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Gárate Kid fa giustizia - I big cincischiano, arriva la fuga | Cicloweb

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Gárate Kid fa giustizia - I big cincischiano, arriva la fuga

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Quel che sarebbe potuto essere e non è di questo Tour de France 2009 è tutto condensato in appena 5 km, quelli che andavano dai -10 ai -5 dalla vetta del Mont Ventoux. In una scalata in cui Andy Schleck, secondo in classifica, è stato capace di scattare più o meno una decina di volte per cercare di staccare il rivale Contador, e in cui a posteriori possiamo anche dire che la maglia gialla ha in parte patito l'attacco continuo a cui è stata (diciamo per la prima volta?) sottoposta, ecco, in una scalata del genere abbiamo assistito a una scena poco comprensibile dal punto di vista sportivo: il fratellino, quando a 6 km dal traguardo, in compagnia di Contador e di un Nibali mai così autorevole, aveva comunque 40" su tutti gli altri uomini di classifica, ma soprattutto poteva assaporare la possibilità di andare a vincere una tappa tanto importante, ebbene, a quel punto il fratellino si è fermato, dopo un lungo conciliabolo via radio con l'ammiraglia e col fratellone.
Si è fermato perché, convintosi di non poter più staccare Contador, o comunque di non potergli limare gli oltre 4' che separano i due in classifica, ha pensato che a quel punto valesse piuttosto la pena di provare ad aiutare Frank nella sua (difficile) rincorsa al podio.
Una scelta anche bella, se vogliamo, testimonianza di un amore fraterno che nemmeno un Tour de France può mettere in discussione. Ma siccome non siamo in un reality show; siccome ci eravamo già dovuti sorbire la pastetta di Le Grand-Bornand (quando gli Schleck si misero d'accordo con l'avversario Contador per far vincere la tappa a Frank); e siccome, più in generale, viviamo un ciclismo in cui l'impresa (ovvero il fattore su cui si è fatta la storia - no, vogliamo esagerare - la leggenda di questo sport) è caldamente sconsigliata, l'ennesima partita decisa a tavolino ci risulta un tantino indigesta.
Questo dell'impresa sfuggente è un concetto che va approfondito, e su cui sarà bene riflettere da qui in avanti. È bastato che Contador vincesse una tappa su un arrivo in salita (domenica scorsa a Verbier) per scatenare una ridda di sospetti sul suo conto, sul fatto che sia troppo forte, che faccia numeri da capogiro. Ma quando lo spagnolo si è ripetuto, vincendo la crono di Annecy l'altro giorno, i sospetti si sono trasformati quasi in una caccia alle streghe. Fossimo stati in Alberto, oggi, avremmo scattato per prenderci il successo del Ventoux, o ci saremmo limitati a controllare gli avversari, tanto il Tour era già tranquillo in tasca?
Un'altra domanda che poi è una provocazione ma neanche troppo azzardata: fingiamo di poter vivere una traslazione temporale, fingiamo che il giovane Pantani si presentasse al mondo con la cavalcata della Merano-Aprica non 15 anni fa, ma oggi. In coscienza, che cosa penseremmo tutti, di fronte a codesta impresa? E fuori dai denti, quanto penseremmo di poterci godere il giovane (non ancora) Pirata prima dell'inesorabile scure dell'antidoping?
Per non parlare di un Eddy Merckx, assolutamente inconciliabile coi dettami dello spaurito ciclismo contemporaneo.
Un Pantani, un Merckx, un Coppi, oggi ballerebbero una stagione, poi volerebbero fuori. Tant'è.
Alla luce di ciò, della constatazione di quanto l'Impresa sia oggi svalutata nel ciclismo (anzi, quasi vissuta come un fardello troppo ingombrante, troppo appariscente, troppo portatore di sospetti), si capisce poi anche meglio la scelta di Andy. Impresa? What's Impresa? Spiacenti, non è contemplata nelle possibilità dei grandi giri. Nei grandi giri si va al pass(ett)o, si corre in difesa, di conserva, si praticano progetti minimali, io mi tengo il secondo posto, tu prova a scalare dal sesto al quinto, che c'importa di vincere sul Ventoux, che c'importa di staccare Contador foss'anche di 20".
E dire che nelle gare in linea le cose non stanno propriamente così, se è vero che lo stesso Andy appena tre mesi fa ci faceva lustrare gli occhi con una fantastica Liegi-Bastogne-Liegi. Ma le corse in linea, per quanto monumentali possano essere, non attirano troppi sguardi. È in un Giro, è in un Tour che è consigliabile mantenere un basso profilo. E allora, che cosa resta di una grande gara a tappe? Una, massimo due frazioni significative (non già: memorabili) per la lotta degli uomini di classifica. Poi il carovanare pallido e assorto, nell'attesa che le crono e che la selezione naturale facciano il loro corso. Quasi vien da chiedersi: ne vale la pena? Vale la pena investire tanto in termini di tempo, di speranze, di emotività, per un giochino tanto malridotto, per uno show che show non è, per una condotta che mostra ampiamente la corda? Per un carrozzone che continua inesorabilmente a perdere pezzi?

