L'azzurro che vince - Salvoldi e l'annata trionfale rosa
Versione stampabileQuante volte in questi ultimi anni abbiamo ascoltato l'Inno di Mameli e celebrato gli splendidi successi del ciclismo femminile nostrano. Chi non ricorda la doppietta di Vera Carrara nella corsa a punti mondiale? Oppure l'inaspettato successo di Marta Bastianelli in quel di Stoccarda? Pagine indelebili di un album arricchito in questo 2009 in maniera straordinaria su cui campeggiano maestose le immagini dei titoli mondiali di Giorgia Bronzini nella corsa a punti su Pista e di Tatiana Guderzo, fresca di iride sul traguardo di Mendrisio. Non meno importanti però sono stati gli altri titoli conquistati in stagione, con maglie stellate di campionessa europea ed un titolo mondiale che hanno dato enorme lustro anche alla categoria Juniores, confermatasi al vertice del ciclismo mondiale. Dietro tutto questo c'è un unico comune denominatore: Edoardo Salvoldi, commissario tecnico di una nazionale italiana vincente ma non solo. A lui, che da quando fa parte dello staff azzurro ha raccolto il ragguardevole bottino di ottanta medaglie tra tutte le discipline e categorie in questione, il merito di aver creduto e continuare a credere in progetti per troppo tempo sottostimati anche in ambito maschile e plasmare un movimento che, tra le sue tante difficoltà, continua a confermarsi una fucina di talenti. L'abbiamo raggiunto telefonicamente per fare un bilancio ed anche un punto della situazione.
Nello scorso weekend grazie a Monia Baccaille è giunta l'ennesima medaglia della sua gestione. Il modo migliore per concludere un'annata straordinaria.
«Sì, è vero. Dagli Europei su pista limitati alle discipline dell'Omnium è giunta la quattordicesima medaglia stagionale per quanto riguarda il settore femminile, l'ottantesima da quando sono nello staff della nazionale. È stato senza dubbio il segno di una grande continuità, se si considera che siamo partiti in marzo con il successo di Giorgia Bronzini nel mondiale su pista nella corsa a punti, per poi proseguire col successo di Luisa Tamanini ai Giochi del Mediterraneo e con la conquista di titoli europei e mondiali anche nelle categorie giovanili, fino a giungere al successo ottenuto dalla Guderzo a Mendrisio».
Ripartiamo proprio dal mondiale e balza subito agli occhi una cosa: l'Italia è stata finora l'unica nazione che per ben due volte è riuscita nell'impresa di conquistare il titolo anticipando la soluzione in volata, che altrimenti avrebbe reso veramente arduo battere una fuoriclasse del calibro di Marianne Vos.
«Esattamente. Il ciclismo femminile negli ultimi cinque anni è stato dominato da questo autentico fenomeno che risponde al nome di Marianne Vos, un'individualità straordinaria che come ho detto spesso alle ragazze sembra quasi ricordare le gesta di Eddy Merckx. In queste due occasioni abbiamo dimostrato con costanza di essere una squadra compatta, con una grande coesione all'interno del gruppo e questo alla fine ci ha permesso di giungere al successo. Se per un motivo o per l'altro questo non accade, essere l'atleta più forte può non bastare per vincere».
A proposito: la tattica di gara attuata dalla Cantele e dalla Guderzo era un qualcosa che era stato già deciso in precedenza oppure il tutto si è sviluppato strada facendo?
«Il primo attacco operato da Noemi Cantele è stato deciso durante la corsa e non è stato quindi studiato a tavolino. Alcune squadre infatti sembravano manifestare l'intenzione di rendere la corsa dura fin dall'inizio ma questo poi non è avvenuto e a quel punto l'azione di Noemi ha costretto un po' tutti a scoprire le proprie carte e stanare chi fino a quel momento si era nascosta. È stato un attacco di verifica quindi, mentre quello operato successivamente da Tatiana è stato un'eventualità pensata precedentemente ed anche la situazione di corsa a quel punto lo consentiva».
Il fatto che atlete come Giorgia Bronzini, che si è trovata a gareggiare su un percorso poco adatto alle sue caratteristiche o come Fabiana Luperini si siano messe al servizio è stato indice di una coesione e di uno spirito di gruppo ancora più forte rispetto alle ultime stagioni?
