Un Cadeau pour Evans - Il ritratto del Campione del Mondo
Versione stampabileL'arrivo solitario sul traguardo, a braccia alzate, senza possibilità d'equivoco, è forse il momento maggiormente sognato da ogni ciclista, sia esso un ragazzino alle prime armi o un professionista affermato che in carriera ne ha viste tante. Il fascino di certi momenti racchiude ben più di un significato, perché nel sopraggiungere di un uomo solo può nascondersi una catarsi, un senso di libertà molto più complesso di quel che si pensi, una rivincita al termine di un'estenuante partita a scacchi con la sorte, con le preoccupazioni, le ansie e le sopportazioni che in men che non si dica volano via.
Domenica pomeriggio a Cadel Evans non è servita un'impresa alla Fausto Coppi, è bastato cogliere l'attimo a sei chilometri dall'arrivo per capire che l'imbeccata di Joaquím Rodríguez era quella giusta e poi verso Novazzano piazzare lo scatto della vita, perché a volte anche tre chilometri o giù di lì possono bastare per lasciarsi alle spalle in un colpo solo avversari e canzonature riservate ai perdenti di successo.
Perché fino al pomeriggio del giorno 27 settembre Cadel Evans altro non era se non un meraviglioso perdente, di quelli che vedi sempre lì ad un passo dalla gloria e che proprio per la loro sventura ti fanno quasi tenerezza. Ed invece no, questa volta a perdere sono stati gli altri e così l'iride ha preso per la prima volta la via dell'Australia, limitatamente alla gara in linea.
L'incontro con la bici: la mountain bike
Quell'Australia dove Cadel nacque il 14 febbraio 1977 nella città di Katherine e dove prima ancora di innamorarsi della bicicletta ebbe modo di sperimentare duramente cos'è la sofferenza, con l'esperienza di sei giorni di coma all'età di otto anni dopo aver subito un calcio in testa da un cavallo è una di quelle che non si scordano poi tanto facilmente. Dopo essersi ripreso e aver praticato qualche sport qua e là, arrivò finalmente anche il momento giusto per tentare con la bici e come molti "aussie" non ha avuto nella strada il suo palcoscenico principale. Neppure con la pista però che pure da quelle parti ha da sempre avuto tradizioni nobili, bensì con la Mountain Bike, tra sentieri, ripide salite e discese mozzafiato. Non fu un binomio infelice e nel giro di pochi anni tra le categorie Juniores e Under 23 Evans riuscì ad imporsi come uno dei migliori biker a livello mondiale con ben tre medaglie d'argento e due di bronzo nelle rassegne iridate ma soprattutto con la conquista della Coppa del Mondo nelle annate 1998 e 1999.
Nessuna maglia arcobaleno dunque ma un palmarès comunque rispettabile che all'età di 24 anni è stato giudicato sufficiente per poter definitivamente defilarsi dagli sterrati (dopo aver preso parte anche alle Olimpiadi di Sidney 2000, terminate in settma posizione) e tentare l'avventura su strada, dove pure una medaglia mondiale era arrivata nella prova a cronometro per juniores a San Marino, conclusa in terza posizione.
Alla Saeco di Cipollini
Iniziò così nel 2001 il cammino di Evans nel ciclismo professionistico e a dargli questa prima opportunità fu la Saeco che aveva in Mario Cipollini il suo leader carismatico ed un Paolo Savoldelli con un podio al Giro d'Italia alle spalle. Superate le difficoltà iniziali però il ragazzo venuto dalla terra dei canguri dimostrò di avere doti notevoli soprattutto in salita, tanto da conquistare un'impegnativa gara a tappe come il Giro d'Austria (con successo sul duro arrivo in salita di Kitzbuheler Horn) e poi anche nella prima edizione del Brixia Tour, cosa che inevitabilmente lo pose all'attenzione del pubblico italiano.
L'anno in Mapei e la maglia rosa
Prestazioni che non lasciarono indifferenti neppure una corazzata come la Mapei, che per la stagione 2002 aggiunse quindi anche Evans ad un gruppo di qualità ed in cui figuravano anche giovani di talento. Non fu una scelta campata in aria e le buone prestazioni di Cadel nelle brevi corse a tappe (sul podio alla Coppi e Bartali e al Romandia, nei dieci alla Parigi-Nizza e al Giro dei Paesi Baschi) spinsero i tecnici a selezionarlo per il Giro d'Italia. Era giunta quindi l'ora del battesimo in una grande corsa a tappe e come prima esperienza si rivelò complessivamente assai positiva, anche se stranamente fu quella la prima ed al momento unica presenza nella corsa rosa. Una prima parte da rivelazione, con il secondo posto sull'arrivo in salita di San Giacomo ed il terzo nella cronometro di Numana e le parti alte della classifica frequentate anche con il primo approccio con le Dolomiti, tanto che a Corvara in Badia giunse un'insperata ma meritata maglia rosa. L'inesperienza, soprattutto in certe situazioni, gioca però spesso un ruolo determinante e fu così che l'indomani Evans fu protagonista di un "dramma sportivo" ancora oggi scolpito nella mente degli appassionati: in evidente crisi di fame negli ultimi chilometri salendo verso Folgaria, fu letteralmente piantato sulla bici, tanto da non riuscire quasi più ad andare su, così da giungere a oltre 17 minuti dal vincitore Tonkov e vedendo così il proprio Giro ridimensionato e concluso in 14esima posizione.
