Più miseria che nobiltà - Per le Donne parla Brunello Fanini
Versione stampabile Dopo aver dato un'occhiata alle tasche di un team Pro Tour maschile, vediamo che succede in un altro pianeta, quello femminile, così lontano, soprattutto in questo campo, da quello dei colleghi dell'altro sesso. La scelta è caduta su uno dei simboli decennali di questo mondo, quel Brunello Fanini che praticamente ha visto nascere e crescere il movimento, nella doppia veste di organizzatore di corse e di presidente di una squadra, passando, per intenderci, da Maria Canins a Marianne Vos.
Qual è delle due attività quella che le porta via più energie?
«Messa così non saprei proprio cosa rispondere... Quello che posso dire con certezza è che sta diventando sempre più difficile portare avanti le due cose e l'avere un'entourage affiatata da decenni, come è quella che ho la fortuna di dirigere, è la mia forza».
Sempre più difficile per la crisi economica, intende?
«Sì, soprattutto per quello. Accanto ai nostri due sponsor ormai storici e fedeli, ci sono decine di piccole aziende che ultimamente faticano un po', pur mantenendo sempre la parola data, a contribuire come una volta. Stesso discorso per il Giro della Toscana: anche lì sto avvertendo che le casse degli enti pubblici, comuni, province e regioni, sono sempre più povere e quindi a noi tocca uno sforzo maggiore per racimolare le stesse cifre che ci garantiscano di poter organizzare l'evento in maniera degna».
Ad oggi, quanto ci vuole per organizzare un giro a tappe di sei giorni e quanto per una squadra UCI femminile di medio livello?
«Le do un ordine di grandezza: qualche centinaio di migliaia di euro per ognuno».
Sotto quale voce troviamo le spese maggiori?
«Per la squadra i salari che occupano un buon 40% delle uscite, seguiti a ruota dalle spese per le trasferte e per i mezzi. Per il Giro della Toscana sicuramente l'ospitalità alle squadre, alla stampa e a tutta la carovana della corsa».
Cosa si sente di dire ad un giovane che vorrebbe tirar su una squadra partendo da zero?
«Che se pensa di diventar ricco col ciclismo femminile ha sbagliato settore (ride). Scherzi a parte, ora come ora la vedo piuttosto grigia perché faccio fatica io che sono in ballo da vent'anni e ho già un certo rapporto con gli sponsor e che ho già il parco mezzi che necessita solo di qualche ritoccatina ogni tanto. Ma figuratevi uno che deve cercare gli sponsor principali, comprare 2-3 ammiraglie e un furgoncino, cercare i fornitori di tutto il materiale tecnico: la vedo veramente dura, di questi tempi...»
Ci sarebbe la possibilità di effettuare qualche taglio sulle spese di quest'anno, per dire?
«Per il Giro della Toscana assolutamente no, siamo già al limite. A meno che non faccia dormire la gente nei bungalow (ride) ma, tornando seri, piuttosto chiuderei... Per la squadra, invece, basterebbe ridimensionare le ambizioni, magari riducendo l'organico di qualche unità, oppure prendendo ragazze meno competitive e quindi con meno pretese. Si potrebbe rinunciare a qualche trasferta all'estero, magari, ma non so quanto il non partecipare a un Fiandre o a un Van Drenthe gioverebbe all'immagine della squadra».
Facciamo una carrellata delle tasse che le varie federazioni vi impongono...
«Per fare l'affiliazione UCI alla squadra va pagata una tassa di duemila euro più una fidejussione di trentamila, ma credo che questo sia abbastanza equo per il bene del ciclismo femminile. Invece avrei qualcosa da ridire sui ventimila euro che mi tocca pagare tra UCI e FCI per organizzare una corsa a tappe. Agendo così questi signori non si rendono contro che si rischia veramente di far scomparire tantissime corse dal calendario. Io penso che la Federazione - e, perché no?, il CONI - dovrebbe dare degli incentivi agli organizzatori per far fiorire quante più corse possibili nel territorio italiano. E invece loro continuano a chiederceli, i soldi...»
Lei è la persona giusta per fare un raffronto con il passato...
«Innanzitutto provate a sfogliare il calendario italiano delle corse. Fatti salvi il Giro d'Italia, il mio giro, Trentino, Cittiglio, il week end etrusco e il Liberazione, gare con una certa tradizione, sapete quante corse rimangono? Cinque: sì, avete capito bene, cinque! La conseguenza diretta è che una volta le atlete di calibro mondiale facevano la loro stagione in Italia, ora, viceversa, tocca alle squadre italiane pagare le spese per fare almeno 6-7 trasferte oltreconfine per poter correre, con conseguenze immaginabili in termini di bilancio. E loro continuassero pure a chiederci soldi...».
Per le spese dell'antidoping?
«Per quello noi non ci lamentiamo: le spese ci sono ma sono certamente eque e sostenibili».
Qualche proposta, magari da girare a Di Rocco che sta per essere rieletto alla presidenza della Federazione?
«Per cominciare, come ho già detto, gli consiglierei rivedere un po' le varie tasse che impongono a noi organizzatori. Altre idee potrebbero essere quelle di premi, in aggiunta a quelli che diamo noi organizzatori, alle atlete piazzate nelle corse italiane, oppure si potrebbe pensare ad un challenge a premi - una sorta di "Coppa Italia" - che invogli le ragazze a partecipare alle corse italiane, rendendole di conseguenza più appetibili per gli sponsor».