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I fuggitivi son sErviti - Ma la Vuelta è una barba mai vista

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Diciamoci la verità: a chi serve una Vuelta pensata e costruita in siffatta maniera? Che dignità di corsa di primissimo livello ne consegue, per il grande giro iberico? Da anni c'è chi propone per le più importanti corse d'Italia, Francia e Spagna una riduzione delle tappe, non più tre settimane di gara ma al massimo 18 giorni, in modo da rendere più "umane" queste competizioni, e limitare di conseguenza il ricorso al doping. Poi ci sarebbe da discutere per mesi sull'effettiva utilità di una simile misura per limitare il ricorso a sostanze illecite, ma non è questo il tema del giorno. Il tema del giorno è che la Vuelta, in qualche modo, ha anticipato questo tipo di esperimento, e ci ritroviamo a fare i conti con un giro di 2 settimane effettive, con la terza del tutto pleonastica. A chi giova?
Domenica c'è stato l'ultimo arrivo in salita, a Fuentes de Invierno. L'unica restante tappa che dovrebbe essere decisiva è la (mezza) cronoscalata di sabato: ma una prova contro il tempo di 17 km, per metà su una salita non certo trascendentale, e posta alla fine di un grande giro (quando le differenze sono abbastanza limate e non si fanno più grandissimi distacchi) rischia di non spostare che qualche sassolino in classifica. Di fatto, è alta la probabilità che la graduatoria uscita dalla due giorni Angliru-Fuentes de Invierno venga confermata in pieno dall'ultima crono.
Se così sarà, avremo vissuto una terza settimana che può essere definita in maniera molto semplice, con un solo aggettivo: inutile. Cinque tappe interlocutorie, buone per fughe di comprimari o volate, poi la (mezza) cronoscalata, poi la passerella madrilena. E se questo servisse a trattenere in gara tutti i protagonisti che, bene o male, hanno arricchito le prime due settimane di corsa, potremmo anche capirlo (non approvarlo, ma capirlo). Invece la terza settimana è un fuggi fuggi generale di corridori che mirano al Mondiale, come se il Mondiale mettesse a disposizione dieci maglie iridate e non una sola.
E allora è giunto il momento di riflettere sull'effettivo peso specifico di questa corsa, e sulla sua collocazione in calendario. Così com'è, la Vuelta è una gara dimezzata, con un quoziente tecnico più sbiadito rispetto a quanto si sperava, e con un futuro non certo roseo, visto che ormai la si considera niente più che un ripiego da parte di chi ha deluso al Giro o al Tour (con qualche eccezione, tipo il Contador di quest'anno), oppure un ottimo trampolino di lancio verso i Mondiali. Ma il valore in sé della Vuelta, nessuno lo capisce.
Victor Cordero poi ci mette del suo: l'organizzatore da un po' di tempo ha indicato questa strada, con la terza settimana praticamente neutralizzata, a beneficio di cosa, nessuno l'ha ancora capito. Non si faticherebbe a considerare la terza settimana della Vuelta 2008 come la peggiore (a livello di disegno e di spettacolo) della storia del ciclismo; o se non proprio la peggiore di sempre, di sicuro sul podio della bizzarra classifica. Sarà bene che i tre grandi organizzatori affrontino in maniera congrua questa questione, per sottoporre all'Uci delle proposte di modifica del calendario; proposte che al momento sarebbero riassumibili in una: riportare il Mondiale a fine agosto (o a inizio settembre), e disputare la corsa spagnola dopo, tipo dal 10 al 30 settembre, dotandola di un montepremi più ricco che attiri e tenga in gara un po' di protagonisti, senza ridurre la partecipazione a un campionato sociale spagnolo. Potrebbe essere un modo per uscire dall'impasse, di sicuro qualcosa bisogna fare perché l'andazzo non è per niente promettente.