Perché poi la tattica degli Schleck non ha portato a niente: né al (pur meritando) successo di tappa di Andy - che è rimasto a secco, visto che almeno il fratellone una vittoria l'ha messa in palmarès - né a staccare Armstrong e Wiggins per permettere a Frank di agguantare il podio (Klöden aveva già perso terreno a oltre 10 km dalla vetta). Un Lance mai così convincente dal suo rientro ha tenuto botta, ha tirato, ha sbuffato, ha pedalato contro il vento (che ha fatto registrare in cima raffiche di anche 100 km/h!), ma non ha perso un metro. Non si è scomposto quando Andy e Alberto hanno fatto il vuoto (al quinto scatto del lussemburghese, a 9,4 km dalla vetta), non l'ha fatto quando Nibali, con piglio da veterano, si è lanciato nell'inseguimento, poi coronato dal successo, della coppia reale.
Armstrong marcava stretto Schleck senior, Wiggins faceva quel che poteva per non perdere metri, Kreuziger si faceva finalmente vedere in palla (anche lui aveva proposto uno scatto, ancor prima di Nibali), Pellizotti recuperava dopo un attimo di appannamento e ripartiva convinto a 5600 metri dalla cima.
A quel punto il terzetto Andy-Alberto-Vincenzo era già stato ripreso, e Franco ha giustamente pensato di onorare la sua maglia a pois con un'azione sul Mont-Ventoux. In avanscoperta c'erano ancora, sin dalla mattina, Juan Manuel Gárate e Tony Martin, ultimi superstiti di una fuga a 16 che aveva avuto fino a 13' di vantaggio, e che si era ovviamente frantumata sull'ascesa finale. I due sopravvissuti si erano quasi messi l'anima in pace, visto che a 6 dalla vetta non restava che un minuto scarso di margine sugli uomini di classifica. Ma quando quelli si sono fermati, Gárate e un generosissimo Martin hanno ripreso quota, volando a quasi 2' di vantaggio e pensando seriamente di poter portare a casa la pagnotta grande.
Così come Pellizotti, portatosi fino a 20" dai due a un km dalla vetta, avrà assaporato per un attimo la sensazione di poter fare il colpaccio. Ma ci si è messo il vento, a rimbalzare indietro il friulan-veneto, a frenare un Gárate che malgrado un rapporto talmente agile da pedalare quasi a ritroso, aveva staccato Martin ai 1200 metri, a permettere al più potente Tony di riportarsi sotto a sua volta, ai 500 metri. E mentre dietro si cincischiava, lo spagnolo della Rabobank ha indovinato la volata della vita (o forse non c'era molto da indovinare, era solo questione di un grammo di energia in più nelle gambe), approfittando anche del fatto che un Martin fin troppo inesperto continuasse a tirare incurante di dover sprintare. Ha indovinato la volata della vita, Juan Manuel Gárate, onesto comprimario che sul Ventoux, il 25 luglio 2009, ha siglato la vittoria più bella della sua carriera. Onore a lui, qualche pernacchia agli altri.

Marco Grassi    

 

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