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Hai voluto la bicicletta? - Scopriamo il mondo di Rino Zampilli | Cicloweb

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Hai voluto la bicicletta? - Scopriamo il mondo di Rino Zampilli

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Il ciclismo è sport in cui il sacrificio è basilare per poter perseguire i propri obiettivi ed inseguire i propri sogni. Sacrificio che porta spesso ad andare lontano da casa quando si è giovani, soprattutto se chi insegue i propri sogni viene da una realtà come quella dell'Italia meridionale, dove poter praticare l'attività con costanza è sempre molto difficile. Ma anche una volta raggiunta la meta, il tanto sognato passaggio al professionismo servono passione, convinzione e motivazioni sempre alte per poter superare ogni sorta di avversità. In tutto questo è racchiuso il percorso di Rino Zampilli, nato il 7 marzo 1984 a Venafro e residente a Roccapipirozzi, una piccola frazione del comune di Sesto Campano, in provincia di Isernia. Da questa stagione veste la maglia del piccolo team bulgaro Hemus, anche per lascirarsi alle spalle tre annate tutt'altro che fortunate nella massima categoria.
Partiamo dal momento che ogni ciclista professionista sogna, ovvero quello in cui alza finalmente le braccia al cielo. In giugno hai conquistato due successi di tappa in Romania in una corsa che non sarà stata proprio sotto i riflettori ma pur sempre di vittorie si tratta. Quali sono state le tue emozioni e che esperienza è stata per te?
«È stata sicuramente un'emozione grandissima, soprattutto dopo che lavori tanto per raggiungere l'obiettivo. È senz'altro un ciclismo diverso dal nostro ma a livello di competitività non c'è poi così tanta differenza con il nostro. Correre in certi luoghi può sembrare facile ma in realtà non lo è affatto: in gara infatti c'è sempre da soffrire e le medie di gara sono comunque alte, inoltre devo dire che sono rimasto piacevolmente sorpreso dall'organizzazione che c'è in quei posti, degli alberghi che ho trovato. Ci sono cose che qui in Italia noi ci sognamo e devo anche dire che ho trovato un'ottima accoglienza da parte del pubblico; si dice forse spesso che da quelle parti il ciclismo non sia molto seguito ma invece posso dire che viene apprezzato abbastanza».
Tra l'altro dopo vari mesi di inattività sei approdato nella piccola squadra bulgara Hemus. Come sono nati i contatti e cosa ti ha spinto ad accettare questa, chiamiamola così, scommessa?
«Da parte mia c'era la voglia di provare un'esperienza diversa, loro mi hanno cercato e così l'interesse alla fine si è concretizzato. La mia è una squadra che fa attività soprattutto nella Penisola Balcanica ed anche se a me piacerebbe poter tornare a correre qui in Italia devo dire che sono felice della mia situazione. È un ambiente diverso ma c'è comunque molta tranquillità, posso dire di trovarmi bene».
Tra l'altro le tue prime annate da professionista non sono state propriamente rose e fiori, dal momento che sia l'esperienza con l'Aurum Hotels che con la Katay non si sono chiuse troppo bene…
«Già nella prima stagione, appena passato professionista con la Naturino-Sapore di Mare fui operato per un attacco di appendicite, subito dopo rientrai alla Quattro Giorni di Dunkerque ma in una caduta subii una frattura alla spalla, ragion per cui corsi davvero pochissimo. L'anno seguente con l'Aurum Hotels ho vissuto invece il periodo peggiore: correvamo poco ed in più arrivammo al mese di giugno senza aver percepito nessuno stipendio, tanto che poi la squadra venne bloccata. A livello di morale è stato un brutto periodo, del resto non potrebbe essere altrimenti quando si corre senza percepire lo stipendio, in quei momenti si può avere solo la speranza che le cose possano migliorare. Lo scorso anno poi sono approdato alla Katay ma anche lì purtroppo si sono più o meno ripresentati gli stessi problemi legati agli stipendi ed alla scarsa attività. Avrò messo assieme una decina di giorni di gara in totale nel 2008».
C'è stato un momento in cui hai seriamente pensato di abbandonare il ciclismo per dedicarti ad altro?
«In momenti simili può subentrare lo sconforto ma anche se ero giù a lasciare la bici non ho mai pensato. Non ho mai perso la speranza, anche perché non accettavo l'eventualità di dover smettere di correre per delle colpe non mie e cercavo quindi di far di tutto per dimostrare di continuare».
Al momento sei l'unico ciclista professionista molisano. Sicuramente un motivo d'orgoglio, anche se immaginiamo che nella tua terra sia molto difficile praticare ciclismo a certi livelli. L'emigrazione diventa inevitabilmente una necessità...
