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Vino sceglie Nero d'Avola - Tiralongo, da Cunego all'Astana

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«Il mestiere del gregario è qualcosa che devi sentire dentro, bisogna essere altruisti ma pensare allo stesso tempo a gestire le proprie forze. E gioire dei successi della squadra, quando arrivano». Con queste parole si potrebbe sintetizzare il pensiero di Paolo Tiralongo, neo acquisto dell'Astana, diretto e schietto come un Nero d'Avola, paese dove è nato ma che ben presto ha dovuto lasciare per trasferirsi a Bergamo, per amor di bici. Lo abbiamo incontrato in occasione del primo raduno stagionale della squadra kazaka e già ci è parso molto motivato e determinato a vincere. Con il suo accento siciliano mescolato al bergamasco ci ha parlato della stagione che verrà, del suo ex capitano, Damiano Cunego, e di quello che dovrà guidare nel 2010, Alberto Contador.
Paolo, finalmente ci siamo, si riparte. Com'è stato il primo impatto con la tua nuova squadra?
«Ottimo. Vedo già un grande affiatamento tra noi ragazzi, il gruppo mi pare molto, molto buono. E pian piano si inizia, ecco».
In che modo è iniziato il tuo rapporto con l'Astana?
«Già durante la Vuelta c'erano stati dei contatti con questa ed altre squadre. Poi s'è formato questo gruppo, comprendente Martinelli e Bontempi, già miei ds in Lampre, e le trattative sono proseguite. Loro mi conoscono, sanno che sono un uomo che in corsa svolge qualsiasi ruolo gli venga assegnato. Non c'è stato bisogno di presentazioni, insomma».
Di' la verità però, il vuoto lasciato dalla partenza dei fedelissimi di Armstrong si fa molto sentire in questa formazione.
«Sicuramente non è l'Astana dell'anno scorso, a livello di nomi e di potenziale. Però ho avuto tante esperienze in passato ed ho sempre visto che se un gruppo è coeso e lavora per lo stesso obiettivo può ottenerlo anche senza nomi altisonanti. Naturalmente in questo caso l'obiettivo per Alberto è il Giro...».
Forse ti confondi con Damiano, Alberto punta al Tour...
«Sì, certo, pensavo al Tour de France, a cui Alberto punta dichiaratamente. Non appena saprò dal team quando e dove dovrò andar forte mi metterò a disposizione. Ancora non si è parlato di ruoli ben definiti. Ad ogni modo io sono un uomo di fatica, appena ho un obiettivo mi concentro su di esso e faccio di tutto per arrivarci al top della condizione».
Abbiamo notato come alla scorsa Vuelta il Tiralongo gregario faticatore si sia trasformato in uomo di classifica. Lì che obiettivo avevi?
«Alla Vuelta mi è stata data carta bianca ed io mi sono concentrato sulla classifica generale. Alla fine è andata bene ed ho ottenuto un 8° posto».
In quella Vuelta non hai corso in appoggio a Damiano Cunego. Nei quattro anni alla Lampre, invece, hai vestito i panni di angelo custode, motivatore e amico per Damiano. Come vi siete lasciati?
«Premetto che contro Damiano io non ho nulla. Non ci ho nemmeno litigato, per dire. Però ci sono rimasto male perché non mi ha voluto al suo fianco al Giro di Lombardia. Sai, dopo quattro anni di fatica e sacrifici per lui mi sarei almeno aspettato una sua telefonata. Giusto per spiegarmi il motivo dell'esclusione».
Telefonata che non c'è stata, pare di capire.
«No, infatti io la notizia della mia esclusione l'ho appresa dai tecnici. Anche secondo loro a non volermi sarebbe stato Damiano. C'è anche da dire che avevo già trovato un'altra squadra, sapevano che sarei venuto all'Astana. Dopo quattro anni in Lampre ho ringraziato il Dottor Galbusera, Giuseppe Saronni e ci avrei tenuto a correre il Lombardia per terminare un 2009 che per me era stato molto soddisfacente. Non mi è stato concesso e non so neanch'io il perché. Si tratta di un'esclusione che non mi aspettavo e che mi ha fatto molto male, anche perché sarei andato al Lombardia a lavorare per lui».
Restando ancora sul rapporto con Damiano, tu sei stato forse uno dei gregari che gli ha fatto capire meglio quanto contasse la testa più delle gambe. Qui in Astana, con due leader carismatici come Vinokourov e Contador, quanto sarà importante la testa?
«Penso che tutti abbiamo le forze nel nostro corpo. Non bisogna essere atleti solo perché uno si allena e si prepara a modo. Un atleta fonda l'80% dei suoi successi sulla testa. Uno può voler essere il più forte del mondo ma se non sa correre e non vede la corsa prima o poi esaurirà le forze che ha in corpo. Bisogna sapersi gestire durante una corsa, durante l'anno, addirittura durante una carriera di corridore».