Nella fuga di oggi, l'ennesima della serie, si sono mossi in 18, dopo una cinquantina di chilometri di tappa, a meno di 120 dall'arrivo. Tra gli altri, presenti Franzoi, Roche, Flecha, Van Avermaet, Kroon, Kiryienka e Paolo Bettini. Anzi, il Grillo non si è limitato a fare atto di presenza, ma si è buttato nell'impresa anima e corpo, in omaggio proprio a Victor Cordero, nativo di Las Rozas, sede dell'arrivo odierno. Peccato che - per tornare al discorso di prima - il Campione del Mondo abbia salutato la compagnia dopo la tappa, e assomma così l'ennesima Vuelta non portata a termine in carriera. Come lui, ma ritiratisi prima, Boonen e Gilbert (non partiti) e gli azzurri Tosatto, Tonti e Quinziato (fermatisi al rifornimento).
Il gruppo ha lasciato fare i 18, che hanno conquistato oltre 8'30" di vantaggio, per poi lanciarsi nel finale nella lunga teoria di scatti e controscatti per anticipare la volata (in cui Van Avermaet e lo stesso Bettini erano chiaramente favoriti). Ci hanno provato praticamente tutti e 18, a turno, con particolare insistenza soprattutto in Flecha e Roche. Bettini in prima persona ha chiuso fin che ha potuto, ma non avendo sei gambe, alla fine il livornese si è dovuto arrendere a 5 km dalla fine, quando David Herrero ha tentato la sparata solitaria: sulle prime l'uomo della Karpín ha anche creduto realmente di potercela fare, poi ha dovuto subire il rientro di Kiryienka, Erviti e Roche. E allora, col gruppetto degli altri fuggitivi ormai in croce (il solo Kroon ha cercato nel finale, da solo, di riportarsi sotto, senza riuscirvi), si è trattato di uno sprint tra i 4. Roche ha provato ad anticipare la volata, partendo ai 500 metri, ma Erviti gli si è attaccato alla ruota e l'ha superato ai 150 metri.
Il figlio di Stephen (che vinse Giro, Tour e Mondiale nel 1987) è fatto però di una pasta particolarmente tenace, e, lungi dall'arrendersi una volta vistosi saltato dal collega, ha tenuto duro e si è rifatto sotto, riaffiancando Erviti e rischiando pure di risuperarlo: un epilogo quantomai appassionante per una tappa meno che ordinaria: fosse una corsa in linea, potremmo anche ritenerci appagati da questo finale, ma dovendo inscrivere il tutto in una cornice più ampia, come quella di un grande giro, continuiamo ad avere più di una riserva.
Erviti, almeno lui, è ben felice stasera: 24 anni, centra oggi il principale successo della sua carriera, confermando le profezie che lo volevano come uno dei più valenti giovani della sua generazione. Una tappa vinta non è ancora niente, tutto sommato, ma rappresenta senz'altro un bel viatico per una carriera che il simpatico Imanol potrà in futuro rimpinguare di successi importanti.


Due righe anche sul Giro di Polonia, che ha visto la vittoria di Jurgen Roelandts, al termine di una frazione che pareva destinata a una volata, e che invece ha premiato un drappello di coraggiosi che sono stati capaci di anticipare lo sprint di gruppo: partiti alla chetichella in 12 nel finale, gli attaccanti hanno via via aumentato il margine sul plotone, con un Bak scatenato nel dettare i tempi dell'azione e nel correre dietro a quelli che provavano il contrattacco (come i nostri Luca Barla e Francesco Gavazzi). Una volta messa in cassaforte la decina di secondi che serviva per arrivare davanti, i 12 si sono giocati il successo allo sprint: partito lungo Wrolich, partito lungo De Jongh, è stato Roelandts ad affiancare quest'ultimo e a superarlo ai 75 metri, andando a vincere su José Joaquín Rojas.
Lo spagnolo mastica amaro per la sconfitta, ma si rifà bene con la maglia di leader, strappata ad Allan Davis (che si è dovuto accontentare di vincere la volata per il 13esimo posto. Da domani il Giro di Polonia entra nel vivo, con qualche salitella a movimentarne l'andamento lento di queste prime tappe. Speriamo di vedere qualcosa di veramente interessante.



Marco Grassi

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