C'è Rebellin tra SSG e TGV - Samuel-Davide-Fabian a Pechino
No, ammettiamolo: sarebbe stato troppo. Vincere le Olimpiadi nel giorno del suo 37esimo compleanno, a 16 anni di distanza dalla sua prima partecipazione ai Giochi (quando ancora era dilettante), per di più nemmeno partendo dal ruolo di capitano, sarebbe stato troppo. Eppure abbiamo il vago sospetto che Davide Rebellin ci si sarebbe abituato in fretta, a tutta la grazia che gli sarebbe piovuta addosso; e invece i casi della vita non hanno voluto che così fosse, e lasciano al grandioso vicentino un sorriso in meno e un argento in più.
Che poi, per uno abituato a piazzarsi tanto e vincere poco (perlomeno in gare monumentali), non dovrebbe essere un dramma particolare un secondo posto in più o in meno. Epperò, arrivare a un passo, un solo insignificante eppure più che mai decisivo passo dall'affermazione della vita, e vedersela sfuggire per quel niente che può essere legato a qualsiasi fattore e a nessuno, fa male lo stesso. Fa male lo stesso anche se è un secondo posto che vale una medaglia d'argento olimpica, e una medaglia olimpica è il pass per uno dei club più esclusivi del mondo. Fa male perché il celebre battito d'ali della famosa farfalla in Cina forse non scatenerà l'uragano in Texas, ma nella stessa Cina può forse bastare per spingere in volata l'uno o l'altro contendente: e stavolta è toccato all'altro, essere spinto, e quell'altro è Samuel Sánchez.
Uno spagnolo.
E non possiamo dire che non ci avessero avvisato, gli iberici. Bastava guardare il quintetto che schieravano per capire che se una squadra può permettersi di spendere i vincitori degli ultimi due grandi giri nel ruolo di gregari, difficilmente la si metterà in croce. E allora quella squadra potrà anche dover fare i conti con un mal di pancia che toglie di mezzo Freire el tricampeón (mondiale), e non verrà ugualmente scalfita dalla vicenda.
Se la nazionale di Antequera era lo spauracchio della situazione, quella italiana aveva in dote il ruolo di squadra-faro. Perché la Spagna potrà pure schierare i 5 più forti corridori del mondo, ma se non si muovono prima gli azzurri, quelli attendono e attendono e attendono.
Chi invece non ha atteso neanche 2 km sono stati Gallardo e Almonacid, e se non li avete mai sentiti nominare può essere che non seguiate troppo il ciclismo boliviano e quello cileno; e invece oggi tutto il mondo ha visto questi due avventurati, che hanno anche toccato un vantaggio di 18' mentre il gruppo dormiva e lasciava fare. Ma quando il plotone s'è svegliato (pungolato - guarda un po' - dai nostri, mossisi sulle prime con Nibali), ha rischiato di provocare un terremoto inatteso.
È successo intorno al km 70 (su 248) di gara, e si sono avvantaggiati in 26. A parte i tanti comprimari (alcuni dei quali però ben protetti, visto che nel mazzo si trovavano tre croati, due ucraini, due lettoni), importante la presenza tra i fuggitivi di Kim Kirchen, uno dei favoriti della vigilia; della coppia tedesca formata da Voigt e Grabsch; di Gerrans, vincitore di una tappa al Tour, o del brasiliano Fischer, il più veloce della compagnia; di Clement e di Van den Broeck in rappresentanza di Olanda e Belgio. La Spagna ha mosso Sastre, quanta nobilitate. L'Italia Bruseghin.
La situazione di corsa - con gli azzurri rappresentati solo da un uomo tutto meno che veloce in una fuga che veleggiava oltre i 5' di vantaggio sul gruppo a 120 km dalla fine - non era foriera di beltà per l'azzurra causa: le squadre non rappresentate nella fuga (su tutte Usa, Russia e Danimarca) non è che si stessero affannando più di tanto per ricucire; e allora, come successo altre 150 volte nella storia della nostra nazionale, ci siam ritrovati a dover tirare noi (con un Nibali superlativo, in testa per due giri del circuito della Grande Muraglia) per riprendere una fuga in cui c'era uno dei nostri.
E ciò vuol dire che da qualche parte c'era un errore: forse nella convocazione di un uomo di fatica di troppo in luogo di una più temibile ruota rapida? Forse.
Al quarto dei sette giri del circuito (a 95 dal termine) tra i fuggitivi Pidgornyy (ottimo) e Kuschynski hanno giocato la loro carta. Dei due sudamericani del mattino si era già persa la memoria, mentre dietro McCartney ed Efimkin collaboravano per ridurre il gap dal gruppone in fuga (nel quale in pochi, da un certo punto in poi, collaboravano).
Al quinto giro (a 70 dalla fine) Nibali ha riportato il plotone sui resti della fuga: a quel punto Pidgornyy e Kuschynski conservavano 1'30" di vantaggio, ma il loro destino era segnato.
Mentre Stefan Schumacher, uno dei più attesi della giornata, salutava sogni e compagnia ritirandosi, entrava in scena Pellizotti: il vincitore di Kronplatz si è attivato prima con Roche, Gerrans, Serpa, Pfannberger e Rebellin intorno al Gpm a 65 km dalla conclusione; e poi di nuovo proprio in cima alla lunga (e pedalabile) salita del circuito: in questo secondo attacco le cose hanno finalmente iniziato a prendere una piega interessante, visto che con Franco si sono mossi Contador, Ten Dam, poi Vande Velde, Andy Schleck, Wegmann e Pfannberger: se non le prime punte, si presentavano alla tenzone le seconde. Ma nonostante l'impegno, nessuno è riuscito a scavare un margine di sicurezza, e il gruppo s'è rifatto sotto.
