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L'arcobaleno e la fanciulla - Guderzo: «Io ho sempre sorriso!»

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Aveva vent'anni a Verona, quando giunse seconda dietro a Judith Arndt. Ha venticinque anni oggi, la vicentina Tatiana Guderzo da Marostica, che in due anni s'è presa un bronzo olimpico e un oro mondiale e che si dice pronta, forte dell'iride appena conquistato, a diventare la portavoce della parte femminile del ciclismo. Non è stato semplice raggiungerla, ma all'ennesimo tentativo lo squillo del telefono è stato finalmente interrotto dalla voce della nuova Campionessa del Mondo.
Partiamo dallo scatto decisivo.
«È stato uno scatto che ho sentito subito. Ho avvertito l'intuizione e sono andata. Poco prima con Noemi ci eravamo dette che dovevamo giocarci il tutto per tutto e così è stato. Quando mi sono resa conto di avere quei 20 metri di vantaggio ho fatto la discesa a tutta e l'unica incertezza ce l'ho avuto nel pezzo in pianura prima di Novazzano, in cui non volevo spendere troppo perché nei precedenti giri avevo capito che l'ultima salita poteva farmi guadagnare ancora più vantaggio sulle inseguitrici».
L'avevi capito con quegli allunghi nei giri precedenti?
«Sì, avevo tentato qualcosa proprio per verificare la mia condizione in salita e testare un po' quella delle avversarie».
Sai che durante quell'ultimo giro ti abbiamo maledetta più volte per il fatto che ti giravi in continuazione?
«(ride) Mi giravo per riuscire a controllare quanto vantaggio avevo. Non era timore il mio, né eccessivo tatticismo, ma semplicemente la gente urlava il mio nome talmente forte, soprattutto in salita, che non riuscivo a sentire nulla di quello che mi veniva detto all'auricolare dal ct Salvoldi. Girarmi non era tanto una scelta, quanto una necessità».
La sera come avete festeggiato?
«Siamo state tutte in albergo. L'ho detto anche a fine corsa ma lo ripeto perché è vero: è stata la vittoria di tutte, quindi era giusto non isolarmi ma condividere la mia gioia con tutte le mie compagne e con tutto lo staff. Tutte hanno corso in maniera stupenda, anche chi - penso alla Bronzini - magari non era adattissima al tipo di percorso. Chi non è stata accanto a me con le gambe, soprattutto nel finale, lo è stata con la testa, soprattutto nei primi chilometri. Sapere di poter contare su una compagna di squadra per qualsiasi cosa quando il gruppo è molto numeroso è davvero importante. Le ringrazio ancora tutte».
E quando sei rimasta da sola che cosa hai fatto? Hai pianto? Hai riso? Come hai metabolizzato una vittoria tanto importante?
«Non ho mai pianto, anzi ho sempre sorriso. Infatti a fine giornata avevo i crampi alla mandibola... credo di essere l'unica persona a cui vengono... (ride) Anche il giorno dopo ho avuto per ventiquattro ore una sorta di paresi stampata sul viso».
I primi pensieri?
«Mi sono seduta sul letto, ho rannicchiato le gambe al petto e per due minuti sono stata in totale silenzio: ne avevo bisogno per immagazzinare del tutto le emozioni che avevo provato e che stavo provando. Poi mi sono alzata, ho letteralmente buttato via sia la maglia iridata che la medaglia d'oro, ho camminato fino allo specchio di fronte alla camera mia e di Noemi (Cantele; ndr), mi sono guardata e... sono scoppiata a ridere! Ho riso ad alta voce, e sempre ad alta voce ho gridato: "SCEMA! VISTO CHE SEI RIUSCITA NEL TUO OBIETTIVO? TI RENDI CONTO DI CHE COSA HAI COMBINATO?"».
Quanto vale la tua vittoria anche alla luce di questo 2009 inizialmente iellato?
«Vale molto, anche perché l'ho vissuta come una rivincita dopo un anno davvero difficilissimo (essendo un'atleta delle Fiamme Azzurre deve correre con bici Pinarello, ma il suo vecchio team aveva telai Colnago e per questo ha corso pochissimo fino al cambio casacca, avvenuto a giugno; ndr). Soltanto le persone che mi sono state realmente vicine sanno quanto ho pianto e come ho vissuto quei mesi. E mi ha fatto male viverle soprattutto perché non sono dipese da me, anche se poi tutti si sono affrettati con lo scaricabarile, riversando le colpe solo e soltanto sulla sottoscritta».
Chi sono questi "tutti"?
«Le persone a cui è rivolto sanno che mi riferisco a loro. È un sassolino dalla scarpa che mi tolgo ora con la mente un po' più lucida, anche se non mi va di fare i nomi. Diciamo che in quel "tutti" ci sono alcuni dirigenti e alcune persone della Federazione, più che altro. Il mio errore è stato quello di fidarmi troppo di alcuni personaggi, ma sicuramente non accadrà più».
Sbagliamo a pensare che un bronzo olimpico andasse tutelato maggiormente?
«Evidentemente sì, è sbagliato, visto che lo pensavo anch'io. Però i fatti hanno dimostrato il contrario, dato che nella difficoltà sono rimasta praticamente sola».
