SpEdita in Francia - 4a tappa: Ljungskog - La Pucinskaite ci racconta il Tour de L'Aude
Aveva pienamente ragione Walter Zini: la sua era una battuta ma anche un avvertimento. Il secondo giorno, quello della cronosquadre (Susanne Ljungskog, vincitrice uscente del L'Aude era stata svestita dal superpotere della High Road), mi disse che a Susanne non rimaneva nient'altro che andare a caccia del successo, da lontano, ovviamente. Detto fatto. La tappa delle tappe, con tre colli messi cosi in alto che solo il pensiero di affrontarli provocava il mal di gambe a mezzo gruppo, si presentava come il momento più adatto per la riconquista della maglia di leader. Col du Cavaire posto a 1836m, Col de la Liose 1866m e Col du Creu 1712m., tutti discutibilmente concentrati nei primi 55km di gara, apparivano proprio come un bel massacro per chi ama scaldare con la gradualità il proprio motore (la sottoscritta appartiene questa categoria), una bella maledizione per chi ha qualcosa di importante da perdere, oppure un gran regalo per chi non sente la catena e ama la fatica.
La Arndt, in giallo, ha avuto il suo team stretto intorno a lei per i pochi miseri chilometri iniziali. Già sul primo Gpm (dopo l'impeccabile lavoro da parte dei tre team: Menikini-Selle Italia della Ljungskog, Nürnberger Versicherung della Worrack, Nazionale Britannica della Cooke) nel drappello delle prime venti le era rimasta accanto la sola Linda Villumsen; clamorosamente crollata, invece, la giovane scalatrice, campionessa tedesca, Luise Keller. E pensare che doveva essere lei la sua pedina essenziale in salita.
Lo scatto da padrona, forse studiato a tavolino o forse istintivo, di certo secco e definitivo, l'ha fatto sulla seconda asperità, e nessuna è stata in grado di seguirla. Parlo di lei, Susanne Ljungskog, la due volte iridata e vittoriosa nella ultima prova di CdM a Berna. Parlo di lei più che della corsa perché da sola ha fatto qualcosa di grandioso. Passo dopo passo allungava, così i secondi diventavano i minuti e il gruppetto inseguitore, dapprima disorganizzato, è poi crollato mentalmente.
Il suo giro non è finito, anche se il vantaggio, rassicurante, la lascia sorridere e sperare. Però, con tutto il rispetto possibile, la sua Menikini-Selle Italia potrebbe non garantirle la necessaria copertura in salita (nessuna delle sue compagne era nel primo drappello delle inseguitrici) e di salite, anche se meno impegnative, ce ne aspettano ancora tante. Almeno che non adotti la medesima tattica: la miglior difesa è l'attacco. Comunque vada, la sua impronta in questo giro l'ha lasciata, e merita quindi rispetto e ammirazione. Il mio team? Non ha brillato, anche Trixi Worrack, seconda in classifica, avrebbe dovuto attaccare proprio sulla stessa asperità scelta dalla Ljungskog, bastava accodarsi quindi, ma non l'ha fatto. Non sempre bastano, purtroppo, i buoni propositi...