Happy Bradley to you - Conversazione con Wiggins
Versione stampabileIl 28 aprile di 30 anni fa nasceva a Gand, in Belgio, Bradley Wiggins, che ha vissuto a Londra dall'età di 2 anni. Grandissimo talento dell'inseguimento su pista, nominato Commander of the British Empire dopo i due ori Olimpici di Beijing 2008 (che si aggiungono ad altre due medaglie di bronzo, una d'argento ed una d'oro, contando le sole Olimpiadi), ha sbalordito tutti nel 2009, quando ha ottenuto un piazzamento proprio ai piedi del podio nella corsa più seguita dai media di tutto il Mondo. Stiamo parlando del Tour de France, naturalmente. Il trentenne Bradley possiede quella maturità non soltanto atletica che il tempo gli ha conferito, cui va aggiunta la grinta tipica del ragazzino che in pista vinceva a più non posso, ed ancora oggi in realtà trionfa. Lo abbiamo incontrato, per gli auguri ed una bella chiacchierata, alla vigilia dell'ultima Liegi - Bastogne - Liegi, corsa da "Wiggo" (questo il suo soprannome) in appoggio all'australiano Simon Gerrans. Bradley ci accoglie all'Hotel Ramada, una lussuosa costruzione sulle rive della Mosa. Sul prato all'inglese c'è un bimbo che corre, la maglia del Manchester United indosso e la fatica che in gioventù non si sente nemmeno un po'. Quel bimbo con la faccia da Red Devil è Ben, primogenito di Wiggins. Arriva Bradley, in braccio ha la figlioletta Isabella. Il campione britannico ci invita a salire con lui sul pullman del Team Sky, che sembra un motorhome di Formula Uno o, meglio ancora, un'astronave. Si siede, rilassato su una poltrona reclinabile, ed iniziamo la nostra chiacchierata.
Ciao Bradley, sappiamo che mercoledì è il tuo compleanno. Ti facciamo gli auguri, anzitutto. Ma siamo curiosi di sapere quale regalo particolare ti piacerebbe ricevere quest'anno.
«Chiaramente vorrei correre un buon Tour de France e possibilmente migliorare il quarto posto dell'anno scorso. Ciò per me significherebbe salire sul podio. So che sarà molto difficile, ci proverò ma è chiaro che questo, per ora, resta un mio desiderio, non so se si avvererà. Se ogni desiderio si avverasse sarebbe tutto troppo semplice».
Quindi la tua stagione sarà incentrata sul Tour de France?
«Decisamente. Sono in una squadra molto ambiziosa, il Team Sky si aspetta molto da me e chiaramente cercherò di ripagare tutti con un podio a Parigi. Non correrò soltanto il Tour, tengo a precisarlo, ma è quella la corsa a tappe che si addice di più alle mie caratteristiche. Ci sono delle prove contro il tempo e salite lunghe ma pedalabili, non impossibili per me. Cercherò di arrivare sul podio, sono convinto di poterci riuscire. È tanto difficile quanto possibile. Però correrò anche il Giro d'Italia».
Quest'anno è più duro dell'anno scorso. Lo correrai in preparazione del Tour?
«No, non correrò il Giro completamente in preparazione del Tour. Sarebbe irrispettoso verso gli organizzatori e verso la mia squadra, che al Giro sarà alla prima partecipazione in un'importante corsa a tappe. Il team da me vuole dei risultati e so di poter ripagare le fatiche di tutti. Penso di poter puntare al prologo di Amsterdam, vestire la maglia rosa e magari vincere un'altra tappa. Di Plan de Corones e Zoncolan non starei nemmeno a discutere. Ripeto, mi accontento di vincere il prologo, indossare la maglia di leader per i primi giorni di gara, puntando magari a qualche tappa. Le salite del Giro sono molto più difficili di quelle del Tour e non sarei competitivo. Potrò invece aiutare il mio compagno Dario David Cioni, che sulle strade del Giro ha più esperienza del sottoscritto e perciò porterà i gradi di capitano».
Nella tua carriera hai vinto molto in pista, mentre su strada ti sei scoperto davvero forte solo l'anno scorso al Giro ed al Tour, soprattutto. Cos'hai cambiato nella preparazione?
«Niente di particolare, mi sono focalizzato completamente sulla strada ma senza perdere d'occhio mai la pista. Molti pensano che quest'ultima sia una disciplina che fa perdere del tempo, quindi la evitano troppo spesso. Io invece, dopo avervi ottenuto un gran numero di vittorie, tra cui medaglie Olimpiche e Mondiali, mi sono focalizzato sui Grandi Giri. L'anno scorso ho disputato un buon Giro mentre al Tour sono andato proprio forte. È una questione fisica, perché ho dovuto perdere 6 kg per tenere le ruote dei migliori sulle salite alpine e pirenaiche, però è una anche decisivo il fattore psicologico. Devi concentrarti su un obiettivo, dare sempre il 100%, in allenamento ed in gara. È totalmente diverso rispetto alla pista, si tratta di un processo graduale, ma non è impossibile da realizzare».
Da quest'anno sei approdato al Team Sky. Come ti trovi e cos'hai trovato di differente rispetto alle tue squadre precedenti?