Parentesi T-Mobile
Un risveglio brutale ma che comunque mostrò come le gare a tappe potessero essere un obiettivo su cui concentrare le proprie energie in futuro. Col forzato addio alla Mapei per la chiusura della squadra al termine del 2002, per Cadel si aprirono le porte della T-Mobile per quella che forse fu l'esperienza più sfortunata della carriera a livello di club: un 2003 da dimenticare, costellato dalla malasorte con ben tre fratture alla clavicola e neanche troppo mitigato da un 2004 contrassegnato dal ritorno al successo al Giro d'Austria e da un convincente finale di stagione con i primi piazzamenti considerevoli nelle gare in linea (4° al Giro di Lombardia e alla Milano-Torino).
La sfida con il Tour de France
Nuovo cambio di casacca quindi per approdare alla Davitamon-Lotto, destinata a diventare la squadra da cui Evans non si è più separato ed in cui finalmente è riuscito a trovare la sua dimensione di corridore completo, forte in salita e sul passo e capace di essere presente da protagonista in alcune delle principali classiche monumento: nel 2005 infatti le buone prestazioni sulle Ardenne (5° alla Liegi-Bastogne-Liegi e 9° alla Freccia Vallone) si unirono alla prima top-ten al Tour de France, concluso in ottava posizione.
La Grande Boucle diventò così l'obiettivo principale su cui concentrare le successive stagioni e dopo il 4° posto del 2006 fu nel 2007 che si presentò la grande occasione per un Cadel regolarista e forse meno appariscente dei suoi avversari ma che, con l'inaspettata situazione occorsa a Rasmussen, ebbe per la prima volta l'occasione di giocarsi il successo in una gara a tappe. Pur essendo favorito sulla carta rispetto a Contador però non riuscì a superare lo spagnolo, fermandosi ad appena 23 secondi dal successo. Piazza d'onore sicuramente bruciante ma che unita al 4° posto nella Vuelta di Spagna e al 5° posto al campionato del mondo di Stoccarda, in cui fu tra i protagonisti nel finale ma nulla potè contro Bettini sul traguardo contribuì a garantirgli il successo nella challenge del Pro Tour, premio per una regolarità mostrata da marzo col 7° posto nella Parigi-Nizza fino ad ottobre col 6° nel Giro di Lombardia.
I conti col Tour andavano però regolati e dopo una nuova buona campagna sulle Ardenne (2° alla Freccia Vallone e 7° alla Liegi), il 2008 ha costituito l'occasione per ritentare. Questa volta le cose sembravano girare per il verso giusto, nonostante una brutta caduta verso Bagnerès de Bigorre (che qualche strascico sicuramente l'ha lasciato), con la prima maglia gialla vestita ad Hautacam e mantenuta per cinque giorni, prima di cederla verso Pratonevoso. Verso l'Alpe d'Huez però il tranello teso dalla CSC con l'azione di Sastre fu però l'emblema di un corridore che appariva incapace di tramutare in fatti (ovvero vittoria finale) la considerazione di maggior favorito ed anche la non esaltante prestazione nell'ultima cronometro, che equivaleva alla sconfitta per il secondo anno consecutivo fu significativa in tal senso.
Il 2009: disastro al Tour, jellato alla Vuelta
Il Tour è quindi diventata l'ossessione, la maledizione da sfatare, al punto da rinunciare anche ad una partecipazione nel Giro del Centenario per ritentarci nel 2009 ma questa volta ancor più delle gambe è stata la testa di Cadel a mancare, specie dopo la pessima cronosquadre di Montpellier a far da preludio ad una Grande Boucle disastrosa. Non restavano quindi che la Vuelta e il mondiale per rimettere a posto una stagione da dimenticare ed in Spagna è stata di nuovo la sorte a mettersi di traverso, con una foratura ai piedi di Sierra Nevada ed un cambio ruote che ha tardato abbastanza per far perdere quel minuto buono risultato poi decisivo per sancire la sconfitta finale, a cui però almeno è seguita una reazione utile a terminare sul podio a Madrid, seppur sul gradino più basso.
La gloria imperitura dell'iride
A Mendrisio, a due passi dalla casa di Stabio, restava un'ultima occasione, per levarsi di dosso un'etichetta fin troppo antipatica e per far ricredere i detrattori. Cadel c'è riuscito ed ora può iniziare per lui una dimensione nuova, perché le svolte possono avvenire anche a 32 anni suonati. Perché pazienza se finora nel curriculum tra le vittorie più significative c'erano un Giro di Romandia (nel 2005) ed una Settimana Coppi e Bartali (nel 2008) e se la fama di eterno piazzato l'aveva accompagnato anche al Criterium del Delfinato con ben tre piazze d'onore consecutive dal 2007 a quest'anno, nei Paesi Baschi (2° nel 2008) o alle Olimpiadi di Pechino (5° nella prova a cronometro). Una maglia iridata va onorata per tutto il corso dell'anno e se uno come Evans da febbraio ad ottobre ha sempre saputo fare la sua parte, ci sono tutti gli elementi adatti per pensare che sia finita in buone mani.
Specie quando la voglia di osare che troppe volte manca nel ciclismo d'oggi ti fa lasciare tutti alle tue spalle.