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Dopo Sella c'è il nulla - Gran fuga, polveri bagnate dietro

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Non succede quasi mai, perché Gastone ha sempre quella marcia in più, il fortunato; ma qualche volta anche Paperino vince, e quando capita è sempre un evento memorabile. Se il Paperino in questione fa Sella di cognome, l'evento è ambientato senz'altro in montagna.
E infatti Emanuele, dopo mille disavventure (cadute in serie, forature sul più bello) e dopo le lacrime di sconforto di Pescocostanzo, ha finalmente centrato il traguardo tanto sognato: una vittoria al Giro, su un arrivo in salita, dopo una fuga di 182 km (di cui 49 fatti tutti da solo). Dopo Tonkov, Pantani e Simoni, l'Alpe di Pampeago ha il suo nuovo re in questo scricciolo vicentino che è partito al km 13 di tappa con altri 9 uomini (tra cui Bettini, Nocentini, Joaquím Rodríguez e Rujano) a cui se ne sono successivamente aggiunti altri 3, e che poi sulla prima salita veramente dura di questo Giro, il Manghen, ha salutato la compagnia per andarsene tutto solo verso l'indimenticabile epilogo. 


L'apoteosi di Sella

In quel momento, a 49 km dal traguardo, il gruppo dei big era a 5'50" dal fuggitivo. Era attesa la battaglia tra i più forti, e invece ha trionfato l'attendismo: dopo che Simoni (che più di ogni altro voleva vincere sull'Alpe) ha fatto lavorare i suoi uomini nel primo tratto di scalata, e dopo che nessun altro ha attuato l'atteso forcing, le cose si sono stranamente pacificate, ha prevalso il timore di non spremersi in vista delle prossime montagne, e tutto è stato rinviato alla salita finale della giornata, per la delusione di chi si attendeva scintille sin da subito (ovvero tutti noi che seguiamo il Giro).
Nel frattempo Sella, approfittando delle acque calme in gruppo, ma contando anche e soprattutto su una prestazione eccezionale, ha guadagnato su tutti, portando il suo vantaggio sul plotone a 11' in vetta al Manghen.
La tenuta del vicentino nella successiva discesa e nei primi chilometri dell'Alpe è stata ottima, se è vero che ai 5 km Emanuele aveva ancora quasi 10' di margine. Poi ha perso un minutino, soffrendo tanto nel finale, ma il suo successo (il secondo dopo Cesena 2004, anche quello ottenuto con una lunga fuga) era ormai al sicuro. 


Il gruppo si risveglia

Aveva già alzato le braccia sotto il traguardo, Sella, quando qualche chilometro più in basso il gruppo attardato iniziava a far sul serio: c'era stato il forcing della LPR di Di Luca prima dell'Alpe e poi sulle prime rampe della salita. Ma Danilo non era quello dei giorni migliori, e non ha attaccato. Idem Riccò, frenato da qualche problema respiratorio accusato nella notte, e forse anche dal vedere Piepoli soffrire ancor più di lui.
E allora, in assenza di un leader in grado di prendere l'iniziativa, la selezione è stata quella fisiologica data dalle ardue pendenze: ai 4 km Leipheimer è stato il primo a saltare in aria, e alla fine ha pagato circa 4' sui migliori. Per Levi si prospetta il non esaltante primato di primo dei favoriti fatto fuori dalle Dolomiti. Peggio di lui Possoni e Karpets, ma si era già capito che i due non avrebbero lottato per i piani alti della classifica.
Tra quelli dei piani alti è stato invece Nibali il primo ad andare in difficoltà, quando finalmente Simoni si è messo in testa a forzare, a 3 km dalla vetta. Col siciliano hanno perso terreno Savoldelli, Bosisio e Bruseghin, ma mentre i primi tre hanno pagato poi circa un minuto e mezzo, il Bruse si è gestito alla grande, riuscendo nel finale in un recupero che ha del miracoloso, e che gli ha permesso di tagliare il traguardo praticamente insieme a Simoni.
Tra i più positivi, invece, Pellizotti: che ci ha pure provato, a proporre uno scattino e poi un altro, a 2 km dalla vetta: e la sua azione ha fatto male a Klöden (che pagherà un minuto esatto allo stesso Pellizotti e a Riccò, e qualcosa in più a Menchov). Van den Broeck, il più sorprendente della giornata, sempre al passo coi protagonisti, ha chiuso sul friulano, e in contropiede si è mosso Pozzovivo. L'azione del lucano ha fatto male a Piepoli, che si è staccato (pur tenendo a vista i migliori fino al traguardo), e ha fatto male anche a Contador, anch'egli in affanno ai 1500 metri.
Ha fatto invece benissimo a Denis Menchov, che in progressione si è inserito nella scia di Pozzovivo per andarsene da solo e affermarsi come il migliore degli attesi big.
Alla fine i distacchi non sono comunque trascendentali, visto che il russo ha rifilato 9" a Pellizotti e Riccò (il quale ha fatto un po' l'elastico nel finale, ma ha ritrovato in fretta la lucidità per non perdere terreno), 13" a Simoni e Van den Broeck, 15" a Bruseghin, 23" a Pozzovivo, 26" a Di Luca (che si è disunito nell'ultimo chilometro), 39" a Piepoli, 45" a Contador. Più indietro gli altri: a 1'09" Klöden, a 1'23" Savoldelli, a 1'52" Nibali. E insomma, come si vede, non è tanto, ma per qualcuno è già qualcosa. E la classifica ci dice un po' di cose nuove. 


