispongono quegli altri là, tra opliti di poco valore, stampellati, mutilati. E allora sì, è giusto crederci e combattere.

Schierare questo esercito in fila indiana e marciare veloci, verso Cuneo domani, verso Novi dopodomani e così via. Verona è lontana, ma si sa, in questi giorni ne è caduta la ricorrenza, di quel 9 maggio Festa dell'Europa (anniversario della liberazione dell'ultimo campo di concentramento nazista). Fermare un'armata sovietica lanciata e agguerrita, non è impresa da poco. La partita è aperta: agli altri la mossa.

Eugenio Vittone

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