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Oro-Valverde non si ossida - Cunego bis, Basso prova e perde

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Chi vince ha sempre ragione? Forse sì. Forse la vittoria è una dea a cui presentare dei sacrifici propiziatori, in una religione assolutizzante a cui non si può sfuggire. La teocrazia della vittoria impone determinate scelte, anche dolorose, ed è inutile provare a scardinare dogmi e tomi sacri facendo di testa propria. La teocrazia della vittoria oggi pone sui suoi scudi un Damiano Cunego che, dopo il bellissimo successo di Alto de Aitana, si ripete a Sierra de la Pandera in una doppietta che manda in visibilio i suoi tifosi e pure quel Franco Ballerini che proprio intorno al veronese costruirà la nazionale che a Mendrisio difenderà il triplice titolo iridato dell'ultimo triennio.
O forse no, forse la vittoria non è il fine unico, anche perché poi c'è vittoria e vittoria. E se quella di domenica scorsa brillava di una luce nuova (o rinnovata, per meglio dire), la luce di un Cunego che tornava a fare la voce grossa in salita in un grande giro, battendo tutti i favoriti per il successo finale nella Vuelta 2009, a quella di oggi manca qualcosa. Per la precisione, mancano i 28' lasciati scientemente per strada ieri da Damiano.
Il rimpianto, di fronte alla piccola impresa odierna del veronese, è che questa affermazione non sposti tantissimo nella carriera del vincitore del Giro 2004: vale meno della precedente, perché un conto è partire in faccia ai tuoi rivali, un altro trovare spazio in una fuga che arriva ad avere 10' di vantaggio massimo, e poi avvantaggiarsi sui non trascendentali compagni d'attacco e difendere bene (questo sì) il rimanente margine negli ultimi 15 km di scalata solitaria verso il traguardo.
Il rimpianto è quello che ti fa fare due conti e ti fa considerare che - tolti i 28' regalati ieri - Damiano sarebbe sempre lì a giocarsi un piazzamento importante in un grande giro. Pazienza. Alla fin fine, contento lui, contenti tutti. Magari a Mendrisio farà la gara della vita e si tingerà d'iride, ma ugualmente questa scelta tattica (che dovrebbe essere completata dal ritiro nei prossimi giorni) si ha tutto il diritto di non apprezzarla. Il ciclismo che amiamo è un altro.

Il ciclismo che amiamo l'abbiamo visto per qualche chilometro nel finale di tappa di oggi, quando finalmente sono saltati tutti gli schemi e la lotta a viso aperto che si è sviluppata ha previsto attacchi e difese, vantaggi e recuperi, ribaltamenti di fronte e soluzioni a sorpresa: tutto molto bello, ancorché non esattamente decisivo in chiave "giochi di classifica", visti i pochi secondi che continuano a intercorrere tra i principali favoriti. Certo, rispetto a stamattina Alejandro Valverde è molto più sicuro del suo successo finale in questa Vuelta: è vero che restano 5 uomini a inseguirlo entro i 2' di ritardo (e il primo, Gesink, è a soli 31"), ma dalla tre giorni andalusa l'Embatido esce con la convinzione che non ci sono avversari in grado di farlo saltare in aria, né - più - tappe clamorose in cui temere rovesci: con una gestione oculata di se stesso (quella che gli mancò l'anno scorso, per dire), il murciano potrà arrivare a Madrid con le braccia ben alzate. Solo Samuel Sánchez, a questo punto, ha valide speranze di fare lo scherzone al connazionale, visto che tra la discesa di Navacerrada venerdì e la cronometro di Toledo sabato prossimo, potrebbe in teoria dare qualche grattacapo alla maglia oro; la quale però potrà ben recuperare nelle prossime tappe interlocutorie e prepararsi per bene a parare gli ultimi assalti alla diligenza.