Quant'è distante Mendrisio da Pechino?
«Direi poco, nonostante l'anno disgraziato. Ho confermato di saper farmi trovare in uno stato di forma eccellente per la seconda volta in due anni, e sappiamo tutti che riconfermarsi è sempre complicato. La doppia medaglia è qualcosa che dà molto più valore ad entrambi i piazzamenti, visto che avrei fatto lo stesso ragionamento se invece dell'oro a Mendrisio fosse arrivato l'argento o un nuovo bronzo. Essere di nuovo lì vuol dire che si è riusciti a convivere con una forte dose di stress accumulata, e giro i complimenti anche a tutti gli altri medagliati di Pechino che si sono riconfermati nei loro sport».
Verona, invece, quant'è lontana?
«Sicuramente di più, ma in realtà appena mi volto indietro io vedo Verona. Un mio carissimo amico, nonché direttore sportivo all'epoca, mi disse che non aver vinto quel Mondiale sarebbe stata la mia grande fortuna. Forse è vero, ero troppo giovane per sopportare il peso di questa maglia. Quest'anno invece quel mio stesso amico, anche se non è più il mio direttore sportivo, si è avvicinato a me prima della partenza e mi ha fatto capire che se lo sentiva veramente, trasmettendomi grande fiducia. Alla fine della fiera quelli che ti dicono che sapevano che avresti vinto sono tanti, ma ognuno di noi poi sa bene chi ha creduto in te anche prima del passaggio del carro».
Quanto ti ha fatto piacere non vedere la Arndt nel gruppetto delle migliori?
«(ride) Ammiro molto Judith perché è sempre costante e vincente durante l'anno, ma quest'anno è stata sfortunata e non è mai riuscita ad esprimersi con continuità. Certo che era una cliente scomoda, soprattutto per l'amarcord, ma tenevamo molto più d'occhio Vos e Armstrong, su cui già da alcuni giorni avevamo messo sopra una croce grande come una casa».
Andiamo un po' più indietro: a che età hai iniziato?
«Avevo 7 anni e la mia prima società è stata il Veloce Club Marostica. Ero una Giovanissima e si correva le gare miste insieme ai maschietti. Perché ho iniziato? Perché...».
Ma il perché non te l'abbiamo chiesto!
«E io ve lo dico lo stesso! (ride) Dicevo... perché ero una bambina vivace, ma soprattutto pur di non studiare avrei fatto qualsiasi sport! (ride) Avevo visto mio cugino, Michele Novello, andare in bici e volli provare. Però andai subito bene, tant'è che mia mamma continua a ripetermi: "Hai imparato più in fretta ad andare in bici che a camminare"».
Dopo il passato, sguardo al futuro: resti con la Michela Fanini Record Rox?
«Sinceramente non lo so, mi sono presa una settimana - ma anche dieci giorni - per pensare. Questa volta voglio andarci con i piedi di piombo, senza commettere lo stesso errore di un anno fa. Anche perché una volta può anche succedere, ma mi capitasse di nuovo sarei proprio cretina!!...».
Curiosità forse inutile: il tuo miglior piazzamento in una gara di Coppa del Mondo fu il 3° posto del 2005 nel GP Castilla y León, gara che nel 2010 tornerà nella CdM pur chiamandosi GP Ciudad de Valladodid. La cosa è interessante o è effettivamente inutile?
«È sicuramente utile, così come quella spagnola è una gara importante al pari di tutte le corse di Coppa del Mondo, con Fiandre e Freccia sicuramente uno scalino sulle altre. Però il problema è che in quelle gare non riesco mai ad essere in condizione. Tanti anni ho provato a dannarmi l'anima per presentarmi in forma, ma non c'è niente da fare. Inizio a carburare a giugno, forse dipende dal fatto che non sopporto il freddo e la pioggia».
Allora t'ha detto bene, visto che la mattina del sabato mondiale sarebbe dovuto venir giù un temporale...
«Noemi (sempre Cantele; ndr) me l'aveva detto: "Fidati, non piove", e difatti non è piovuto. Ma in realtà è più il freddo che non sopporto, anche perché a Mendrisio siamo partite con le strade praticamente allagate e a Pechino siamo arrivate sotto ad un nubifragio. Chissà, magari a me non piace la pioggia, ma io a lei piaccio (ride)».
Soddisfa una nostra curiosità: quante telefonate hai evitato in questi giorni?
«(ride) Nel limite del possibile cerco di rispondere a tutti, soprattutto quando so chi mi chiama... (ride)».
Ma d'altronde la colpa è tua: fossi arrivata 82esima non t'avrebbe cercato nessuno.
«Infatti! A parte gli scherzi, è anche giusto calarmi in questo ruolo, visto che il mio obiettivo non è solo quello di indossare la maglia iridata per un anno, ma vorrei riuscire a diventare il portavoce del ciclismo femminile, anche all'esterno, una sorta di testimonial. Per questo mi sto già muovendo, anche se mi concedo almeno altri tre giorni di vacanza, fino a lunedì. Difatti sabato sera alle 19:30 ci sarà la mia festa a Marostica e siete tutti invitati!».

Mario Casaldi

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