Hai voluto la bicicletta? - Scopriamo il mondo di Eddy Serri
Versione stampabile Eddy Serri l'ha voluta la bicicletta, per ventinove anni. Ora, però, ha deciso di dire basta. È tempo di pensare ad altro e intraprendere nuove strade, con il ciclismo sempre nel cuore. È una sensazione strana anche per chi scrive raccontare la storia di un'atleta che ha deciso di smettere, tanto più se lo fai in uno spazio che si chiama "Hai voluto la bicicletta...?". «Dopo dieci anni di professionismo ho deciso di smettere»: a parlare è Eddy Serri, nato a Porto Fuori il 23 novembre 1974, gregario che qualche soddisfazione se l'è tolta; uno che ha corso con grandi campioni e che dimostra di amare questo sport tanto da non volerlo abbandonare anche se ha deciso di chiudere l'attività di corridore.
Quando è iniziata la tua avventura nel ciclismo e come?
«Avevo sei anni ed è iniziata per gioco. L'appassionato era mio zio, però ho iniziato con il mio vicino di casa, uscivo in bici con lui. Un giorno mi ha visto Secondo Pantieri, il mio primo direttore sportivo, una persona eccezionale che scomparsa nel maggio 2008, e mi ha chiesto se volevo iniziare. Da lì il gioco è diventato passione, la passione una professione e poi un lavoro».
E il tuo vicino di casa?
«Lui ha smesso dopo tre o cinque anni, si è dedicato allo studio e ora fa un altro lavoro».
Te invece sei andato avanti.
«Ho iniziato nell'allora A1 con il Rinascita Ravenna, in cui ho militato per sedici stagioni fino al quarto anno Dilettanti. Poi sono passato alla Reda nel 1997, nel '98 sono tornato al Rinascita e nel 1999 ho corso con la marchigiana Calzaturieri Montegranaro».
Nel 2000 il passaggio nei professionisti con l'Alexia. Tre anni promettenti, con la vittoria nel Gp Città di Rio Saliceto e Correggio al primo anno e due Giri corsi, nel 2001 e nel 2002, il secondo al fianco di Paolo Savoldelli trionfatore di quella rocambolesca edizione. E poi nel 2003 il passaggio alla Mercatone Uno di Marco Pantani. Un bell'inizio di carriera, poi ti è mancato sempre qualcosa, forse solo un pizzico di fortuna, per "sfondare".
«Già con l'Alexia ci furono i primi problemi, tanto è vero che la squadra si sciolse. Andare alla Mercatone Uno per un romagnolo come me fu un sogno: peccato che quello fu l'ultimo anno di attività della squadra». Peccato anche perché il 2003 è stato il tuo anno migliore: secondo al Criterium d'Abruzzo, terzo a Castelfidardo, secondo al Giro di Romagna e una tappa vinta all'Elektrotour in Olanda
«Quell'estate andai veramente forte, peccato che la Mercatone Uno abbia chiuso. Passai alla Barloworld ma non trovai la mia dimensione».
Alla fine nel giugno 2006 si fece avanti la Miche. Con loro hai conquistato un terzo posto a Castelfidarso nel 2006, il Giro del Mendrisiotto nel 2008 e, soprattutto, la vittoria nel "tuo" Giro di Romagna nel 2007.
«Quella è la gara che ricordo con più affetto di tutta la mia carriera. Anche se ho vinto dopo che Grillo fu squalificato per volata irregolare, per me vincere il Giro della Romagna, della mia terra è stata una grande emozione e vedermi in quell'Albo d'Oro un grosso onore».
Poi quest'anno alla Meridiana e la decisione di chiudere a 35 anni la tua carriera. Facci un bilancio e dicci perché hai preso questa decisione.
«In passato non ho avuto la fortuna di approdare in squadre che riuscissero a portare avanti un progetto duraturo. Nel 2003 con la Mercatone Uno i risultati sono arrivati, stare con loro è stato un sogno poi andato in fumo. Comunque non ho rimpianti, le mie soddisfazioni me le sono tolte. Oggi il panorama ciclistico non è più quello di una volta, quando c'erano sette – otto squadre di alto livello in Italia. Adesso ce ne sono dodici – tredici, ma solo tre – quattro, al massimo cinque fanno del ciclismo fatto bene. Il resto è solo fare numero, in gara vedo molte squadre disorganizzate. A 35 anni se non hai la possibilità di correre per una delle squadre più forti che possono far bene gli stimoli ti vengono a mancare e quindi ho preferito lasciare».
Mi dicevi che sono arrivate anche altre "novità"...
«Eh si, l'11 novembre sono nate due gemelline, Veronica e Virginia. Con mia moglie Federica siamo felicissimi e non nego che il fato di stare vicino alla famiglia ha influito sulla decisione di smettere. Ho sempre detto che sarei voluto essere un padre che sta vicino ai figli, per questo ho deciso di fare un lavoro che mi permetta di restare nella zona dove abito, a Faenza». Di cosa ti occupi ora?
«Faccio l'agente pubblicitario per un giornale di un mio amico. I miei clienti sono i negozi di ciclismo della zona».
Però il tuo legame con il mondo delle corse è rimasto. Che progetti hai per il futuro?
«Ho avuto delle offerte per restare nel mondo delle corse, anche come direttore sportivo, e le valuterò, prima fra tutte quelle della mia prima squadra, la Rinascita. Il progetto più importante, però, è quello dell'Emilia Romagna Group, che sto portando avanti con Leonardo Levati, il mio primo direttore sportivo nei professionisti».
Di che si tratta?
«Vogliamo creare un gruppo sportivo legando, in una sorta di filiera, tutte le piccole squadre dell'Emilia Romagna. In questo modo i giovani potrebbero crescere ed arrivare al professionismo senza dover lasciare la loro famiglia e senza bisogno di sponsor o di conoscenze. Oggi i corridori forti della nostra regione vengono presi dalle squadre della Toscana e del Veneto che hanno più disponibilità economiche, e devono lasciare la loro famiglia a 17 anni. Vorremmo cercare di far crescere ed emergere tutti i ragazzi che hanno le qualità giuste, senza costringerli ad emigrare».