Hai voluto la bicicletta? - Scopriamo il mondo di Marco Bandiera
Versione stampabile È appena tornato dalla "campagna del Nord" Marco Bandiera, giovane (è nato il 12 giugno 1984) promettente della Lampre–N.G.C. A giudicare da quello che si è visto sul pavé fiammingo, il veneto di Castelfranco è uno da tenere d'occhio. Anche perché se a ventitré anni passi professionista con una "big" come la Lampre, e con la benedizione di Alessandro Ballan, un motivo ci deve essere. Intervistiamo Marco mentre è in Toscana da alcuni amici («Mi hanno dato un paio di settimane di riposo dopo l'Amstel Gold Race, sono qui da amici ma domani (28 aprile, ndr) rientro»).
Quando è iniziata la tua passione per il ciclismo?
«Avevo sette anni. Per la verità giocavo a calcio ma non ero granché, allora mio padre mi ha portato ad una gara ciclistica. Mi è piaciuto e alla prima corsa ho fatto ottavo, poi sono andato sempre meglio. Devo ringraziare lui se ora faccio il ciclista».
Ad un certo punto, però, le cose non andavano benissimo.
«Tra gli juniores per un periodo non riuscivo più a vincere, un po' per l'età, un po' per la scuola non andavo bene e ho faticato a trovare una squadra tra i dilettanti. Alla fine in extremis mi ha preso la Filmop, ho messo la testa a posto e più impegno e i risultati sono arrivati. Dopo due anni con loro sono passato alla Zalf Desirée Fior, con cui ho militato tre anni e fatto qualche vittoria».
Vittorie di prestigio, come il trofeo Zssdi e soprattutto il Gp Capodarco nel 2006.
«Quella vittoria è stata fondamentale, è quella che ha spinto la Lampre a prendermi. Nel 2007 poi ho vinto altre corse, tra cui una tappa al Giro della Valle d'Aosta. La Lampre mi ha fatto correre da stagista il Giro del Portogallo e ho ottenuto qualche buon piazzamento (secondo nell'ottava tappa, ndr) e nel 2008 ho iniziato la stagione con loro».
Come è stato passare professionista in una squadra come la Lampre?
«All'inizio non me ne rendevo conto, poi prendendo il ritmo e con le corse me ne sono capacitato. Ho iniziato col Giro del Qatar, poi le classiche in Belgio».
Tutto bene fino a quella brutta caduta...
«Dopo le classiche ero tornato in Italia e mi stavo allenando con altri ciclisti. Ero quasi arrivato a casa quando sono caduto ed ho battuto la testa: non avevo il casco. Sembrava niente di grave, ma Alessandro Ballan ha voluto chiamare comunque l'ambulanza. In ospedale ho fatto i primi controlli, dopo un'ora avevo mal di testa, mi hanno subito portato in un altro ospedale e operato d'urgenza per rimuovere un ematoma. Da allora metto sempre il casco ed anche i miei compagni che hanno assistito al mio incidente fanno lo stesso. È una buona abitudine e può salvarti la vita».
Hai passato dei giorni bruttissimi. «I peggiori della mia vita. Il momento più brutto è stato appena mi sono svegliato dai due giorni di coma farmacologico, non sapevo dov'ero. Dicevo al medico: «Dovevo stare al Giro di Catalogna e invece sono qui», e il medico mi diceva: «Ti è andata bene, sei stato fortunato che ti abbiamo operato subito e non sei andato a casa dopo l'incidente. Nel letto affianco al tuo c'è un ragazzo che non muove più le gambe». Questa esperienza mi ha fortificato, ogni volta che capita qualcosa di negativo si matura molto di più e si capiscono i veri valori della vita».
Tornando al ciclismo, quali sono le corse che preferisci? Ti senti più velocista o uomo da classiche?
«Preferisco le classiche, quest'anno sono andato bene ad Harelbeke, sono stato capitano alla Gand-Wevelgem e ho avuto carta bianca al Fiandre».
Un ottimo Giro delle Fiandre per te.
«Quando è partito Hoste ho capito che poteva essere la fuga buona e mi sono accodato ma con tre Quick Step non ci hanno lasciato andare. Stavo bene, peccato la foratura a due chilometri dal Grammont, ho provato a rientrare ma non c'è stato niente da fare. Il Fiandre è la classica più bella che ho corso e mi si addice: mi piacciono gli strappi».
Sei ancora a caccia della prima vittoria tra i pro'. Qual'è il tuo programma di gare?
«Rientro al Giro di Catalogna, ma lì non sarò in forma. Poi faccio il Delfinato ed in programma c'è il Tour de France».
Una vittoria al Tour non sarebbe male per iniziare, potresti avere qualche opportunità?
«Dovremmo andare senza uomo di classifica, l'obiettivo sarà vincere qualche tappa con Ballan e Lorenzetto. Spero di potermi infilare in qualche fuga per mettermi in mostra. È il mio primo Grande Giro, punto a fare esperienza».
Come ti stai trovando alla Lampre? Non dev'essere facile passare professionista in mezzo a tanti campioni.
«Mi trovo bene, la Lampre mi ha lasciato tranquillo facendomi fare esperienza alle classiche del Nord. La squadra mi è stata molto vicino durante il periodo dell'infortunio, che mi ha tenuto fermo per quattro mesi, di cui tre senza toccare la bici».
Quali sono i tuoi "idoli" nel ciclismo, i colleghi a cui ti ispiri?
«In Lampre Alessandro Ballan è sempre stato il mio punto di riferimento. È stato il mio "sponsor" in Lampre fin da quando ero nei dilettanti e mi alleno sempre con lui. Il mio "idolo" è Filippo Pozzato, è un amico ed una gran persona. Riesce sempre a vedere il lato positivo di ogni cosa». Cosa fai quando non sei in sella?
«Sto con gli amici o con la mia ragazza Jessica, visto che le corse mi tengono molto lontano da casa».
Quali sono le tue passioni?
«Quella per il calcio è rimasta, sono juventino e seguo sempre le partite. Per quanto riguarda la musica ascolto un po' di tutto, ma il mio cantante preferito è Ligabue».
Mare o montagna?
«Mi piacciono i posti caldi».
Come tutti i ciclisti...
«Dopo che hai fatto qualche gara sotto l'acqua e al freddo vuoi solo posti caldi. Sono stato a Sharm el Sheik, in Brasile, in Messico, alle Maldive, sempre posti di mare e molto caldi».
Qual'è stato il momento più bello della tua carriera?
«Ogni volta che ho vinto una corsa ed ho alzato le braccia al cielo sotto il traguardo. È un'emozione difficile da spiegare».
A quando la prossima?
«Magari al Tour...».