Van Summeren, Ljungqvist e Uran hanno vissuto il loro momentum a 60 dal traguardo, con un attacco a tre che li ha portati su Pidgornyy e Kuschynski alla fine del quinto giro. Ma i big erano lì dietro l'angolo, e ci ha pensato Sastre, con un'interminabile trenata, a portarli sui fuggitivi: a 50 km dal traguardo il gruppo compatto tirato dagli spagnoli (più che altro Sastre; un paio di cambi li ha dati Contador, prima di ritirarsi senza più energie) si accingeva ad entrare nella fase topica della giornata.
Il fermento è stato confermato dall'attacco di Nicki Sorensen ai 40 km: il danese è stato ripreso da Pellizotti (molto attivo), Samuel Sánchez e Rebellin, ma ancora una volta il gruppo non ha dato spazio (perdendo al contempo un componente dopo l'altro: la selezione, dopo i 200 km, è stata naturale). Ci ha provato Pfannberger, al penultimo passaggio dal Gpm, ma l'austriaco ha ballato da solo per pochi chilometri, perché i favoriti della vigilia avevano deciso che era giunto il momento di scendere in campo in prima persona: e allora frustatina di Bettini, con Wegmann, SSG, Valverde e Andy Schleck pronti a rispondere; e ancora, progressione di Menchov; e quindi, all'inizio dell'ultimo giro (a 25 dalla fine), attacco di Evans insieme a Chris Sorensen e Kolobnev.
Quando a quel punto di nuovo Sánchez e Rebellin si sono accodati, e quando l'hanno fatto poi anche Kreuziger, Leipheimer, e poi Botero, Aerts, Schleck il giovane, Vande Velde, Gesink, Rogers, Niemiec, Pineau tra gli altri, si è capito che la morsa tattica avrebbe bloccato così la situazione: con Rebellin in avanscoperta marcato da Samuel Sánchez, cosa restava da fare a Bettini e Valverde se non controllarsi a loro volta, ma nel gruppo attardato?
Il cast di pretendenti al successo, a quel punto, era comunque abbastanza intrigante. E lo è diventato ancora di più quando, a 4 km dalla vetta (e quindi a 17 dall'arrivo), Andy Schleck ha prodotto il suo affondo. Solo Rebellin ha tenuto la giovane ruota lussemburghese, e tra gli altri Kolobnev è stato il più veloce a riportarsi sotto. Ancora Andy ha fiondato un affondo, e ancora Rebellin ha risposto presente. A 16 dalla fine, con l'arrivo sulla coppia di testa di Kolobnev, Rogers e - poco dopo - Samuel Sánchez, si è iniziato a pensare a quale di quei 5 avrebbe esultato sul podio olimpico.
In cima al Gpm, visto che non ne aveva ancora abbastanza, Schleck ha proposto un ultimo scatto, quello che voleva essere definitivo. E in effetti, visto che solo Rebellin (sempre prontissimo) e SSG hanno tenuto, non si può dire che gli intenti di Andy fossero peregrini. Però la discesa (pedalabile come la salita che la precedeva) ha permesso a un Rogers col turbo e a un Kolobnev che ha rapidamente superato un momento di appannamento di rifarsi sotto: per lunghi appassionanti chilometri la coppia in caccia teneva nel mirino le tre lepri, ma non trovava il bandolo della matassa per rientrare; e allora, mentre Bettini e Valverde dal quarto gruppetto si portavano sul terzo (quello in cui c'erano Evans e soci), dallo stesso terzo gruppo un missile, un lampo, un TGV partiva furiosamente: il suo nome è Fabian Cancellara, e il suo numero rimarrà in mente a molti: nel giro di un paio di chilometri lo svizzero ha annullato i 25" di gap da Kolobnev e Rogers, e una volta rientrato sui due, li ha guidati sul trio all'attacco.
E ai 600 metri, nel momento del ricongiungimento, l'intera storia rischiava di venir riscritta.
Volata ristretta, comunque: Kolobnev l'ha presa in testa, ai 250 metri, ma il suo precedente spendersi all'inseguimento dei primi ha pesato, e il russo si è accartocciato su se stesso ai 150 metri. In quel momento, dalla sua destra spuntava SSG, da sinistra Rebellin: un testa a testa entusiasmante, e in cui Samuel ha dimostrato di averne di più: e la sua vittoria, meritatissimo premio per lui e per una nazionale come detto fortissima, è venuta contemporaneamente all'ennesimo piazzamento di Davide nelle gare importanti. Un argento che però non sfigura, anzi si intona alla tendenza senile di cui Davide è testimonial.
Al terzo posto, il TGV chiamato Cancellara, che non ha più trovato in volata le energie necessariamente spese sulla discesa, ma che nella crono olimpiaca potrà rifarsi agevolmente. Oro, argento e bronzo. Bronzo come - ci sia consentito - quello facciale di chi l'altro giorno si sentiva tradito da Marta Bastianelli (e quindi dal ciclismo), e oggi non aspettava altro che saltare sul carrozzone dorato dei biciclettari nazionali e fregiarsi di un qualsivoglia titolo eventualmente conquistato dai traditori. L'oro non è arrivato, "loro" invece sì: e - per sfortuna nostra - questi "loro" ci sono sempre.