La nuova classifica

Intanto ci dice che la maglia rosa passa a Gabriele Bosisio, vista la (comunque attesa) deriva di Visconti, iniziata sul Manghen (quando ancora Giovanni sperava di gestire il distacco) e compiutasi sull'Alpe, con 18' di gap per il siciliano della Quick Step. Il compagno di Di Luca e Savoldelli ha tenuto molto bene, ed è riuscito nella piccola impresa di non farsi superare da Contador, che ora in classifica è secondo a 5" dal lecchese.
Per la LPR la maglia rosa è un indubbio successo, anche se in pochi avrebbero scommesso che sarebbe finita sulle spalle del terzo uomo. Nella squadra del vincitore uscente del Giro, comunque, la prima risposta è che Di Luca, malgrado tutto, dà più garanzie di Savoldelli, su certe pendenze. E i vari giochi delle coppie si sono tutti più o meno risolti, almeno per quel che riguarda la griglia di partenza di domani: Contador è uscito dalla prima frazione dolomitica molto più capitano di Klöden. Idem Riccò con Piepoli; e idem soprattutto Pellizotti con Nibali. Ma siccome le distanze tra i galletti sono tuttora minime, queste risposte potranno essere contraddette dallo svolgimento della Arabba-Passo Fedaia, solo 153 km ma Pordoi, San Pellegrino, Giau, Falzarego e Marmolada (l'arrivo) da affrontare in sequenza. Domani, comunque, i capitani saranno questi: Contador, Riccò, Di Luca e Pellizotti. Oltre agli indiscutibili Bruseghin, Menchov e Simoni. 


Cinque motivi per una tappa deludente

In chiusura è d'obbligo una riflessione sui motivi che hanno prodotto tanta acquiescenza in gruppo nel primo appuntamento con le montagne vere. Intanto cominciamo col dire che questo Giro sarà ricordato come uno dei più tattici di questi anni, e il tatticismo in genere è nemico dello spettacolo. In gara ci sono corridori che si affrontano, a così alti livelli, per la prima volta: i Menchov, i Contador, i Klöden erano delle incognite sulle pendenze italiane, quindi ci sta che i "nostri" ci abbiano pensato su due volte prima di azzardare una mossa, evitando quindi di esporsi sin dal Manghen.
Però il problema è che a Pampeago non abbiamo visto grandi affreschi: scattini demotivati e destinati a rimanere incompiuti, con l'unico allungo serio - quello di Menchov - andato in scena solo nei 1500 metri finali.
In giro si sentono già le giaculatorie che vorrebbero questo ciclismo "più pulito e quindi meno performante". Nel dubbio se ciò sia effettivamente vero (le smentite in questi casi sono dietro l'angolo: e se domani vedremo una corsa al massacro tra i big, si dirà che il ciclismo è tornato sporco?), è il caso di annotare alcune cose: la prima è che ci sta che per un giorno giri male a Riccò (e Piepoli) che fin qui sono stati eccellenti dal punto di vista dello spettacolo: tolti loro, si perde inevitabilmente un po' di sale.
La seconda cosa riguarda Di Luca, che si impegna e spinge con la grinta più che con le gambe, ma che non è quello del 2007 (e nemmeno il percorso, che lo scorso anno diventava assai facile nel finale di Giro), e siamo quindi a due elementi di spettacolo in meno.
La terza annotazione è tutta per Simoni, che è sempre fortissimo, ma che non è esente dal peso degli anni; può essere che Gibo sia fisiologicamente più debole delle ultime edizioni della corsa rosa? Può essere, e siamo quindi a tre elementi di spettacolo in meno.
Il quarto fattore si chiama Astana: i ragazzi di Bruyneel (quelli per la classifica) sono tutti al primo Giro, e non era pensabile che alla prima esperienza si mettessero a fare la corsa, avendo tra l'altro la possibilità di poter correre in difesa, visto che erano avvantaggiati in classifica dopo la crono di Urbino; e inoltre anche loro dovevano far chiarezza in casa propria, cercando di capire a chi votare la squadra da qui a Milano. Ora sanno che quel desso non sarà Leipheimer, domani magari si scioglieranno i dubbi tra Contador e Klöden. In un modo o nell'altro, siamo a quattro elementi di spettacolo in meno.
La quinta cosa che ci siamo appuntati va a sbirciare in casa Liquigas: anche qui, con il grande dubbio su chi tra Pellizotti e Nibali fosse più adatto a fare il capitano, era improbabile assistere a colpi di testa dell'uno o dell'altro. Pellizotti è scattato solo dopo che Nibali si era staccato, e questo è un segnale chiaro: fin lì c'era stato l'armistizio. Quanti elementi di spettacolo in meno? Cinque.
Può essere che si tratti solo di coincidenze, ma può anche essere che questi elementi, sommati, abbiano prodotto la tappa poco brillante che abbiamo visto tutti. Sono elementi che da domani verranno in parte a mancare: con le gerarchie meglio evidenziate, sarà effettivamente possibile attuare quei giochi paralleli che tanto pepe darebbero al resto del Giro. E se Riccò si riprende, magari tra 24 ore staremo raccontando tutta un'altra storia.

 

Marco Grassi

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