«Purtroppo in Molise ci sono davvero poche risorse, di strutture adeguate non ce ne sono, per cui si può quasi dire che il ciclismo sia morto. Inevitabilmente per inseguire il mio sogno sono dovuto andare via di casa, anche perché ho avuto la fortuna di essere contattato dal team toscano Gragnano nella categoria juniores, che mi ha così permesso di continuare l'attività».
Potresti comunque non essere l'unico, visto che quest'anno si è messo in grande evidenza tra i dilettanti Davide Appollonio, per il quale si parla di uno stage con la Cervèlo...
«Si conosco Davide, è un ragazzo molto forte e merita una chanche. Spero che continui per questa strada e che abbia fortuna».
Torniamo a te: come e quando hai iniziato ad andare in bicicletta?
«Ho iniziato all'età di nove anni nella squadra del mio paese, il Gruppo Ciclistico Pedale 91 in cui ero assieme ad altri 3-4 ragazzi. Diciamo che il tutto è nato un po' per caso, è stata una cosa che è cresciuta col tempo: guardavo sempre questi ragazzi andare in bicicletta, guardavo...guardavo e a lungo andare "rosicavo" un pochino, così mi sono convinto a provare. È stata quindi una cosa spontanea, dal momento che sono andato io stesso dal direttore sportivo per iniziare. I miei genitori all'inizio erano un po' diffidenti, dal momento che mi avevano visto fare tutto da solo in quel modo ma successivamente hanno appoggiato la mia scelta».
Come è proseguita poi la tua carriera ciclistica?
«Sono stato nel Pedale 91 dalla categoria G6 fino agli Esordienti, poi da allievo ho corso con il Molise Ricambi di Bojano, in provincia di Campobasso, quindi come detto in precedenza da juniores mi sono trasferito in Toscana per correre con il Gragnano ed infine, prima di passare professionista, ho militato nella Grassi nella categoria Under 23. Da dilettante ho avuto anche l'occasione di fare molte esperienze con la nazionale, correndo i campionati europei, disputando gare in Belgio e poi anche i Campionati del Mondo di Madrid nel 2005, mentre a Verona nel 2004 ebbi il ruolo di riserva».
Ed ora veniamo alle tue caratteristiche... come ti definisci?
«A Madrid, in occasione di quel mondiale, mi avevano chiamato "il piccolo Bettini" (sorride), proprio per il fatto che sono un corridore capace di difendersi molto bene sugli strappi e le salite non lunghe ed ho anche un buon spunto veloce. Proprio per queste cose qui ho avuto anche altri nomignoli: per esempio dicono che sono un "cagnazzo" perché sono uno che tiene duro e non molla mai (ride)... mentre Tortoli, il direttore sportivo che avevo alla Grassi, mi chiamava "piccolo Saronni"».
La corsa che più di ogni altra hai sempre sognato di vincere?
«Il sogno di molti è spesso quello di vincere il mondiale, però se devo dire la corsa dei miei sogni dico la Milano-Sanremo perché la considero la corsa perfetta per le mie caratteristiche, visto che la Cipressa ed il Poggio non sono salite durissime».
Il tuo idolo ciclistico?
«Magari apparirò presuntuoso ma considero come mio idolo me stesso. Di idoli non ne ho avuti mai e non ho intenzione di averne, anche per non correre il rischio magari di avere delle delusioni. Sotto quest'aspetto la vedo così».
Al di fuori del ciclismo quali sono le tue grandi passioni?
«Nel tempo libero amo molto la pesca, lo considero il mio relax ed è un qualcosa che mi fa stare davvero bene, infatti non appena ho la possibilità me ne vado su qualche fiume o lago a praticarla. Inoltre mi piace molto leggere, soprattutto libri che non siano troppo pesanti. Mi piacciono romanzi d'avventura e libri gialli, inoltre mi è piaciuto molto anche l'ultimo libro che ho letto, che non rientra in queste ultime categorie: sto parlando di "Gomorra" di Roberto Saviano».
Che genere di musica ascolti?
«Sotto questo punto di vista posso dire di avere un idolo ed è Nino D'Angelo. Sono cresciuto guardando i suoi film e ascoltando le sue canzoni, come molti ragazzi della mia zona».
E per quanto riguarda i film?
«Ah, sotto questo punto di vista sono un patito di quelli comici di Totò, i suoi film li avrò visti migliaia di volte, difatti anche quando sono via da casa li guardo spesso in dvd. Quelli assieme alla musica di Nino D'Angelo sono le cose che non mancano mai (ride)».
In vacanza: mare o montagna?
«Amo entrambe, il mare non mi dispiace ma se devo proprio scegliere tra le due preferisco di gran lunga la montagna, poiché amo la natura e mi piace camminare per i sentieri».
Bene, a questo punto vuoi mandare un saluto ai lettori di Cicloweb?
«Certamente! Saluto tutti e spero che aumentino sia i lettori che gli appassionati di questo bellissimo sport che è il ciclismo».

Vivian Ghianni



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