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Savini Doc, primo brindisi - E in salita Ivanov prende la maglia

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Se a Bukit Fraser domani apriranno una delegazione del consolato italiano, non ci sorprenderemo certo. Dopo l'ottava tappa del Giro della Malesia, sarebbe anzi il minimo. Un vincitore faentino, al primo successo in carriera; una squadra italiana (anche se affiliata in Venezuela) che domina in lungo e in largo la corsa e la classifica.
La frazione era quella che prendeva il posto, nelle intenzioni dell'organizzazione, delle ormai classiche Genting Highlands, off limits quest'anno per via del Capodanno Cinese (troppi turisti lassù, troppi problemi logistici); piazzata al penultimo giorno di gara, alla vigilia della passerella nella capitale Kuala Lumpur, la salita di Bukit Fraser si presentava non certo impegnativa e selettiva come quella che andava a sostituire.
Ugualmente, però, si trattava dell'unica tappa veramente impegnativa nel piattume disegnato per questo tredicesimo Tour de Langkawi. E quindi, in un modo o nell'altro, il malloppone di 19 corridori (reduci dalla fuga del primo giorno) separati tra loro da pochi secondi, era destinato a sgranarsi lungo i 25 chilometri di ascesa leggera ma continua.
A fare la corsa, ovviamente, la Diquigiovanni: con due uomini in classifica (Ruslan Ivanov e Jackson Rodríguez) e un arrivo in quota, gli scalatori del team di Gianni Savio avevano l'obbligo di provare a mettere in difficoltà i rivali per la generale, a partire dal giovane australiano Docker, che proprio ieri aveva strappato la maglia a Sprick.
E in effetti quando la salita è stata raggiunta dal gruppo, il forcing della Diquigiovanni è stato da subito impetuoso, con Ochoa a dettare il ritmo.
Nel finale, solo in pochi hanno tenuto il ritmo degli uomini di Savio. E a quel punto è stato Serpa a fare la differenza, mettendosi in testa ai 5 km e sgranando definitivamente il plotoncino dei migliori: alla sua ruota, Ivanov, che evidentemente stava meglio di Rodríguez, e si è quindi preso in carico l'impegno di condurre vittoriosamente la tattica della squadra.
Coi due, però, c'era anche Filippo Savini. E il 22enne della Csf, sentendo una gamba buona, ai tre chilometri ha rotto gli indugi ed è scattato in faccia ai due Diquigiovanni, guadagnando subito quei 10" che poi ha saputo conservare e anzi incrementare da lì al traguardo, mentre Ivanov si prendeva pure il secondo posto (un abbuono in più giusto per star tranquilli) coi buoni uffici di Serpa, e mentre Ochoa, più dietro, regolava Pedraza per il quarto posto. Il primo rivale di classifica, César, è arrivato a 51", l'ex maglia gialla Docker a 1'20": tutto sommato, la selezione è stata discreta rispetto alle attese.
Ma tornando al giovane Savini, viene in mente una riflessione: chissà se può essere motivo di rammarico il fatto di ottenere la prima vittoria da professionista a 10mila chilometri da casa, senza una televisione a riprenderne l'impresa, con pochi testimoni a poter ricordare quel momento; o se invece ciò non possa rappresentare un valore aggiunto, regalando alla parola narrata il potere che aveva un tempo: sarà lui, Filippo in prima persona, a raccontare a tutti di quella volta che vinse attaccando su una salita lunga e remota, in mezzo a una foresta lussureggiante, e colorirà la storia di particolari di volta in volta diversi, a seconda delle sensazioni che riaffioreranno, a seconda dell'umore, a seconda del gusto. Il gusto, già: non è proprio sempre comunque un gran gusto, vincere, sorprendere, alzare le braccia sotto lo striscione di un arrivo?

Marco Grassi



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