Le dure verità di Mori senior - «Deluso dall'ipocrisia di Saronni»
Versione stampabilePer la stagione 2010, la Lampre-Farnese Vini ha ancora un posto da definire. Per il team manager della squadra blu-fucsia sono possibili due opzioni: scegliere un nuovo innesto, oppure rinnovare il contratto ad uno fra Emanuele Bindi, Francesco Tomei o Massimiliano Mori. Per quest'ultimo, però, il rinnovo di contratto quasi certamente non arriverà. Il trentacinquenne di San Miniato, in Toscana, ha molta rabbia nei confronti del team manager Giuseppe Saronni.
Massimiliano, ci racconti che cosa sta succedendo?
«Sono spiazzato e deluso da come sta finendo il rapporto con la Lampre. È una cosa assurda. Saronni non si fa più sentire da luglio. Che problema ha nel parlare con me, nel darmi alcune spiegazioni? Ho potuto parlare con i ds un mese fa. Loro mi dicevano: "Saronni chiama tanti corridori". Io provo a cercarlo da agosto, anche perché fino al 31 dicembre sono ancora un suo dipendente. Io non chiedo la luna, ma un minimo di rispetto mi sembra normale. Cunego ha chiesto di me per il Tour, Ballan ha fatto lo stesso per il Fiandre. E adesso Petacchi mi vuole al suo fianco. Il velocista spezzino sa dell'esperienza che ho accumulato al fianco di Cipollini, sa che posso tirare le volate. Modestamente, so fare questo lavoro. Io ho sempre fatto di tutto per la squadra. Sono apprezzato da tutti, da Bruseghin ai giovani. Non ho mai avuto problemi con nessuno. Sono diventato un riferimento per tanti, ma con i ds è differente. Evidentemente non la vedono così. Terminare un rapporto cosi fa male, anche se la cosa che mi fa più male è l'ipocrisia».
Dunque la Parigi-Tours potrebbe essere stata la tua ultima corsa?
«Forse sì, ma io ho ancora la motivazione per continuare un anno. E ripeto, Petacchi mi vuole al suo fianco per fare una buona stagione. Alessandro sa come lavoro e conosce la mia esperienza. Ho già dato l'anima per tanto tempo a Cipollini. Adesso sarei pronto a fare lo stesso per Petacchi e continuare così la mia esperienza con la Lampre».
Hai avanzato pretese particolari?
«No, ho 35 anni ma ho grandi motivazioni per continuare. Ci sono tanti motivi per cui continuare a dare l'anima al ciclismo. Petacchi è uno di questi motivi, ma non è il solo. Ad esempio, Damiano Cunego mi cerca sempre per lavorare con me. Questo è un segno che il mio lavoro è riconosciuto. Mi fa molto piacere». Perché Saronni dovrebbe confermarti?
«La mia esperienza può essere messa ancora a disposizione dei giovani per un altro anno. Ho già sperimentato gli stessi compiti ai tempi della Saeco. Non avrei problemi a farlo di nuovo».
Saronni però ti ha permesso di coronare il sogno di correre con tuo fratello.
«È vero, la Lampre ci ha dato questa opportunità. È un bene e sono grato a Saronni ed alla famiglia Galbusera. Tra Manuele e me c'è una differenza di sei anni ed aver potuto correre insieme è un motivo d'orgoglio per la nostra famiglia».
Dopo tanti anni ti diverti ancora ad andare in bici?
«Mi diverto ancora molto ad andare in giro per il mondo. Quest'anno ho corso tanto e mi è piaciuto andare in Belgio. Ho finito la Vuelta e conosco tanta gente in tutti i posti del mondo. Quando si fa un lavoro, l'importante è farlo con piacere. Se non si trova più il modo di divertirsi, allora è tempo di smettere. Ma quando l'ambiente o i compagni ti cercano, significa qualcosa. Per me non è ancora tempo di smettere».
Saeco, Mercatone Uno, Formaggi Pinzolo Fiavè, Domina Vacanze, Naturino e, da due anni, la Lampre. La carriera di Massimiliano Mori è iniziata nel 1996. Una carriera al fianco di grandi campioni e all'interno di grandi squadre.
«Posso dire che il mio lavoro è stato apprezzato dai dirigenti e dallo staff tecnico delle squadre nelle quali ho militato. Dovunque sia andato, mi sono sentito a mio agio. Sono passati quasi 15 anni da quando sono arrivato nel ciclismo. A ogni squadra corrisponde un periodo e cambiamenti all'interno di questo bellissimo sport. Non ho una squadra "preferita", piuttosto ho nel cuore due campioni con cui ho corso e che mi hanno stupito: Mario Cipollini e Marco Pantani. Il primo mi ha insegnato tanto. È un personaggio particolare, ma quando sei neopro', lavorare per uno come Cipollini ti stimola e ti fa venire voglia di poter dare ancora di più per uno come lui. Poi c'è lo scalatore di Cesenatico. Era un personaggio carismatico, una bravissima persona. Senza togliere niente agli altri, questi corridori mancano nel mondo del ciclismo di oggi. Erano differenti dagli altri e davano lucentezza al nostro sport. Oggi non c'è più gente così».
Attraverso una carriera ricca di lavoro per gli altri, quali sono gli insegnamenti che il ciclismo ti ha lasciato?
«Il ciclismo è una scuola di vita. Si inizia da Juniores, giri il mondo, conosci tanta gente e vivi esperienze uniche. Attraverso le varie categorie, da junior fino al professionismo, c'è solo una cosa che non cambia mai: questo lavoro devi farlo se sei appassionato. Ogni corsa, ogni viaggio, ti porta a conoscere tanta gente, si hanno tanti arricchimenti culturali. In tanti anni sono andato un po' dappertutto in giro per il mondo. Ogni luogo ha le sue particolarità. In Belgio, con queste pavé mitico del Giro del Fiandre, c'è una atmosfera unica, bella, senza togliere niente alla Milano-Sanremo. In Belgio, dove posso vantare di aver partecipato alla vittoria del mio compagno Ballan nel 2007, tirando sul Grammont, si trova l'università del ciclismo. Invece, quando vai negli Stati Uniti, trovi un ciclismo un po' naïf. Alla fine, facendo il conto di tutto, capisco come il ciclismo sia uno sport bellissimo. Nelle categorie giovanili vincevo tanto ed ero considerato un vincente, poi quando sono passato professionista ho iniziato ad aiutare i miei compagni di squadra. La cosa non mi ha dato fastidio perché ho preso piacere nel farlo».
In ogni caso non sei stato con le mani in mano ed hai costruito alcuni progetti personali al di fuori dell'ambiente.
«Ho aperto due gelaterie, ma quello lo vedo più come un hobby, come un investimento che riguarda soprattutto mia moglie. Questa sarà la mia attività quando chiuderò con il ciclismo. Ma, nel futuro, perché non diventare un direttore sportivo? Tanti l'hanno fatto, perché non io? So anche che alcune persone non hanno visto di buon occhio questo mio guardare al futuro durante la mia carriera, ma non ho voluto mai rischiare di trovarmi senza lavoro da un giorno all'altro e finire in depressione come tanti altri. Questo, nel ciclismo, è un problema che spesso si tende a sottovalutare».