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Thor vergato da Cavendish - Hushovd ancora 2° dietro a Mark

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Per seguire il ciclismo degli anni contemporanei, una predisposizione all'ilarità non è fondamentale, ma certo aiuta. Perché è meglio ridere di certe buffe situazioni che accaldarsi (di questa stagione, poi...) per prendere posizione per gli uni o per gli altri. Tanto se c'è una cosa che abbiamo capito, ormai, è che in questo sport non esiste chi abbia ragione: sono così bravi, quelli del ciclismo, da riuscire ad avere sempre tutti torto, anche se difendono posizioni opposte e contrapposte.
L'ultima boutade su cui si stanno accapigliando riguarda le radioline. Ora, vi pare possibile piantare grane per una cosa tanto stupida? È possibile.
Da tempo monta una corrente di pensiero che vorrebbe le radioline (quelle che mettono in comunicazione i corridori coi loro direttori sportivi) come simbolo dell'antispettacolo, visto che i ciclisti sarebbero frenati nelle loro aspirazioni più pazzarelle, magari quando vogliono attaccare in un punto e il loro ds consiglia di non farlo, di rimandare, di aspettare. Da qui la proposta di abolirle. Una proposta che il Tour ha fatto sua e che, molto poco democraticamente e in combutta con l'UCI, ha imposto al gruppo, pena la squalifica immediata per chi avesse contravvenuto.
Già, mentre in tutti i mondi evoluti a noi noti una trovata del genere sarebbe stata sommersa di ululati (vi immaginare zittire gli allenatori di calcio a bordo campo? Con la scusa che impediscono ai giocatori fantasiosi di fare molti dribbling...), nel ciclismo (in cui evidentemente non viene riconosciuto uno status di utilità alle indicazioni dei tecnici: riflettiamo su questo, piuttosto!) siamo arrivati a oggi, giorno previsto per la prima sperimentazione senza radioline (la seconda e per ora ultima sarà venerdì), con la proposta che nel frattempo è diventata regola effettiva, e col classico tutti contro tutti.
I direttori sportivi, anziché alzare veramente la voce, fregandosene del diktat e dotando tutti di radioline (avrebbero mai squalificato 15 squadre, e lasciato a giocarsi le restanti 10 tappe a 30 corridori?), hanno partorito una protesta ridicola, accolta da 15 team su 20: tenere la corsa immobilizzata fino all'annunciata volata finale, con andatura rallentata. I corridori, parte fortemente in causa se non altro per questioni di sicurezza, hanno comunque subìto più che appoggiato la protesta, ma come sempre hanno abbassato il capo e obbedito agli ordini.
In ogni caso la tappa è giunta al traguardo in perfetto orario (entro le 17.30), quindi se non avessimo saputo niente del retroscena, ci saremmo semplicemente annoiati (non più di quanto accaduto ad Andorra, magari). In fuga ci sono stati per tutto il giorno 4 peones (Vaugrenard, Dumoulin, Hupond e Ignatiev che non collaborava, in quanto esponente di una squadra protestante), con distacco tenuto sempre entro i 2' dal gruppo, e ricongiungimento finale poco prima dell'ultimo chilometro.
La volata, dominata come al solito dal Team Columbia, ha visto ancora una volta Mark Cavendish senza rivali, anche perché il suo concorrente più temibile, Hushovd (sempre in maglia verde) ha dovuto fare una minivolata già ai 400 metri per chiudere un buco che si era formato a causa dell'alta andatura della squadra del britannico. In ogni caso, anche se Mark è partito bello lungo (ai 250 metri), nessuno dietro è riuscito a mettere la sua ruota fuori dalla scia dell'ometto dell'Isola di Man.
Domani si bissa, altra tappa interlocutoria da Vatan a Saint-Fargeau. Il più contento di questa sequela di frazioni povere di significato è ovviamente Rinaldo Nocentini, che continua a portare la maglia gialla senza perdere il sonno la notte. Venerdì si dovrebbe cambiare registro; sempre se l'affaire radioline non impedirà alla tappa di Colmar di svilupparsi secondo il suo naturale indirizzo.

Marco Grassi

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