«Mi trovo davvero molto bene ma non ho fatto fatica ad ambientarmi, anzi, ho incontrato tante persone con cui lavoro quando corro per la Nazionale Inglese su pista. La squadra è appena nata ma già altamente competitiva, questo la differenzia dagli altri team. Nel Team Sky si trovano i migliori meccanici, i migliori dottori in circolazione ed ogni singolo individuo è importante per ciò che svolge. Tutti sono indispensabili alla causa della squadra. Il corridore non è più importante di loro ma è importante per il team. Ognuno di noi viene fatto sentire fondamentale ed è coinvolto al 100%. Però, ripeto, è una modus operandi a cui ero abituato, lavorando con questo persone quando corro su pista».
Terminerai la tua carriera al Team Sky?
«Penso proprio di sì, spero il più tardi possibile. E dopo mi piacerebbe rimanere nell'ambiente, magari entrare nel giornalismo di Sky in veste di commentatore tecnico. Non sarebbe male ma è ancora troppo presto per pensarci...».
Essere competitivo fino alle Olimpiadi di Londra 2012 invece è un obiettivo realizzabile?
«Certo che sì, perché se ora mi sto dedicando alla strada ed al Tour de France in special modo, non ho certo smesso di gareggiare in pista. Alle Olimpiadi di Londra voglio provare ad essere competitivo e, visto che correrò in casa, ottenere almeno un'altra medaglia, dopo quelle di Sidney, Atene e Beijing. Con il Team Sky HD stiamo lavorando molto per questo, contiamo di arrivare alle prossime Olimpiadi ancora più forti del 2008. E dopo potrò dirmi soddisfatto e pensare al mio dopo carriera».
Dopo il tuo bel Tour del 2009 ritieni di essere diventato a tutti gli effetti un'icona del ciclismo britannico?
«Forse sì. Quel che è certo è che dopo il Tour de France sono molto più riconosciuto per le strade, per esempio, e ciò non può che inorgoglirmi. Il Tour è visto in tv da molta gente, in Inghilterra come nel Mondo. Trovare me molto avanti in classifica generale ed osservare un fenomeno come Mark Cavendish dominare le volate ha fatto sì che la gente si avvicinasse ulteriormente al ciclismo. Insieme al Team Sky si sta lavorando per un'educazione al ciclismo nel Regno Unito. Vedremo tra quanti anni darà i suoi frutti».
Pensi che saresti divenuto popolare prima se avessi corso meno in pista?
«È possibile, però ho corso e vinto molto in pista e ne sono felice. Certo, correre maggiormente su strada mi avrebbe reso celebre prima, com'è accaduto con Mark Cavendish, ma non mi pento del mio percorso».
Già, Cavendish; con lui hai corso su pista, vinto un Mondiale nel 2008 nella Madison. In che rapporti siete al momento?
«Buoni, ottimi. È come se fosse il mio fratellino. Condividiamo molte idee e ci vogliamo bene».
E se approdasse al Team Sky si riformerebbe quella bella coppia...
«Sì, indubbiamente ne sarei molto felice. Ho sentito dire che Cavendish arriverà nel Team Sky ma credo siano, appunto, solo voci infondate. Mark può avere successo in qualsiasi squadra corra. È umano anche lui ed ora attraversa un momento non facile, ma non ha bisogno di cambiare squadra per vincere di nuovo come prima. Se venisse qui, ripeto, ne sarei felice ed anche il popolo britannico lo sarebbe. Pensa al Tour: due inglesi del Team Sky che battagliano l'uno per la classifica generale e l'altro nei traguardi per velocisti. Sarebbe una bellissima immagine».
Si dice che James Murdoch, il figlio di Rupert, sia molto appassionato di ciclismo, per questo ha voluto che venisse creato il Team Sky. Lo conosci di persona?
«Sì, ci conosciamo e devo dire che è vero, è appassionatissimo di ciclismo. È venuto a trovarci alla Parigi - Roubaix, ha seguito la corsa in ammiraglia e si è divertito molto. Quando dicevo che nel team sono tutti coinvolti al 100% mi riferivo anche a James. È un grande appassionato di ciclismo e di sport ed ha a cuore questo progetto».
In questi ultimi mesi il ciclismo è stato nuovamente martoriato da casi di doping e tu hai preso una severissima posizione contro chi bara, spesso tramite tweets. Come pensi se ne potrà uscire?
«Il ciclismo sta facendo molta pulizia all'interno del suo ambiente. Logico che non potrà ripulirsi dall'oggi al domani, però penso al Team Sky, ed a tutte le squadre che come noi effettuano controlli interni. Una seconda opportunità va data a tutti, una quinta no. Se un giovane sbaglia, agendo per conto proprio e lontano dagli occhi del team, è giusto che sconti la sua squalifica. Ma quando pizzicano uno che ha già fallito dei test antidoping, allora è meglio che quella persona venga allontanata definitivamente dal resto del gruppo per il bene del ciclismo».
Non credi che ad un altro sportivo non verrebbero rivolte queste domande? Cosa pensi riguardo a questo "trattamento speciale" riservato al ciclismo?
«Penso che hai ragione, in un altro sport si parlerebbe maggiormente di questioni tecniche piuttosto che di doping e sarebbe anche molto più interessante. Però non sono un politico, non ho il potere necessario per fermare questo fenomeno dilagante, mi limito a commentare le notizie che giungono ogni giorno ed a rispondere alle domande che mi vengono quotidianamente rivolte. Il ciclismo ha un trattamento speciale perché sta cercando, forse più di tanti altri sport, di fare pulizia al suo interno. È un processo lungo e travagliato ma credo che ne potremo venir fuori, un giorno».