Zar Menchov, cade e trionfa - Finale shock nella Krono-valovas
Ignatas Konovalovas è un ragazzo fortunato. Ma è anche un ragazzo sfortunato. Vincere, venuto dal nulla, la tappa finale del Giro d'Italia a 23 anni, la crono decisiva poi, mica una frazione interlocutoria; vincerla partendo prima di tutti i favoriti, e sfruttando un fondo stradale perfettamente asciutto, mentre subito dopo di lui i Bradley Wiggins e gli Edvald Boasson Hagen trovano pioggia e sampietrini scivolosi che obbligano a rallentare; vincerla per un solo secondo sullo stesso Wiggins, dopo una lunga attesa al traguardo ad aspettare l'evolversi degli eventi, l'andirivieni di nuvole e vento, le partenze e gli arrivi di tutti i migliori. Vincerla vedendo cadere l'uomo che stava per fare meglio di tutti.
E poi però questa vittoria vedersela sopraffare dal tumultuoso, palpitante, eccitante finale in cui nessuno si ricorda più del giovane lituano, perché gli occhi di tutti sono rivolti alla corsa, alla sfida tra i due principali rivali di questo Giro, all'illusione iniziale di Di Luca, al prepotente riemergere di Menchov, all'inopinato scivolone di Denis e alla sua rincorsa fulminea per difendere una maglia rosa che non sarebbe giusto perdere così.
A volte il giorno fortunato capita nel giorno sbagliato: Konovalovas l'ha imparato a Roma, all'ombra del Colosseo, scenario immaginifico dei titoli di coda del Giro del Centenario. Ma comunque si porta a casa questo successo memorabile e si propone come uno dei tanti nomi nuovi del ciclismo internazionale.
Poi però c'è anche l'altra faccia della medaglia: ovvero, quando è il giorno sfortunato a capitare nel giorno giusto. E Denis Menchov, finalmente lui, lo può confermare dopo l'esperienza ai limiti dell'inconcepibile che ha vissuto a un passo dalla sua apoteosi.
Di Konovalovas abbiamo detto. Della pioggia scesa a rallentare tutti quelli partiti dopo il lituano, pure. Però il tempo è ballerino, destabilizza. Lo scroscio, ma poi rischiara, infine il vento ad asciugare le strade della Capitale: si può scorrere con più sicurezza, nessuno dei big si danna, 14,4 km non sono quelli che scaveranno distacchi visibili, e invece la classifica è già abbastanza delineata. Asciutto o bagnato, nessuno rischia (sono anche stanchi, va detto), e tutti offrono prestazioni appena (o non del tutto) sufficienti.
La classifica è delineata, sì, tranne che per due uomini. Uno viene dalla Russia, via Spagna (dove vive), e corre per una squadra olandese. Aveva iniziato questo Giro in posizione defilata rispetto ai favoritissimi della vigilia (Basso e Leipheimer su tutti), malgrado il quinto posto (con bronchite) dell'anno scorso, e malgrado due Vuelta (una in coabitazione con Heras) in carniere. Si chiama Denis Menchov, e non ha dominato la corsa rosa forse perché non ce n'era bisogno: è un difensore, una volta vestitosi di rosa dopo la crono delle Cinque Terre, non si è dannato l'anima per inseguire questo e quello, gli è bastato controllare il primo dei suoi avversari.
Ovvero, l'altro di questo dualismo: Danilo Di Luca, una rabbia pari all'incontenibile voglia di far bene, in nome di una terra, la sua, l'Abruzzo, mortificata da un devastante terremoto neanche due mesi fa. Ma la rabbia del pescarese era scemata in questi ultimi giorni, con la presa di coscienza che Menchov era inattaccabile. Però.
Però il Giro finisce quando finisce, ovvero dopo l'ultima tappa. E questa tappa è una crono, tutta curve e strade sdrucciolevoli. E minaccia di rimettersi a piovere, proprio quando sta per partire Danilo. La decisione: usare la bici normale, da strada, per rischiare il tutto per tutto, per avere una maggiore guidabilità e poter pennellare le curve meglio di tutti gli altri.
Il rivale, Denis, fa la scelta diametralmente opposta: bici da crono, con tanto di ruota lenticolare dietro. Per restare in piedi in certi tratti, bisogna essere un mago.