«Sì, diciamo che se si può parlare di metodo questo dello spirito di gruppo si è rivelato un valore aggiunto, un principio basilare che è stato correttamente recepito anche nelle categorie giovanili, dal momento che le varie Bronzini, Guderzo, Cantele, Luperini si trovano a dare degli esempi alle ragazze più giovani. Riguardo le due atlete citate è vero che Giorgia poteva essere limitata dal percorso, ma sul suo impiego non ho avuto nessun dubbio, anche di fronte all'eventualità di convocare atlete più forti su un certo tipo di tracciato, perché sapevo che mi avrebbe dato al 100% delle garanzie sul compito da svolgere e per questo sono convinto che ne riceverà benefici anche dal gruppo quando sarà chiamata lei in prima persona ad entrare in azione per fare risultato. Così come, a dispetto di quel che si possa pensare, non ho avuto dubbi su Fabiana Luperini, che ha fornito una prova di umiltà anche al cospetto del proprio blasone».
Il trionfo della Guderzo è stato completato dal podio di Noemi Cantele, atleta sempre protagonista e a cui finora è mancato il grosso acuto. Ma la varesina ci ha stupito soprattutto nella prova a cronometro, con un podio sorprendente andato oltre le più rosee previsioni. È quindi il segnale che su questa specialità in Italia si può e si deve ancora credere in maniera concreta?
«Per quanto riguarda Noemi dico assolutamente di sì. Il suo risultato è stato una grossa sorpresa, ha mostrato un'ottima condizione ed anche in lei c'era la volontà di far bene in questa stagione, anche se nessuno pensava ad un risultato di questo tipo. Da diversi anni ho cercato di stimolarla sotto questo punto di vista e già alle Olimpiadi di Pechino si era sulla buona strada, poi sono subentrati alcuni imprevisti che hanno rallentato questo cammino. Comunque ora la vedo molto meglio, specie su come questo tipo di specialità vada interpretata. In Italia le atlete per emergere in gare contro il tempo non mancano sicuramente e sono stati fatti anche degli sforzi in tal senso ma forse quello che finora ha costituito una limitazione per le varie ragazze è il voler concentrarsi principalmente ad ottenere risultati nelle gare in linea, mentre nella cronometro è necessario un altro tipo di atteggiamento a livello mentale per far bene».
Naturalmente col grande risultato ottenuto a Mendrisio non saranno mancati gli attestati di stima ma spesso si ha la sensazione che la federazione si ricordi dell'esistenza del ciclismo femminile solo in occasioni come queste. Non sarebbe il caso di tutelare maggiormente le atlete e di investire di più su questo mondo durante tutto il corso dell'annata?
«Per quanto riguarda le varie attività devo dire che la Federazione mi è stata vicina e continua ad esserlo ancora adesso, non c'è quindi una mancanza di considerazione anche rispetto alla categoria maschile. Ritengo che il discorso riguardi più un ambito mediatico e di comunicazione, dove in effetti non sempre si riesce ad ottenere la considerazione che si meriterebbe. Dal punto di vista del sostegno quindi ribadisco che a livello federale siamo molto considerati mentre per quanto riguarda altre questioni venutesi a creare nel corso della stagione e che hanno coinvolto alcune atlete io credo che si sia creato qualche pasticcio con i regolamenti e che la situazione sia stata gestita male ma non credo che in questo la colpa sia stata delle istituzioni».
Un altro aspetto che balza all'occhio nella sua gestione è stata la capacità di aver creato un gruppo di atlete competitive non solo su strada ma anche su pista, come confermano i titoli ottenuti da Bronzini e Tagliaferro nella corsa a punti o il fatto che le stesse Guderzo e Baccaille al momento opportuno sono state nuovamente tenute in considerazione per i velodromi. Si può dire quindi che una delle carte vincenti del Salvoldi ct sia stato l'aver dato la giusta importanza ad una disciplina nobile come la pista, forse ancora di più rispetto al settore maschile? Quanto è importante attualmente poter contare su una struttura come quella di Montichiari?
