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Addio Franco, l'Italia piange - Tragedia: è morto il ct Ballerini

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Franco Ballerini è deceduto stamattina in seguito ad un incidento d'auto a Larciano dove stava partecipando ad un rally. Inutili i soccorsi e il trasferimento in ospedale.

La cosa più facile da fare in questi momenti sarebbe inveire contro le nuvole: perché, Franco, perché andarti a cercare il rischio in quelle inutili, deleterie gare di rally? Non certo per questioni di prestigio sportivo, uno con la carriera del commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo non aveva certo bisogno di altri allori.
Ma il gusto dell'agonismo, quello che non poteva certo esaurirsi in una corsa all'anno vissuta dall'ammiraglia, quello sì. Di quello Franco Ballerini aveva bisogno, una necessità che l'avrebbe spinto, prima o poi (forse nel 2011) a lasciare la panchina azzurra per mettersi a disposizione di un nuovo progetto di club, probabilmente con Bettini, forse con Squinzi: a ricomporre antichi sodalizi che avevano segnato la carriera del tecnico, oltre ad aver lasciato marchi indelebili sugli ultimi 20 anni del ciclismo mondiale.
E invece purtroppo tutto si azzera, contro un muro infame in un rally in Toscana, Ronde di Larciano, prima edizione di una prova di cui non avremmo mai voluto sapere niente, e che invece irrompe col suo carico funesto nelle nostre vite di appassionati di ciclismo che si ritrovano scippati, da una vigliacca concatenazione di eventi, di un punto di riferimento per tutti.
Franco Ballerini, navigatore. Li aveva scoperti da un paio d'anni, i rally, era seduto accanto al pilota Alessandro Ciardi (che è ricoverato in condizioni gravi, con una frattura del bacino), quando questi ha perso il controllo della vettura, che è andata a sbattere violentemente (a 100-120 km/h) contro un muro. Dal lato destro, quello di Ballerini, che è morto sul colpo: vani i tentativi di rianimazione dei sanitari, vano il successivo trasporto in ospedale, vana ogni cosa.
Era un punto di riferimento, sì. In un ciclismo in cui è difficile trovarne e tutti scorrono via come piume spazzate dal vento, Franco era un punto fermo, col suo carisma, la sua misura, i suoi basettoni rassicuranti. Anche criticato, nei pochi anni in cui la sua Nazionale aveva fallito, ma sempre pronto a rispondere a tutto e a tutti con educazione e con la consapevolezza di essere un essere umano che può sbagliare pure; l'importante, per lui, era poi non sottrarsi al confronto, non temendo mai di spiegare le sue scelte e le sue motivazioni.
In ogni caso, erano i suoi risultati a parlare spesso per lui. Corridore dalle grandi potenzialità, reinventatosi uomo del Nord anche per far fronte a un'allergia al polline che lo limitava molto, in primavera, alle nostre latitudini. Poco protagonista al Giro (una tappa vinta), per questo; ma un signore del pavè, di quelle pietre su cui diede lezioni di stile e umanità, portandosi a casa due splendidi blocchi di porfido, appena sufficienti a saziare la sua sete di Roubaix, resa più pregnante dalla severa batosta patita nel '93 da quel furbone di Duclos-Lassalle, che lo beffò in una volata a due dopo aver dichiarato per chilometri la sua impossibilità a tirare («Sono finito, portami almeno allo sprint»).
La delusione fu tale che il Ballero quel giorno manifestò anche propositi di ritiro, subito rientrati per dar vita a una rincorsa entusiasmante alla rivincita nella più infernale delle classiche: rincorsa coronata dal successo del '95, e resa ancora più ricca dal bis nel '98.
Scese di bici nel 2001, proprio dopo un'ultima commovente cavalcata nella Roubaix, e fu subito pronto per salire sull'ammiraglia più ambita, quella della Nazionale italiana. Chi puntò su di lui ebbe vista lunga, e ne riconobbe le capacità di motivatore di un gruppo di corridori che ebbero sempre un rispetto inscalfibile nei confronti di Franco.
Non ingranò subito, il Mondiale di Lisbona 2001 andò tutto storto, ma già l'anno dopo Ballerini seppe catalizzare tutti gli sforzi e le ambizioni degli azzurri nella costruzione del successo di Cipollini a Zolder. E da lì in poi, attraverso una vittoria olimpica e altri tre titoli mondiali, divenne il ct di tutti, amato dalla gente e più ancora dai suoi corridori, un gruppo forgiato da lui per risultare a tratti imbattibile e per restare legato a quella maglia (anzi, all'Idea di quella maglia) anche al di là della giornata iridata.
Era un bell'uomo, Franco, in tutti i sensi. Un uomo a cui era difficile non invidiare l'eleganza, lo stile. Cercato e voluto da tutti, ambìta figura istituzionale che tutti, nel ciclismo, avevano piacere a invitare alle più disparate cerimonie e manifestazioni. E quando c'era lui, ogni occasione ciclistico-mondana assumeva tutta un'altra caratura. Una presenza, la sua, talmente carismatica da lasciar intravedere, in controluce, un possibile futuro da dirigente, un domani, quando fosse sceso dall'ammiraglia. Avrebbe brillato anche da dietro a qualche importante scrivania.
E invece questa fredda domenica d'inverno se lo porta via, ce lo porta via, lo porta via ai suoi cari, a sua moglie Sabrina e ai suoi due figli, agli amici e ai compagni di cammino di una lunga carriera. Aveva 45 anni e il meglio, nonostante tutto quello che aveva costruito in bici e in ammiraglia, era ancora davanti a lui.

 

Marco Grassi

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