Secondo il tuo punto di vista Damiano ha sbagliato qualcosa in questo? Se sì sai cosa?
«Non lo so che cos'aveva Damiano. Io guardavo me che mi allenavo ogni giorno e poi con lui ci vedevamo alle corse. Il mio lavoro l'ho sempre svolto. Mi dicevano di tirare per tutta la salita? E io tiravo finché ne avevo, quando mi spostavo voleva dire che avevo dato anche l'anima. Forse Damiano dovrebbe tornare un po' sui suoi passi e vedere dove ha sbagliato, non lo posso sapere io perché non andava».
Alla luce di ciò non pensi che avresti potuto cogliere qualche vittoria in più in Lampre?
«Ho sempre lavorato come dovevo, non rimpiango nulla di questi quattro anni. Ero entrato in Lampre per fare un certo tipo di lavoro, il gregario, e l'ho fatto bene, di questo ne sono certo. Quello che doveva vincere non ero io...».
Hai già conosciuto Contador e Vinokourov?
«Conoscevo già sia Alberto che Vino. Ogni tanto in corsa parlavamo. Sono due persone normalissime, non sono per nulla esaltati né si comportano come delle star del ciclismo. Sanno che quando vincono spesso si tratta di corse con la "c" maiuscola. Conoscono il loro valore, che è molto grande, ma sono due ragazzi come molti altri. Sicuramente avranno molta pressione addosso da parte dei media, ma questo è normale e loro sono abituati a questo».
L'obiettivo di Alberto è il Tour e forse la Vuelta, mentre Vino correrà il Giro. La corsa rosa strizza l'occhio agli scalatori come te. Continua tu la frase...
«Guarda, da italiano sarei felice di poter correre il Giro, naturalmente. Lo farei sia in appoggio a Vinokourov oppure come uomo di classifica, se mi venisse data carta bianca come alla Vuelta. Dipenderà dai programmi».
Alla maglia rosa proprio non pensi mai?
«Io parto sempre a basso profilo. Non andrei al Giro per vincerlo ma se arrivasse la maglia rosa, anche solo per un giorno, non potrei che essere felice. Poi quando sei lì in quelle situazioni non si sa mai. Può succedere di tutto...».
Tu sei un ciclista migrante: dalla Sicilia a Bergamo per correre. Ora la tua prima esperienza in un team non italiano. Quali sono le tue prime impressioni?
«La squadra è molto coesa, ho incontrato vecchi compagni come Gasparotto e Stangelj, alcuni meccanici lavoravano già in Lampre, altri li ho conosciuti in queste ore. Sin dal primo giorno di ritiro mi hanno fatto trovare una bici non perfetta, perfettissima! Ed il resto dello staff è eccezionale».
Pensi che, a livello di spettacolarità, la stagione ciclistica 2010 potrà essere migliore di quella appena chiusasi?
«Io penso che corridori che danno spettacolo, come Vinokourov, ce ne siano pochi in giro. Ormai il ciclismo è molto tattico e le squadre sono tante e ben organizzate. Per questo è difficile vedere un corridore che all'inizio va in fuga e fa l'impresa. Può capitare, ma rispetto agli anni passati è più raro vederne, ecco».
Per concludere, come sta andando la tua scuola di ciclismo giù in Sicilia?
«Avevamo avviato il Team Dekasport - Fans Club Paolo Tiralongo, una squadra dedicata ai ragazzi che vorrebbero praticare ciclismo senza doversi separare dalle loro famiglie, come è successo invece a me. Purtroppo però il progetto è in una fase di stallo. Io la Sicilia la amo e due o tre volte all'anno devo tornarci per ricaricare le batterie e ripartire più motivato di prima. Al tempo stesso, sono sedici anni che vivo a Bergamo ed ogni volta che torno giù trovo molta emarginazione nei confronti di chi pratica ciclismo ad alti livelli. Questo non è un bene per il ciclismo nazionale, andate a vedere quanti ottimi ciclisti sono siciliani. Io mi batto per togliere dalla strada tanti ragazzini, per farli andare a scuola e permettere che inizino a correre senza dover abbandonare la famiglia. Però dovrei essere supportato anche dalla Federazione Ciclistica Siciliana. Se la Federazione non si darà una scossa perderà molti talenti. Tanti ragazzi hanno già smesso, altri vanno a correre al nord e vengono respinti perché pensano fin da subito in grande, che è sbagliato, perché ognuno deve trovare la propria dimensione. Spero di poter fare qualcosa per la Sicilia in questo senso, magari a fine carriera. Per adesso però penso all'Astana».


Francesco Sulas



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