Danilo parte e Giove Pluvio è con lui, si trattiene sulle prime, gli permette di scatenare tutta la sua forza in un tratto iniziale che l'abruzzese domina, segnando il miglior intertempo al km 3, in via Vittorio Veneto.
Menchov parte 3' dopo Di Luca, e trova invece le prime gocce di pioggia, i sampietrini bagnati, le curve iperscivolose: risultato, 5" di ritardo da Danilo al primo rilevamento cronometrico.
Roma esplode, il Giro, che pareva chiuso dopo la mancata abbuffata di abbuoni di Di Luca ad Anagni, s'è riaperto all'improvviso. L'azzardo del biondo di Spoltore paga, i secondi in classifica sono scesi da 20 a 15, il distacco è colmabile, il trend è dalla sua che può contare su un mezzo più stabile mentre la pioggia aumenta. I tifosi più scalmanati del ciclismo (i suoi) sognano a occhi aperti, Danilo si carica, è una molla, sfiora le transenne ad ogni curva, si rimette in posizione eretta e rilancia l'azione, uno spettacolo.
Ma dall'altra parte, signori, la perizia fatta ciclista. Presa confidenza con il fondo stradale, Menchov non lascia più niente a nessuno: macina, macina, resta in piedi anche nei punti più infami, e sui lunghi rettilinei romani guadagna, spingendo più che può i pesanti rapporti e quella bici aerospaziale fatta proprio per le altissime velocità.
Al secondo intertempo, a via della Conciliazione (km 7,4), l'entusiasmo diluchiano si smorza di colpo: +14" per Denis, ciao Giro, il russo impone una volta ancora la sua legge. Danilo ha il vento contro, una mannaia per chi non è specialista del cronometro, e poi forse ha dato troppo in partenza, è un po' ingolfato, perde ancora. Terzo intertempo, a Piazza Venezia (km 11,3), +32" per Menchov.
Di Luca arriva al traguardo, son 19'27", buoni per le posizioni di rincalzo, e di sicuro non per scavalcare il russo in classifica. Denis ha un margine che gli garantisce la massima tranquillità, non ha bisogno di forzare, è vero che vorrebbe vincere la tappa, ma perché rischiare di cadere e perdere tutto per un traguardo di giornata?
Circumnaviga Vittoriano e Campidoglio, vola verso la Bocca della Verità, costeggia sicuro il Circo Massimo. Curva con tutta la cautela del caso verso Viale Aventino, e proprio quando manca un km al traguardo (e alla vittoria di tappa e Giro), patatrac: scivola la ruota anteriore, scivola il mondo intero intorno a Menchov, giù sui sampietrini viscidi, la bici che vola via, il Colle Palatino che tante ne ha viste e ora vede pure questa: tutto è perduto, o forse no.
Denis si rialza come una molla, non sente niente, né il dolore per la botta, né il boato di un pubblico troppo di parte; prova a riprendere il suo mezzo, ma non va, allora il meccanico gliene mette uno di ricambio sotto il sedere, e Denis riparte, lo scarpino fatica ad agganciarsi al pedale, altri secondi persi, Di Luca sotto un tendone al traguardo è una statua di ghiaccio, Garzelli è vicino e ancora si pente per quei 4" soffiati all'amico al Blockhaus, hai visto mai che siano davvero decisivi! Tensione, spasmodica convulsione di un Giro che ha aspettato l'ultimo chilometro, per davvero, per offrire questo momento di sconcertante, drammatico, vero, meraviglioso ciclismo.
Riparte, Menchov, per davvero. Arco di Costantino, che meraviglia, ma non c'è tempo per ammirarlo. Si sale intorno al Colosseo, Denis dà tutto quello che gli resta, spunta davanti ai Fori Imperiali, taglia il traguardo, ha conservato ancora 21" su Danilo, coi 20" che aveva in classifica fanno 41". Il Giro è suo. Può esultare, può anzi proprio godere, può urlare tutta la sua gioia in faccia a chi gli voleva male, e liberare tutto se stesso in un grido bellissimo, proprio esteticamente bellissimo.
Grande Giro per Menchov, e grande Di Luca che riconosce i meriti dell'avversario. Finisce così, sotto al Colosseo. Menchov-Di Luca-Pellizotti (terzo). Arrivederci al 2010.