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Valverde sa già il cinese - Ma a San Sebastián c'è tanta Italia

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Se Franco Ballerini aveva ancora qualche piccolo dubbio, dai Paesi Baschi gli arriva una conferma squillante come il sole d'agosto: Alejandro Valverde sarà il suo incubo nella settimana che ancora ci separa dalla prova olimpica su strada di Pechino. Quel dispettoso venuto da Las Llumbreras, dimostrando di non tenere in nessun conto le paturnie del Ballero (e di tutti gli altri commissari tecnici del mondo), ha vinto oggi la Classica di San Sebastián, che per inciso ancora mancava al suo diadema di vittorie importanti.
L'aveva a lungo e vanamente inseguita, questa corsa che non poteva mancare al curriculum di Valverde: uno come lui, predestinato da sempre e speranza e gioia del ciclismo di Spagna, non poteva non vincere la più importante classica iberica. E dopo vari tentativi andati a vuoto, un po' per lo Jaizkibel che ne aveva finora fiaccato le ambizioni, un po' per situazioni tattiche sfuggite dal suo controllo, oggi per Alejandro (anzi, Aliejandro, quello delle Liegi) è arrivato il giorno della rivincita.
Una gara, la Classica 2008, svoltasi da subito in maniera inconsueta: un po' come voler indicare che non si voleva perder tempo in chiacchiere, dopo 35 chilometri (sui 239 totali) quasi tutti i più forti erano già avvantaggiati, in un gruppo di circa 40 atleti, a cui se ne sono aggiunti poi altri al km 58 (e non erano "altri" e basta: erano Valverde e Andy Schleck!). Raggiunto il fatidico numero di 47, la corsa ha riguardato solo e soltanto quei 47, mentre il gruppo senza padroni (a parte pochi nomi eccellenti, da Sastre a Ballan) se ne andava pencolando alla deriva, fino allo stop imposto dai giudici quando il ritardo dai primi arrivava a lambire i 20'.
Tra i migliori si aspettava lo Jaizkibel, salita simbolo della corsa, ma non è che l'Alto abbia detto più di tanto, a parte che a Kolobnev scappava la bici da sotto al sedere (tentativo solitario per il russo), e che Damiano Cunego non è nemmeno lontanamente vicino a quello che speravamo in chiave olimpica: il veronese si è staccato a inizio salita e lì è uscito di scena, e questo - oltre al già citato Valverde - è il secondo tormento di Ballerini: che fare con un Cunego in queste condizioni? Sperare nel miracolo o ripiegare su Nibali, riserva azzurra che a San Sebastián è stato sino alla fine praticamente sempre coi migliori?
Superato lo Jaizkibel (grandi trenate dei Quick Step, in particolare Tonti che si è già guadagnato così la convocazione in nazionale per i Mondiali), si era in 35 (circa) a 35 (km) dall'arrivo. Ogni discorso rinviato all'ultima vera asperità di giornata, l'Alto de Arkale, la cui vetta era a 16 dall'arrivo. E lì il tanto lavoro della Quick Step si è sublimato nell'azione in prima persona di Paolo Bettini: partendo in contropiede su un precedente attacco di Sivtsov (chiuso da Andy Schleck), il Grillo ha fatto così venire allo scoperto tutti i big: Rebellin il primo a prendergli la ruota, poi Valverde, poi Popovych, Pellizotti, Nibali, Bruseghin e gli altri.
Se la prima rasoiata era stata, diciamo così, d'assaggio, Bettini ne ha avuta una seconda da sparare: e qui qualche frutto eccellente è caduto dall'albero: Nibali, ma soprattutto Contador, troppo a corto di gare per tenere fino in fondo al livello dei più forti specialisti da classiche; l'azione di Bettini è stata insistente più che mai, e la quindicina di corridori scremata in cima all'Arkale è stata messa in fila in discesa dalla solita gimkana di Samuel Sánchez. A fine picchiata, in quattro si sono riportati sul capitano dell'Euskaltel, attesissimo nella regione. Ma i quattro piombatigli in casa senza invito minacciavano di rovinare tutti i piani al povero Samuel: trattandosi di gente come Valverde, Rebellin e Bettini (con Moncoutie, bravo ad accodarsi), Sánchez poteva scordarsi di gabbarli tutti.
Per un certo tratto, diciamo un 6-7 km, l'azione a 5 pareva destinata a tutte le fortune, visto che i rimasugli del gruppo (già ridotto dall'inizio) erano a una decina di secondi. Ma riorganizzati da Menchov e CSC, gli inseguitori son rientrati ai 6 km. Moncoutie, vista la mala parata, ha provato l'evasione, subito supportato da un Rebellin che ha una faccia da medaglia olimpica (sì, anche più di Bettini).
Ma nonostante le buone intenzioni, i due sono stati ripresi ai 4 km; mai domo Rebellin: dopo un'interessante trenata di Menchov su un tratto in salita, ai 3 km il veneto è partito un'altra volta, insieme a Popovych. Ma gli inseguitori, Valverde in testa, son rientrati (Yaro dice che una moto li ha aiutati) ai 2 km, e allora, dato per scontato il nuovo allungo di Moncoutie all'ultimo km, era chiaro che non si scappava dalla volata di gruppetto.
Il francese, esaurita la forza propulsiva della sua azione, andava d'inerzia fino ai 300 metri, quando alle sue spalle è partito lo sprint: Bettini era ottimamente posizionato a ruota di Valverde, e alle spalle si Sánchez che tirava per andar dietro a Moncoutie. Quando ai 250 metri Valverde è partito, era accanto a Samuel, e uno scarto sulla destra gli ha permesso di frapporre la stessa figura arancione del connazionale tra sé e Paolino. Kolobnev, che da dietro aveva capito tutto, rinveniva dall'altro lato con Rebellin a ruota: Bettini, perse quelle tre pedalate per far sparire Sánchez dal suo orizzonte, non ha saputo far meglio che arrendersi a Valverde e al trenino Kolobnev-Rebellin. Il murciano, in realtà, non è proprio mai stato insidiato, in quei 250 metri, nemmeno dal sospetto che potessero affiancarlo: vittoria in scioltezza, contro tutti i tabù del passato e col vento in poppa che porta a Pechino: dove, in un finale in cui i protagonisti potranno essere più o meno questi, il Samuel Sánchez della situazione ce l'avrà al suo servizio (malgrado le beghe di Salisburgo 2006), in una squadra molto forte (con Sastre, Contador e un Freire in più).
L'Italia, malgrado il mancato successo, non si può lamentare, avendo piazzato tre uomini come Rebellin, Bettini e Pellizotti (oltre a ciò, protagonisti in gara) al terzo, quarto e quinto posto, e annoverando anche le buone prestazioni di Bruseghin e Nibali. Resta l'enigma Cunego, ancora alle prese con i postumi della caduta patita nella tappa di Saint-Étienne al Tour. Ma in realtà anche prima della brutta caduta, non è che Damiano stesse correndo in maniera appena sufficiente. Forse, pensando al bene comune, è il caso di non dare ulteriori giustificazioni a un corridore che in carriera ne ha avute sin troppe.

Marco Grassi    

 

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