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Vi lascio solo le briCiolek - Emmen, volata Gerald su Sabatini

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Quindici metri. Che cosa saranno mai 15 metri? Certo, se siamo a 14 metri da un burrone, 15 metri fanno una notevole differenza, chi può negarlo; ma qui, lo riveliamo, stiamo parlando di altitudine. La domanda di fondo è: può essere definita salita una rampa di 15 metri? Ci soccorre Albert Einstein, che pure andava in bici, e che sapeva bene quanto tutto sia relativo. In fondo, se la Terra fosse una palla da biliardo e noi potessimo tenerla in mano, non riusciremmo a percepire al tatto nemmeno l'Everest o il K2, tanto sono insignificanti rispetto alla grandezza della sfera su cui credono con superbia di stagliarsi. Di sicuro da qualche parte nell'universo e dintorni ci saranno pianeti con montagne che svettano a 40 km sul livello del mare, ma nemmeno con le microdosi di CERA qualcuno è mai riuscito a scalarle.
Così come in Italia ci bulliamo dei nostri Stelvio e Gavia, ma non pensiamo che ciò che per noi è pianura, per altri può essere un'arrampicata scoscesa; né mai riflettiamo su quanto sia facile per noi amare il ciclismo, troppo comodo subire la fascinazione dell'uomo contro la natura impervia, troppo semplice appassionarsi a uno scalatore, troppo elementare esaltare la fatica che si trasfigura sui volti tra una cima dolomitica e l'altra. Ma mettiamoci per un attimo nei panni di un povero olandese, e capiremo quanto dovremmo ammirare questi popoli del Nord Europa, questi popoli che vivono di pane e ciclismo, pur non avendo mai avuto a disposizione lo scenario di una vera montagna. Questi popoli che hanno come unico panorama distese e distese di piatte campagne e ciò magari è pure deprimente a pensarci bene (poi è logico che legalizzano la marijuana...), questi popoli che nonostante quanto scritto sopra, amano visceralmente questo sport, e magari, come gli olandesi, organizzano partenze su partenze dei grandi giri, e poi, al secondo giorno, mettono a disposizione una salita di 15 metri di altitudine su cui allestire un traguardo Gpm.
Quindici metri, rieccoli: e allora urliamo a voce alta il nome di Tom Leezer, olandese (poteva essere altrimenti?) che potrà ben dire di essere il corridore ad aver vinto sul Gran Premio della Montagna più basso della storia (chi potrà smentire quest'affermazione?), su una salita che non ha nemmeno nome (del resto, chi si prenderebbe il fastidio di darne uno a una rampa di 15 metri?), ma che gli basta per regalargli la maglia di leader della relativa classifica.
E questa, a pensarci bene, è anche una grande lezione di vita, perché quando mai un quasi velocista si sognerebbe di primeggiare su un Gpm? L'importante è non perdersi d'animo, prima o poi un terreno favorevole arriva per tutti, e si possono anche compiere le imprese più impensate. Soprattutto se, come il nostro Tom, si è avuta l'accortezza di infilarsi in una fuga partita 5 km dopo il via, con altri 4 comprimari chiamati Westra, Roels, García Dapena e Martínez Pérez, e si è avuta la pazienza di mulinare fino a guadagnare oltre 7' su un gruppo in cui non si badava ad altro che ad arrivare sereni all'inevitabile sprint che in genere segue 203 km completamente pianeggianti.
E non tutti sono riusciti a preservare tale serenità, va detto, visto che le cadute, specie nell'ultima parte della frazione, si sono moltiplicate, coinvolgendo un paio di volte Ortega, poi Kessiakoff, Lagutin, Hernández Blázquez e Jérôme, poi Ruiz Sánchez e l'immancabile Frank Schleck, poi Hansen, poi (a 3 km dalla fine) Marzano, già ruzzolato ieri. Nel mentre, Quick Step e Garmin si occupavano di tirare il plotone per favorire i propri Boonen e Farrar, che dopo l'ottimo prologo erano attesi a uno sprint che avrebbe dovuto regalare a uno dei due la maglia oro detenuta fin lì da Cancellara.
Ma siccome non c'è niente di matematico, niente è andato secondo i calcoli, una volta annullata la gloriosa fuga (a rate, annullata: ripreso prima Martínez, andato in apnea su un tratto in pavè a 30 dal traguardo; poi Leezer, Roels e García, ai 20; infine Westra, che da solo si era avvantaggiato sempre sul pavè, e aveva provato a salvare una cinquantina di secondi, per poi gettare la spugna ai 10 km).
I Columbia avevano dalla loro un Greipel che quest'anno ha fatto scintille, e quindi non si son potuti esimere dall'inserirsi nella lotta tra treni che ha acceso il finale; e poteva forse essere da meno la Liquigas di Bennati? Ovviamente no. E con tanti galli a cantare non solo non si fa mai giorno, ma si crea anche una discreta confusione, specie in una volata. In un gruppo che nel rettilineo finale era già frazionato di suo (un po' la caduta di Marzano, un po' l'alta andatura degli ultimi chilometri), c'è stato chi ha dovuto far da sé e magari ha raccolto il risultato grosso; e chi non ha saputo sfruttare il treno e ci riproverà già domani (tappa simile a quella odierna, solo con un paio di dentelli in più e 15 km in meno).
I Columbia, sul lato destro della strada, hanno visto sfrecciare d'anticipo Boonen che si era acquattato tra le loro maglie; ma Tornado Tom è partito troppo presto, e piantandosi ha di fatto rallentato tutti quelli che gli erano dietro. A centro strada, invece, Sabatini e Bennati facevano le acrobazie per non perdersi di vista, mentre Julian Dean si dannava per portare davanti un Farrar che era rimasto preso in mezzo al gruppo. E in questo andirivieni generale, lo spunto giusto - sbucando al centro tra un Dean scoppiato, un Farrar oggi non trascendentale e una coppia Liquigas che si è fatta anticipare - l'ha trovato Gerald Ciolek, che fra 20 giorni compirà 23 anni, ma inizia a festeggiare sin da ora, battendo di poco Sabatini (per Fabio c'è più rammarico per aver perso, o più soddisfazione per aver dimostrato di essere competitivo a questi livelli?), e poi Hammond, Greipel e Farrar, e balzando in alto in classifica, al secondo posto (con Cancellara che conserva la maglia oro per 8").
Si dirà che i movimenti nella generale non sono propriamente decisivi in quest'avvio di Vuelta, ma provate a dirlo a Samuel Sánchez, Vinokourov, Cunego e Gómez Marchante, che nei frazionamenti finali ci hanno rimesso 18", o magari ad Andy Schleck e Antón, che ne hanno lasciati 29. Così va il mondo, i ritardatari di oggi potranno benissimo essere gli avanguardisti di domani. Nella vita, nel ciclismo e su un Gpm di 15 metri.

Marco Grassi

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