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Hai voluto la bicicletta? - Scopriamo il mondo di Alessandro Vanotti

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«Sono nato a settembre come tanti campioni della storia del ciclismo. Io non sono un campione, ma nel mio ruolo mi difendo molto bene». Questa frase potrebbe riassumere in due righe la personalità umana, la serietà e l'impegno professionale di Alessandro Vanotti. Gregario sì, ma di lusso: un Campione con la C maiuscola. Nato a Bergamo il 16 settembre 1980, ma originario di Almenno San Salvatore e residente ad Almenno San Bartolomeo, Vanotti viene da una famiglia di ciclisti. Il più famoso era lo zio Ennio e i primi passi di Alessandro sono proprio nella squadra di famiglia, la Vanotti Kocyss.
Non è stato difficile convincere la tua famiglia a farti correre in bicicletta.
«Siamo una famiglia di ciclisti, da mio padre a mio zio, e la nostra società, la GS Vanotti, compie quest'anno 31 anni. Nelle giovanili andavo molto bene, poi a 14 anni ho dovuto smettere. La mia è una famiglia numerosa e ho dovuto iniziare a lavorare. Non avevo più tempo per il ciclismo, non combaciava più con l'attività lavorativa. E così smisi quando ero fra gli Allievi, con una quarantina di gare vinte tra tutte le categorie».
Come è stato dover lasciare il ciclismo? Come sei riuscito a tornare in sella?
«È stato brutto. Andavo bene e poi sentivo di dover portare avanti l'eredità della famiglia, dispiaceva a tutti il fatto che avessi smesso. Così ho contattato una società dilettantistica che mi ha provato e ha deciso di ingaggiarmi. Sono tornato a correre con la Irm Rotanodari a diciannove anni. Non era facile scommettere su uno che era lontano dalle corse da anni, però hanno visto come correvo e come mi impegnavo in allenamento e mi hanno preso».
E da lì la tua storia prosegue fino ad oggi insieme ad una bicicletta, come nella tradizione familiare.
«Ho ricominciato a correre l'anno dopo, nel terzo anno Dilettanti, ed ho fatto molti piazzamenti in diverse gare di livello internazionale. Non vincevo, ma ero sempre molto combattivo. A fine stagione mi hanno cercato diverse squadre. A 21 anni ero nella Bergamasca e a 22 con la De Nardi Colpack, con cui ho firmato il primo contratto da professionista. Era il 2004 ed ho subito fatto il Giro d'Italia aiutando Honchar, che fu la sorpresa di quell'edizione. Fu il suo anno migliore. Io arrivai 44esimo e fu una grande soddisfazione concludere il Giro alla prima esperienza».
Gli anni passano e le squadre cambiano: Domina Vacanze nel 2005, Milram nel 2006, tutte squadre che hanno un leader unico per cui lavorare. Poi nel 2007 il salto di qualità, l'approdo alla Liquigas, una corazzata che punta un po' a tutte le corse.
«Ho seguito Gianluigi Stanga nelle varie squadre che ha diretto e nel 2005 sono arrivato anche terzo alla tappa di Varazze del Giro d'Italia e la partecipazione al Tour nello stesso anno. Il passaggio alla Liquigas, però, è stata la svolta della mia carriera. Hanno uno staff completo e con gli allenamenti mi hanno aiutato a migliorare molto rispetto ai primi tre anni, sia a livello fisico che tattico. E mi sono tolto anche diverse soddisfazioni, come le due vittorie a Bergamo nella Settimana Lombarda 2007, la cronosquadre d'apertura e il successo personale nella quinta tappa. Vincere davanti al pubblico di casa è stato fantastico. Nello stesso anno ho vinto anche le cronosquadre di apertura del Giro, a La Maddalena (come fece lo zio Ennio a Mantova nel 1983, ndr) ed ho preso parte alla Vuelta (quinto a Villacarrillo, ndr). Nel 2008 ho vinto la cronosquadre alla Coppi&Bartali e quella alla Vuelta e nel 2009 sono tornato sulle strade del Tour».
Come descrivi il tuo ruolo nella squadra?
«Non sono un campione, sono un gregario, ma il mio ruolo mi dà comunque molte soddisfazioni. È un ruolo delicato, bisogna stare attenti, reattivi e pronti in qualsiasi momento. Se non si è bravi a chiudere la corsa quando c'è un attacco, il tuo capitano può perdere la gara. Il mio è un ruolo di responsabilità e sono contento di aiutare qualche compagno più forte a vincere. In questi ultimi anni ho lavorato bene ed ho anche sfiorato la maglia azzurra».
Qual è la corsa che ti piace di più e quale vittoria sogni in carriera? A chi ti ispiri come corridore e chi ti ha impressionato maggiormente?
«Mi piace molto il Tour de France, è una corsa che voglio sempre fare per l'adrenalina e la competitività che ci sono. Vorrei vincere una tappa al Giro e una al Tour. Non ho nessun corridore a cui mi ispiro. Penso di essere Vanotti e di fare bene il mio ruolo. Sono cresciuto con le vittorie di Bugno, quindi se devo dire un ciclista, dico lui. Quando ero ancora uno stagista mi hanno impressionato due corridori: Laurent Jalabert e Michele Bartoli. Ero al GP de Fourmies 2002 e Jalabert si fece tutta la gara all'attacco, una cosa impressionante. Bartoli invece aveva un grande stile di corsa».
Che fa Vanotti quando non è in bici?
«Sto con la mia bambina Angelica. Ha 19 mesi ed è la gioia della mia vita. Sono sposato con Romina da quattro anni e devo dire che mi ha aiutato molto, soprattutto quando ho perso mia madre ed ho passato momenti difficili. Il tempo libero lo passo a casa con Angelica, ha quasi due anni ed è importante la presenza del papà».
Dove ti piace andare in vacanza?
«Con Angelica non possiamo fare vacanze lunghe in questo periodo, quindi massimo stiamo fuori un giorno. Prima con mia moglie abbiamo viaggiato parecchio. Se devo dire un posto dove mi piacerebbe andare, quando la bambina sarà un po' più grande, dico le Maldive. Alessandro Vanotti è un ragazzo che si spende molto per aiutare gli altri. Non solo quando si tratta di "chiudere" su un tentativo di fuga. La "Vanotti & friends" ha organizzato infatti una pedalata non competitiva di beneficenza per domenica 25 ottobre: 45 chilometri alla scoperta delle Valli Brembana e Imagna per stare insieme, fare sport e raccogliere fondi in favore di una bambina disabile di sei anni, Benedetta. Per maggiori informazioni e per iscriversi si può visitare il sito www.alessandrovanotti.com».


Emanuele Longo

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