«La polivalenza delle atlete è stato sempre un mio "credo" che ho cercato di portare avanti nel tempo e solo ora siamo riusciti concretamente a dimostrare qualcosa. In questo però devo dire che le ragazze mi hanno sempre aiutato moltissimo, perché sappiamo ad esempio che l'attività di club è possibile solo su strada e non su pista, almeno qui in Italia, dal momento che sono riuscite a dimostrare che praticando un certo tipo di attività su pista poi questo non comportava un calo di rendimento in quella su strada. Non a caso attualmente le discipline dove siamo riusciti ad emergere sono quelle che hanno mostrato una certa compatibilità con la strada mentre in altre, penso ad esempio alle discipline veloci, ancora no. Sono convinto però che proprio una struttura come quella di Montichiari ci darà una grandissima mano, poiché la possibilità di avere un velodromo coperto in casa nostra ci consente di controllare meglio le varie attività, evitando quindi continui spostamenti all'estero che coinvolgono anche tutto il materiale da trasportare. Per il futuro quindi cercheremo di essere competitivi anche nelle specialità veloci ed il mio sogno sarebbe, al di là del confermare un'annata come questa che appare francamente quasi irripetibile, quello di avere finalmente una competitività a 360 gradi. Credo che a livello giovanile per raggiungere certi obiettivi sia necessario poco tempo, tanto che sono già riuscito a creare un gruppo di allenamento per specialità come la velocità e il keirin che con il suo lavoro costante mi rende ottimista. Per quanto riguarda le Élite invece credo che i tempi siano necessariamente più lunghi per riuscire ad arrivare ai vertici».
Ma oltre alle Élite è stata un'annata estremamente proficua anche per quanto riguarda il movimento delle Juniores. Sono arrivati successi e medaglie su strada e su pista con le varie Callovi, Cecchini, Donato e Zorzi, segno che i talenti in casa nostra non mancano. In proposito: anche qui come giudica il fatto che nel corso della stagione molte corse importanti, su tutte la Tirreno-Adriatico, unica gara a tappe in territorio italiano, siano venute meno?
«Da un punto di vista della programmazione direi che ciò non ha comportato dei problemi, anche perché la Tirreno-Adriatico era collocata in un periodo lontano dagli appuntamenti principali ed anche in un periodo particolare dal punto di vista scolastico. È stato senza dubbio un peccato che non si sia disputata poiché era una gara che aveva moltissima considerazione anche all'estero, come ho avuto modo di riscontrare con altri tecnici ma più che una questione di non volontà di riproporla si è trattato di problematiche di tipo economico. Di certo sarebbe sicuramente molto bello se si potesse riproporla a breve. Per quanto riguarda il bilancio dell'annata si è trattato senza dubbio di una stagione molto più fruttuosa dal punto di vista dei risultati, anche perché bisogna considerare che conquistiamo il titolo europeo da tre stagioni consecutive e che da quattro abbiamo atlete sul podio del campionato del mondo. A favorire tutto questo poi c'è sicuramente il rapporto di collaborazione che si è instaurato con le società, un rapporto di aiuto reciproco che senza dubbio ha messo tutti nelle migliori condizioni».
Ci sono stati alcuni momenti in cui ci si è trovati a discutere del salto di categoria da Juniores ad Élite, che probabilmente al giorno d'oggi si rivela ancora abbastanza brutale, specie per delle ragazze ancora alle prese con gli studi proprio nell'anno del grande salto. Non crede quindi che sia opportuna, per non dire necessaria, la creazione di una categoria di transizione, denominabile «Under 23» come avviene per gli uomini per far si che delle ragazze talentuose possano avere più calma per maturare e non corrano quindi il rischio di perdersi per strada?
«Senza dubbio è un'osservazione pertinente, perché ciò che oggi manca è proprio una categoria che faccia da tramite e credo che a questo magari si possa arrivare solo quando ci saranno i numeri per poterlo fare. È vero che nel primo anno in cui le ragazze si trovano a compiere il salto di categoria va a coincidere con gli impegni scolastici, ma comunque ci troviamo a parlare di atlete che all'età di diciotto anni sono già donne. Se non sono pronte, sono comunque molto predisposte a sostenere una mole di lavoro inevitabilmente maggiore ed è per questo che ritengo sbagliato il comportamento comune di molti tecnici che fanno correre un anno in più tra le Juniores ragazze neo-Élite. A mio avviso bisognerebbe responsabilizzare i ds in questione a far fare alla ragazza il maggior numero di esperienze possibile nella categoria maggiore: solo nel caso vi fossero impedimenti particolari dovrebbero correre con le Juniores. A livello di nazionale ci stiamo già muovendo da tempo verso questa direzione, facendo disputare qualche gara con le Élite anche ad atlete che devono ancora finire l‘ultimo anno da Juniores. Forse però uno degli errori che si tende a commettere è quello di concentrarsi troppo sui risultati immediati, senza proiettarsi un po' più in là con gli obiettivi da raggiungere».