Per un Cunego che vince, il contraltare è un Basso che deve riporre, ancora una volta, i suoi sogni di gloria. Già al Giro d'Italia Ivan era dovuto scendere a miti consigli, una volta appurato che il suo ritmo attuale non gli permetteva di fare la differenza. Alla Vuelta, la storia in qualche modo si ripete. Fin qui il varesino è sempre stato nel gruppetto dei migliori, ma mai ha messo a segno un affondo che facesse seriamente male agli avversari. Oggi era forse l'ultimo giorno per tentare di far saltare il banco, e in effetti la Liquigas, pancia a terra per recuperare sulla fuga di Cunego e gli altri 8 (tra cui Fuglsang, De Weert, Knees, Tankink), dopo aver rifiatato prima della doppia ascesa finale (Los Villares-4 km di falsopiano-La Pandera), ha dato tutto per preparare il terreno all'affondo del suo capitano.
A 14 km dalla fine il forcing dei verdi di Amadio e Zanatta si è imposto impetuoso in testa a un gruppo dei migliori che perdeva pezzi metro dopo metro. 10 chilometri, è durata l'azione della Liquigas, con uno Szmyd magistrale a dare le ultime rasoiate nelle gambe via via più indebolite dei rivali di Basso. Il momento di Ivan è venuto a 4 dalla fine, quando Cunego era quasi 2 km più su dopo la splendida difesa del suo vantaggio sulla Pandera. La progressione del varesino non ha fatto gli sfracelli che si sperava, ma qualche effetto l'ha pur sempre sortito, se è vero che Valverde ha iniziato a dare segni di cedimento - per la prima volta in questa Vuelta!
Da lì in poi, un tourbillon di azioni e reazioni. Evans ha provato un contropiede per dimenticare i guai di ieri, ma l'australiano non ha la grazia dei giorni migliori, e non ha fatto altro, con la sua azione, che preparare il terreno all'allungo di Gesink. Gran personalità, l'olandesino, che non si accontenta di fare il convitato di pietra al desco spagnolo, ma ci prova ogni volta che può. E nell'occasione, Robert si è portato appresso Mosquera, che una volta di più ha dimostrato di essere il migliore in salita in questo lotto; ma comunque i tempi non erano ancora maturi, e gli immediati inseguitori (Evans e Basso) hanno tenuto ancora botta.
A quel punto Basso, sfiancato da se stesso, ha visto spegnersi il lumicino che lo teneva ancora avvinto all'idea di poter portare a casa questa Vuelta (o almeno un podio, suvvia!), ha provato a reagire alle sensazioni sempre più latrici di sfiducia, si è messo in coda al gruppetto e ha iniziato a contare i metri che lo separavano dall'arrivo e dalla fine delle sofferenze. Ma in quel momento c'era chi stava messo peggio: Valverde, che come avrete notato non abbiamo citato nel gruppetto dei migliori, per il semplice motivo che si era staccato, esattamente come Samuel Sánchez. Staccato e sempre più lontano, 10 metri, 20 metri, 30 metri, ma poi basta con la deriva, un respiro, una spintarella da parte di qualche amorevole tifoso, una pedalata risparmiata, ed ecco che la spia della riserva si spegne e torna il sereno nelle previsioni meteo del suo futuro immediato: dopo aver fatto un tratto attaccato a SSG, e dopo aver visto l'asturiano prendere il largo (esattamente come ieri, Samuel ha operato un gran recupero nel finale), Alejandro si è ritrovato forse anche rinfrancato dal vedere che gli altri non erano poi lontani, e che tra loro qualcuno perdeva colpi.
Aggancia Basso, allora, e aggancia Evans, e staccali. Intanto Mosquera se ne andava da solo all'inseguimento dell'abbuono (Cunego già arrivato primo, Fuglsang secondo, tutti gli altri attaccanti della prima ora ripresi nel finale), e alle sue calcagna risaliva con impeto un clamoroso Sánchez. Gesink a metà via, e allora Valverde dà un ultimo colpo di pedale e riprende pure l'olandese, e quando il tratto duro della salita finisce, si può anche pensare di dare una sgasatina conclusiva. Che non servirà a riprendere Mosquera e SSG (l'abbuono se l'è pappato quest'ultimo), ma che fa capire che con questo Alejandro, stavolta, non si scherza proprio: perché il classico giorno-no che finora il murciano aveva patito in tutti i GT, stavolta non c'è stato.
La classifica dice di Valverde in oro con 31" su Gesink, 1'10" su Sánchez, 1'28" su un Basso ai piedi del podio come al Giro, 1'51" su un Evans in calo di motivazioni e 1'54" su un Mosquera quasi scoppiettante. Da domani si torna alle fughe fiume o alle volate, a meno di qualche sorpresa. Venerdì e sabato la Vuelta si deciderà. C'è qualche bookmaker che vuole scommettere contro Valverde?

Marco Grassi

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