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Andyscribable Gracefulness - Potenza, bellezza, testa: Schleck! | Cicloweb

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Andyscribable Gracefulness - Potenza, bellezza, testa: Schleck!

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Due anni fa l'Italia scoprì sulle strade del Giro un giovanissimo cigno che, con grazia non inferiore alla potenza sprigionata dalle sue gambe, si issò fino al secondo posto della classifica della corsa rosa, perdendo solo da un Di Luca scatenato e pagando un inevitabile scotto all'inesperienza: il suo nome era Andy Schleck.
Forse il più forte corridore per i grandi giri, in prospettiva, anche più di Contador (o forse no, ma il livello è quello). Ma per le classiche, s'è sempre detto, il piccolo Schleck pagava e pagherà una scarsa propensione alla volata, oltreché la pessima stampa di cui gode il fratello maggiore (Frank), uno dei più splendidi perdenti (con tutto il rispetto, sia chiaro) del ciclismo contemporaneo.
Se vuol vincere una classica monumento, sia essa una Liegi o un Lombardia o una Sanremo, Andy Schleck dovrà far piazza pulita di tutti gli avversari e arrivare al traguardo da solo, altrimenti verrà battuto in volata. Questo - dicevamo - s'è sempre detto. Questo, oggi, Andy Schleck ha fatto. 

Saxo, draghi e rock'n'roll
L'impresa di Schleck II non ci sarebbe tuttavia stata, probabilmente, se dietro il giovanotto non avesse avuto una squadra superba a preparargli il terreno e a lanciarlo, a supportarlo e coprirlo quando era all'attacco.
La gara si era sviluppata come al solito con una fuga a lunga gittata: km 55 e Dupont, Sijmens, Wyss e Gautier avevano preso il volo, un vantaggio di 11' non era bastato a impedire il ritorno del gruppo, che ha chiuso sui 4 (tra i quali i più convincenti sono stati Gautier e Dupont) proprio sulle rampe della Redoute, a 35 km dal traguardo.
Prima d'allora, la Saxo Bank non si era limitata a inseguire, imponendo al gruppo un ritmo alto tra i meno 80 e i meno 50 dal traguardo; ma aveva direttamente promosso azioni d'attacco, con l'obiettivo di spogliare le altre squadre di troppi gregari e di lasciare che i più forti se la giocassero vis-à-vis: facile pianificare questa strategia quando sei convinto che il migliore corra dalla tua parte, non così scontato invece riuscire a mettere in atto quanto studiato a tavolino. In questo, onore al merito di chi li guida dall'ammiraglia, i Saxo sono dei draghi.
Non solo trenare, quindi: proprio in cima alla Côte de la Vecquée (52 dal traguardo), dopo un infaticabile lavoro del giovane Fuglsang, è partito in contropiede Chris Sorensen, su cui sono rientrati in successione Devenyns e Gerdemann. Un'azione che non ha praticamente avuto spazio, ma che è durata una quindicina di chilometri, chiamando all'opera in testa al gruppo la Caisse d'Epargne di Valverde, favorito numero uno di giornata.
I tre, sempre a un passo dall'essere ripresi ma sempre lì pochi secondi davanti al plotone, hanno resistito fino alla Redoute, quando il ritmo della Diquigiovanni di Rebellin (il favorito numero due, Andy a parte) ha, con uno Scarponi formato Cipressa, ricucito la corsa segnando la pietra angolare della giornata.

L'eterno provarci di Philippe Gilbert
Sulla Redoute tutti i migliori si sono dunque ritrovati insieme, e in vetta (meno 35) è andata in onda la stessa sceneggiatura della Vecquée: un altro uomo Saxo è partito, stavolta Kolobnev; e il drappello formatosi intorno al russo è stato più corposo del precedente: Serpa per primo, poi Kreuziger, Kroon (un altro Saxo!), Egoi Martínez e Dupont, trovato strada facendo (era coi fuggitivi del mattino), si sono ritrovati nell'azione lanciata da Kolobnev. A 32 dal traguardo è rientrato Gesink, Van den Broeck (dato dalla Silence come il più in forma della squadra) ci ha provato ma non ce l'ha fatta, e intanto Tiralongo teneva il gruppo a una distanza accettabile dagli attaccanti.
È stato sullo Sprimont che Philippe Gilbert, superpiazzato delle classiche (in particolare quest'anno), ha violentemente scosso il plotone partendo secco e portandosi rapidamente sui fuggitivi; e continuando dritto senza neanche guardarli in faccia, proteso in un'azione personale che se fosse andata in porto sarebbe stata leggendaria, ma che posta così (dopo il vano spremersi di Van den Broeck poco prima, e alla luce dell'abulìa di Evans) è parsa l'ennesimo spreco di risorse del team belga, quest'anno praticamente sempre dietro la lavagna.
Comunque l'ammirevole Gilbert ha guadagnato rapidamente una quindicina di secondi sul gruppetto di Kolobnev, che aveva perso nel frattempo Serpa (caduto) ma aveva guadagnato la presenza di Duque e Knees, rientrati da dietro. Il plotone, in cui si preparava segretamente il colpo del giorno, era a poco più di 25" dal vallone più famoso del ciclismo di questi anni.

La fuga perfetta di Andy
Sulla decisiva Côte de la Roche aux Faucons, 20 km dal traguardo, Andy Schleck ha finalmente rotto gli indugi ed ha intrapreso la strada che l'avrebbe portato, di lì a mezz'ora, in una nuova dimensione. Non ha perso tempo, il fratellino, è partito secco come un roadster e nessuno, una volta esauritosi il tentativo di Carrara e Scarponi di tenere la rovente ruota lussemburghese, nessuno ha più potuto nulla contro l'impetuoso dispiegarsi della classe cristallina del bellissimo (in bici) Andy.
Schleck junior ha preso in un lampo i primi inseguitori di Gilbert, e li ha mollati senza fatica esattamente come aveva fatto qualche chilometro prima Philippe. Per quest'ultimo il destino era a quel punto segnato: dopo un tratto in falsopiano, Andy ha ripreso anche Gilbert non appena la strada è tornata a salire, e l'ha mollato in un fiat: a 18 km dal traguardo era ufficialmente iniziato il volo solitario del cigno di Lussemburgo.
Alle sue spalle i più avveduti avevano capito che non si scherzava più e han provato a reagire: nella fattispecie Rebellin, e poi Valverde, quindi Ivanov. Ma sempre, alle spalle di chiunque, ecco spuntare la sagoma di Frank, nume tutelare del suo consanguineo e perfetta macchina spacca-ritmo tra gli inseguitori. Un andazzo che è poi proseguito fino al traguardo, con i Saxo abili a infilarsi tra le maglie delle squadre che tentavano di organizzare qualcosa per arginare il sempre più palese dominio di Andy, e l'andatura che quindi nel variegato gruppetto non decollava mai.
La cronaca è tutta nella progressione del vantaggio di Schleck: 20" a 17 km dall'arrivo, 30 a 16, 35" a 15, 40 a 14, 50 a 11, 55 a 10, 1 minuto tondo ai 9 km, 1'10" agli 8, 1'25" ai 7: un disastro per chi era dietro, circa 20 uomini incapaci di accordarsi trasversalmente in qualche modo, coi più veloci del lotto a non prendere alcuna iniziativa per rompere quel carillon incantato che era ormai la situazione di gara.

La resistenza sul Saint-Nicolas, il trionfo
Com'era probabilmente ovvio, sull'ultima côte di giornata (prima della rampa di Ans), Andy ha dovuto dosare bene le forze per evitare di ingolfare il motore e andare in crisi nel finale. Forte del vantaggio acquisito (ai piedi della salita il margine massimo: 1'36"), il secondo classificato del Giro 2007 ha gestito con sapienza i momenti in cui ha dovuto fare i conti con la contrazione del distacco (sceso a un minutino dopo la côte).
Proprio il Saint-Nicolas rappresentava l'ultima illusione, per chi era dietro, di poter cambiare il corso degli eventi. Che non sarebbero mutati in seguito alle sortite di Gerrans, Gasparotto e Scarponi; ma che non l'hanno fatto neanche quando (alla buon'ora) si sono mossi ancora Evans con (nell'ordine) Rebellin, Frank e Cunego (ai 6 km); o Rebellin con Frank (ai 5 km); o Samuel Sánchez con Cunego, Frank, Joaquím Rodríguez (a quel punto capitano in corsa della Caisse) e Rebellin (ai 3 km); o Rebellin con Frank e Cunego (ai 2).
Se si uniscono i puntini tra le citate azioni si vede che quelli sempre presenti sono stati un impagabile Davide Rebellin e un implacabile Frank. Schleck, quindi. Come quello che stava davanti a raccogliere i frutti della propria grande condizione e dello spettacolare lavoro di guastatore del fratellone.
L'unico in grado di emergere, ma solo sotto il triangolo dell'ultimo km, è stato Rodríguez: un colpo, quello della sparata su una rampa d'arrivo, che JRO ha nelle gambe e che ha esibito ormai molte volte. Nulla che potesse, comunque, mettere in discussione la vittoria di un Andy che a quel punto era di fatto al traguardo, nella larga Rue Jean-Jaurès, esultante come un bambino che scarta il primo regalo di Natale, o semplicemente come un campioncino che ha vinto la prima corsa importante della sua carriera. E l'ha vinta in maniera magnifica, superlativa, chiarissima e che non ammette ricami: se gli avversari si fossero mossi diversamente, se la Saxo fosse stata meno presente, se fosse piovuto, se non fosse piovuto. Stavolta, niente da dire: ha vinto il migliore nella corsa forse più selettiva dell'anno.
Selettiva in senso stretto, visto il percorso, anche se qualcuno magari si stupirà di trovare Oscarito Freire al quattordicesimo posto, nel gruppetto regolato da Rebellin per il terzo posto, su Gilbert, Ivanov (ottima campagna vallone per lui), Gerrans e un Cunego che è stato sempre nel cuore dell'azione senza mai dare realmente l'impressione di poter vincere (quell'impressione ferocemente destata negli ultimi Lombardia, tanto per dare un riferimento). Peggio di lui (diciannovesimo, non ha voluto sprintare) un Valverde forse dimezzato dalle varie vicissitudini che gli capitano. O forse no, chi può dirlo: oggi l'unica cosa certa è in quell'albo d'oro, che nell'anno di grazia 2009 si arricchisce di un nome che entro breve tutti, anche fuori dal ciclismo, impareranno a memoria.


Marco Grassi

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